Cosa manca nella proposta sulla regolamentazione della prostituzione di Salvini

Quasi tutto, in realtà: chi si occupa da anni del tema dice che riaprire le case chiuse non è affatto una buona idea

Lavoratori del sesso francesi protestano di fronte all'Assemblea Nazionale a Parigi, il 17 settembre 2013; sul cartello in inglese c'è scritto «Il lavoro di chi si prostituisce è lavoro», uno degli slogan principali dei movimenti di difesa dei diritti di chi si prostituisce per scelta (AP Photo/Christophe Ena)
Lavoratori del sesso francesi protestano di fronte all'Assemblea Nazionale a Parigi, il 17 settembre 2013; sul cartello in inglese c'è scritto «Il lavoro di chi si prostituisce è lavoro», uno degli slogan principali dei movimenti di difesa dei diritti di chi si prostituisce per scelta (AP Photo/Christophe Ena)

Tra le proposte politiche che stanno arrivando dai partiti con l’avvicinarsi delle elezioni del 4 marzo c’è stata quella del segretario della Lega Nord Matteo Salvini sulla «regolamentazione e tassazione della prostituzione» e la riapertura delle cosiddette «case chiuse», nome con cui venivano chiamate le strutture statali in cui lavoravano le prostitute fino al 1958, prima dell’entrata in vigore della cosiddetta legge Merlin.

Salvini ha presentato la proposta parlando dei benefici che secondo lui porterebbe alle persone che svolgono prestazioni sessuali per denaro, a cui ci si riferisce spesso come “sex workers”. Ma la versione di Salvini ha ricevuto diverse critiche: tra queste, quella di Giorgia Serughetti, sociologa ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca e autrice del saggio Uomini che pagano le donne, intervistata da Vice, e della blogger femminista Eretica, che ha ricordato come il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, la principale organizzazione italiana che difende i diritti di chi si prostituisce, sia da sempre contrario alla riapertura delle case chiuse.

Tra i paesi europei ci sono grosse differenze sulle leggi che riguardano la prostituzione. In molti paesi è illegale: in alcuni di questi, come la Croazia, sono previste pene sia per le persone che si prostituiscono che per i loro clienti; in altri, come la Francia e la Svezia, solo per i clienti. Ci sono poi i paesi in cui la prostituzione è legale e regolamentata, come la Germania. Infine ci sono molti paesi, tra cui l’Italia, il Regno Unito e la Spagna, in cui prostituirsi non è un reato ma nemmeno un’attività lavorativa regolamentata; in questi paesi le attività collaterali alla prostituzione, come la gestione di bordelli e lo sfruttamento della prostituzione, sono illegali.

L’attuale proposta di Salvini sulla regolamentazione della prostituzione non è la prima che entra nel dibattito politico italiano degli ultimi decenni: fin dagli anni Novanta diversi esponenti della Lega ne hanno parlato e molte proposte di legge in materia (non tutte favorevoli alla riapertura delle case chiuse) sono state depositate in Parlamento da varie parti politiche (più di dieci solo nell’ultima legislatura). Salvini ne aveva già parlato un anno fa, citando gli esempi di altri paesi europei come la Germania, l’Austria e i Paesi Bassi dove la prostituzione è regolamentata per legge e le case chiuse sono legali. Secondo Salvini adottare leggi simili in Italia sarebbe utile per fornire servizi previdenziali alle persone che si prostituiscono e «garanzie igienico-sanitarie» a loro e ai loro clienti, oltre a creare un nuovo tipo di redditi tassabili.

Intervistata da Claudia Torrisi su Vice, Serughetti ha spiegato che le case chiuse che esistevano in Italia prima della legge Merlin «erano delle prigioni, delle istituzioni disciplinari dove i diritti e le libertà individuali erano sospesi» e che ciò a cui pensano i politici che ne propongono la riapertura è qualcosa di diverso: «appartamenti privati, con un numero massimo limitatissimo di persone che lavorino in forme di autogestione». Serughetti è comunque critica nei confronti di queste proposte, perché secondo lei contengono «un forte accento disciplinare, di controllo sui corpi di chi esercita la prostituzione» e perché «non esiste alcuna evidenza che aprendole e regolamentandole possa sparire la prostituzione di strada», uno degli obiettivi delle proposte stesse.

Quando si parla di prostituzione, infatti, bisogna distinguere tra quella esercitata da persone che la praticano per scelta – e che preferiscono che le si descriva come “lavoratori del sesso” piuttosto che con il termine “prostitute” – e le moltissime che invece sono costrette a prostituirsi. Quest’ultima categoria è formata soprattutto da donne straniere, molte delle quali portate in Italia illegalmente per essere sfruttate; recentemente il Guardian ha pubblicato un documentario sull’esperienza di alcune di loro e di chi cerca di assisterle. Le proposte di regolamentazione che vengono fatte solitamente hanno l’obiettivo di trasformare l’attività delle prostitute per scelta in un vero e proprio lavoro, pretendendo di eliminare così lo sfruttamento di chi si prostituisce solo perché costretto.

Serughetti ha sottolineato che però anche analizzando i casi di studio forniti da altri paesi «non è possibile provare né una causalità diretta tra la legalizzazione e l’aumento di tratta e sfruttamento, né tra la legalizzazione e la loro diminuzione». Inoltre anche leggi come quella tedesca hanno creato nuovi problemi dopo essere state introdotte: molte prostitute hanno continuato a essere sfruttate ed è diventato più difficile punire i loro “protettori”.

Per Serughetti il grosso problema delle proposte della Lega, da quelle del passato all’ultima fatta da Salvini, è che non sono state pensate consultando chi si occupa dei diritti dei lavoratori del sesso, e quindi non tengono bene conto delle loro necessità. Ad esempio propongono controlli medici regolari su chi esercita la prostituzione senza tenere conto del fatto che sono i clienti a chiedere molto spesso rapporti sessuali non protetti: misure che li responsabilizzassero sarebbero più sensate.

Serughetti ritiene che debbano essere pensati nuovi modelli di regolamentazione della prostituzione, diversi da quelli attualmente diffusi in Europa: dovrebbero permettere ai lavoratori del sesso di auto-organizzarsi e di creare iniziative di mutua assistenza, conservando alcuni principi della legge Merlin, come il divieto di registrazione per chi si prostituisce e il divieto di controlli sanitari obbligatori che possano favorire forme di discriminazione. Si tratta di richieste simili a quelle fatte da anni dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute che chiedono che i lavoratori del sesso possano aprire partite IVA che riconoscano la loro attività come legittima, di poter maturare una pensione in relazione ad essa e che siano eliminate alcune parti della legge Merlin: ad esempio quella che punisce chi affitta uno spazio a una persona che ci vuole esercitare la prostituzione (è considerato favoreggiamento).

Per quanto riguarda l’aspetto fiscale della faccenda, le cose sono altrettanto complicate. Salvini ha detto che la Lega ha stimato che tassare la prostituzione porterebbe «introiti per 2 miliardi di euro» allo stato, ma non è chiaro su che base siano stati calcolati. Sappiamo che, secondo le più recenti stime dell’Istat sulla prostituzione, nel 2015 i residenti in Italia hanno speso 4 miliardi di euro per prestazioni sessuali a pagamento e che ci sono due sentenze della Corte di Cassazione che prevedono che i ricavi derivanti dall’attività di prostituzione siano tassati quando le autorità ne vengono a conoscenza.