Steve Winwood ha 70 anni

E queste sono le 10 canzoni migliori che fece da solo e con i Traffic, scelte da Luca Sofri

Steve Winwood in concerto nel 2012. (Paul A. Hebert/Getty Images)
Steve Winwood in concerto nel 2012. (Paul A. Hebert/Getty Images)

Steve Winwood, grande cantante e tastierista inglese, nacque a Birmingham il 12 maggio 1948, e oggi compie 70 anni. Nei suoi oltre cinquant’anni di carriera, Winwood ha suonato in diversi gruppi e ha pubblicato molti dischi da solista. Queste sono le 10 canzoni migliori che Winwood ha fatto prima con i Traffic e poi da solo, scelte da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, per il suo libro Playlist, la musica è cambiata.

Steve Winwood (1948, Birmingham, Inghilterra) e 
Traffic (1967-1974, 1994-1995, Inghilterra)
Winwood veniva dallo Spencer Davis Group (dove suonava anche suo fratello, prima di diventare manager discografico), quelli di “Gimme some lovin’”: che non è dei Blues Brothers ma di una band inglese. Era il più bravo della banda, e raccolse altri supereroi: Jim Capaldi, Chris Wood e Dave Mason. Fecero dei dischi che nessuno aveva mai sentito, mescolando idee che venivano da tutte le parti e suonandole da campioni. Si sciolsero e si ripresero più volte per sette anni. Poi Winwood azzeccò una nuova carriera pop. Capaldi è morto nel 2005.

Dear Mr. Fantasy

(Mr. Fantasy, 1967)
Non si era mai sentita, allora, una roba così incasinata di folk inglese, blues, jazz e va’ a sapere che altro. C’è Winwood che canta, in fondo da qualche parte, e chitarra, e armonica, e ancora chitarra. Mr. Fantasy aveva voglia di una vita normale, forse, invece di quella del rocker: ma noi cosa avremmo ascoltato, allora?, gli chiede la canzone.
È il disco che ha dato il nome all’epocale programma televisivo di musica e videoclip condotto negli anni Ottanta da Carlo Massarini, grande fan dei Traffic.

Feelin’ alright
(Traffic, 1968)
Il chitarrista Dave Mason entrò e uscì dai Traffic più di una volta, durante la loro vita relativamente breve. Ma consegnò agli anni Settanta uno dei pezzi più celebrati e ricantati dell’epoca, più notoriamente da Joe Cocker. Pantaloni a zampa d’elefante, fiori nei capelli, e molti capelli e peli vari.

John Barleycorn
(John Barleycorn must die, 1970)
Una canzone popolare inglese vecchia di mezzo millennio – roba di contadini, birra e divinità, per sintetizzare secoli di studi letterari che da qui in poi divenne una canzone dei Traffic.

Glad
(John Barleycorn must die, 1970)
Strumentale jazzato in accelerazione continua e mille invenzioni, diventato con merito una delle più abusate sigle radiofoniche. Ma anche perfetto per quei film sugli anni Settanta dove vengono mostrate feste di stonati e bicchieri vuoti, tutto in una fumaglia colorata.

Empty pages

(John Barleycorn must die, 1970)
Lui ha trovato una ragazza che lo conforta e consola, e tutto ora sembra andare per il meglio. Ne sono prova l’assolo di organo e il “duduru-duru”.

Freedom rider

(John Barleycorn must die, 1970)
“Bàm!”. Uno dei colpi di batteria meglio piazzati della storia del rock, quello dell’intro di “Freedom rider”. Scritta da Winwood e Jim Capaldi, alcuni sostengono parli di Jim Morrison.

(Sometimes I feel so) Uninspired
(Shoot Out at the Fantasy Factory, 1973)
Gospel e assoli di chitarra, che superano i dieci minuti nella versione sul live On the road.

While you see a chance

(Arc of a diver, 1980)
“When some cold tomorrow finds you, when some sad old dreams reminds you…”. A Will Jennings si può perdonare di aver scritto le micidiali canzoni di Titanic (quella di Céline Dion) e di Ufficiale e gentiluomo solo sapendo che fu coautore con Winwood dei versi perfetti di “While you see a chance” (ha scritto anche “Tears in heaven” di Clapton). La celestiale introduzione fu un accidente improvvisato in studio dopo che Winwood aveva cancellato per sbaglio la traccia di batteria prevista (nel disco suonava tutto lui). “Find romance, fake it”, è un po’ lo stesso concetto di “Quando non sai, inventa” dei Peanuts.

Spanish dancer
(Arc of a diver, 1980)
Sotto sotto, è una buona canzonetta col suo ritmo, ma sopra ha questo raro arrangiamento trasognato di strimpelli di chitarra sparpagliati ad arte. Parla di quando la musica ti prende, e nessuno ti può fermare.
Da una recensione sul sito di Julian Cope, rocker di culto negli anni Ottanta: “Quando muoio, voglio “Spanish dancer”, al mio funerale. E se mi dicessero che ho dieci minuti prima di diventare sordo, ascolterei tutta “Spanish dancer”, e poi ne riascolterei un’altra metà”.

Valerie

(Talking back to the night, 1982)
Winwood vide che gli andava bene
con dei pezzi pop ben arrangiati e
pieni di suoni, e ne sfornò parecchi
in successione. Visti da qui, suona-
no un po’ noiosi, soprattutto nei refrain. “Valerie” però ha un bel ritmo, e il suo refrain vince per semplicità. “Va-le-rìììììì!”. Anche questa fu scritta con Jennings: un
remix successivo andò forte.