La dura vita degli influencer della moda

Qualche anno fa erano importanti e richiesti, ora sono sempre di più e si contendono – a loro spese – pochi posti per assistere alle grandi sfilate

Due ragazze in posa per una foto alla Settimana della moda di Stoccolma, 29 agosto 2018
(Bryndis Thorsteinsdottir/picture-alliance/dpa/AP Images)
Due ragazze in posa per una foto alla Settimana della moda di Stoccolma, 29 agosto 2018 (Bryndis Thorsteinsdottir/picture-alliance/dpa/AP Images)

Il 6 settembre la Settimana della moda di New York aprirà la stagione delle sfilate in cui saranno presentate le collezioni per la primavera/estate 2019; proseguirà a Londra, a Milano e infine a Parigi, dove si chiuderà il 3 ottobre. In questo mese stilisti, giornalisti, critici di moda, modelle e buyer (cioè le persone che scelgono i vestiti che saranno rivenduti nei negozi) affluiranno da tutto il mondo in queste quattro città. Tra loro ci saranno anche migliaia di influencer, una figura nata di recente ma che in pochi anni, dopo essere diventata centrale, ha perso progressivamente importanza. Due-tre anni fa le aziende si contendevano quelli più seguiti e a volte li pagavano in cambio di post sui social network; ora invece gli influencer e gli aspiranti sono tantissimi e i marchi finiscono per selezionarne pochi senza offrire nulla in cambio: per molti non vale più la pena andarci. La rivista di moda Business of fashion (BoF) ha raccontato la dura vita degli influencer della moda, o aspiranti tali, nel 2018, sia dal punto di vista delle aziende che li rappresentano sia di quelle che li selezionano per conto dei marchi di moda.

Gli influencer sono persone con un certo seguito pubblico, di solito sui social network e in particolare su Instagram, la cui opinione e i cui gusti sono ritenute in grado di “influenzare” i gusti e le opinioni (e quindi i consumi) di chi li segue. È pubblicità, fatta in un altro modo. Gli influencer che chiedono di assistere alle sfilate sono sempre di più: sperano di guadagnare nuovi follower e diventare più importanti, di intraprendere rapporti con i marchi e di finire sulle pagine dedicate allo street style (su chi è vestito meglio fuori dalle passerelle) delle riviste di moda. La competizione però è tale e il mercato è così saturo che ci riescono in pochissimi, a fronte di spese molto alte tra voli, spostamenti in taxi, vestiti, e Airbnb (un tempo gli hotel fornivano sconti agli influencer, anche qui in cambio di post sui loro social, ma ora non più).

Secondo la società di pubbliche relazioni KCD, negli ultimi tre anni il numero totale di richieste di inviti alle sfilate arrivate dai media online è quadruplicato: non tutte, ma la maggioranza arriva da influencer. Launchmetrics, che gestisce il sistema di inviti della settimana della moda di New York, ha un database con le richieste inviate alle aziende di PR: nell’ultima stagione di sfilate, tenutasi a febbraio, il numero arrivato dagli influencer era quadruplicato. Chris Constable, che tre anni fa ha fondato la società di pubbliche relazioni CCPR, dice che circa il 90 per cento delle richieste di inviti arriva da influencer. Liz Franco di Factory PR li descrive così: «Ti scrivono “Ciao, sono un influencer, mi piacerebbe venire alle vostra sfilata, in prima fila. Mi piacerebbe mostrare le sfilate dei vostri clienti ai miei follower su Instagram”, e questi follower sono 4.000». Gli stilisti e le aziende vogliono comunque che qualche influencer sia presente alle loro sfilate e le aziende di PR devono vagliare tutti quei messaggi e trovare i candidati migliori.

Il processo di selezione degli influencer è più o meno lo stesso e tiene conto per prima cosa del numero dei follower, dell’engagement (cioè la quantità di commenti e like ai loro post), e del loro aspetto. Constable di CCPR spesso invita alle sfilate quelli di cui apprezza lo stile, anche se hanno pochi follower: la maggior parte riceve i posti in piedi ai margini della passerella, ma i più interessanti finiscono per guadagnarsi l’ambita prima fila. Factory ne seleziona 25-50 nuovi a stagione, a cui si aggiunge anche qualche microinfluencer (percepiti come più vicini dalle persone a cui si rivolgono rispetto ai grandi influencer) seguiti da circa 50.000-80.000 persone e che di solito, spiega Franco, «non vogliono farsi pagare e non chiedono niente, vogliono solo costruire un rapporto con te e con il marchio». KCD cerca continuamente nuovi microinfluencer con cui lavorare, ma che siano disposti a farlo per tutto l’anno e non solo durante la Settimana della moda.

Molti di quelli che non ottengono l’invito si presentano comunque alla sfilata mostrando la copia stampata dell’email in cui chiedevano l’invito: ovviamente vengono respinti. Non è raro vedere fuori dalle sedi delle sfilate, aspiranti influencer accompagnati da un fotografo: cercano di spacciarsi per celebrità dello street style e allo stesso tempo si fanno fotografare per mostrare sui social che erano presenti all’evento.

Beca Alexander è la fondatrice e presidente di Socialyte, che rappresenta alcuni importanti influencer e ogni anno ne spinge decine di nuovi alla Settimana della moda di New York. Racconta che la cosa più importante non è partecipare ma venire fotografati e finire sui siti delle riviste di moda, come Vogue e The Cut, meglio se indossando abiti dello stesso marchio della sfilata: «li fa sembrare più speciali, come se fossero VIP, come se fossero personalmente scelti dallo stilista».

Alexander ricorda che due anni fa la Settimana della moda era un affare molto più rilevante: ora  i marchi hanno meno soldi da spendere sul marketing degli influecenr, che sono sempre di più e sgomitano per assistere alle sfilate e pubblicare foto e video per provare che loro c’erano. Così le aziende ottengono contenuti gratuiti e spesso centellinano gli inviti. Gli influencer tra i 20-30 mila follower che cercano di assistere alle sfilate sono circa mille a stagione ma «ora è molto difficile farsi strada», spesso non è economicamente conveniente ed è molto stressante. Alexander riassume così la loro vita in quei giorni a New York: «Oggi ho 12 sfilate, devo indossare otto abiti diversi e andare a tre feste e, dio, sono già stanco». Senza contare che la stampa e i PR sono tutti troppo indaffarati a far funzionare la sfilata per degnarsi di parlare con loro.