Perché dopo una piccola bugia non ti fermi

Un gruppo di ricercatori ha notato che dire menzogne porta a una sorta di assuefazione, che a sua volta porta a raccontarne altre

Jim Carrey e Justin Cooper in Bugiardo Bugiardo (1997)
Jim Carrey e Justin Cooper in Bugiardo Bugiardo (1997)

Nella commedia teatrale “Il bugiardo”, Carlo Goldoni fa dire al suo protagonista, Lelio Bisognosi, che “le bugie son per natura così feconde, che una ne suole partorir cento”. Spesso per coprire un’innocente menzogna ne serve una più grossa, che a sua volta porta a dire altre bugie innescando un circolo vizioso dal quale è complicato uscire, come sanno bene quelli che ne raccontano molte. Il meccanismo della bugia è stato studiato nel tempo da psicologi, sociologi e altri ricercatori ottenendo risultati alterni e poco convincenti, ora una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience dà qualche indizio in più su quando raccontiamo una bugia: a quanto pare, dopo la prima, se ne raccontano altre non tanto per coprire le precedenti, ma perché scatta una sorta di meccanismo di assuefazione nel cervello.

La ricerca è stata condotta presso lo University College of London nel Regno Unito e ha coinvolto un gruppo di volontari che sono stati incoraggiati a mentire, ma con un sistema subdolo e articolato a sufficienza da rendere il loro comportamento il più naturale possibile, per non condizionare l’esito delle osservazioni. A ogni partecipante è stato mostrato un barattolo con delle monetine al suo interno, in quantità variabili a seconda dei casi, e gli è stato richiesto di comunicare a una persona in un’altra stanza la sua stima sulla quantità di monetine nel recipiente. Il partecipante nell’altra stanza aveva a disposizione solo un’immagine a bassa risoluzione del barattolo, quindi poteva fare solo affidamento sulle dichiarazioni del volontario per indovinare la quantità di monete.

Il gioco aveva inoltre alcune regole predeterminate dai ricercatori: in alcuni test una risposta corretta implicava una ricompensa per entrambi i partecipanti, mentre in altri veniva detto al volontario che una risposta sbagliata del suo partner gli avrebbe permesso di ottenere una ricompensa più alta per sé e inferiore per il partner; inoltre, più era sbagliata la stima delle monete per il partner, più era alta la ricompensa per il volontario. In altri test è stato fatto il contrario, stabilendo che spettassero al partner ricompense più alte rispetto al volontario.

Sfruttando questo meccanismo, i ricercatori hanno ottenuto un comportamento genuino da parte dei volontari, che nella maggior parte dei casi hanno mentito quando avevano la possibilità di ottenere una ricompensa più alta facendo sbagliare il loro partner. E si è verificata una vera e propria escalation, con diversi volontari che hanno mentito consecutivamente per ottenere ricompense sempre più alte.

Mentre partecipavano al gioco, i volontari sono stati sottoposti a una risonanza magnetica funzionale, un esame non invasivo che permette di osservare i tessuti interni dell’organismo, e in questo caso l’attività di specifiche aree del cervello, note per essere attive quando si dicono bugie. I ricercatori si sono concentrati sull’amigdala, la parte del cervello che tra le altre cose gestisce le emozioni e la paura. Hanno notato che la prima bugia è associata a una consistente attivazione dell’amigdala, ma che poi questa tende a diminuire man mano che si continuano a dire nuove bugie. Il cambiamento è così marcato da avere permesso ai ricercatori di prevedere quanto sarebbe stata più grande la bugia successiva pronunciata da un volontario durante il gioco.

Gli psicologi sanno da tempo che quando si dice una menzogna per proprio tornaconto ci si sente in colpa, ma che questa sensazione svanisce o diventa meno frequente quando si dicono bugie con un’alta frequenza. La nuova ricerca suggerisce che questa sorta di assuefazione si verifichi nell’amigdala, a livello cerebrale, e che contribuisca a rendere i mentitori incalliti più propensi a non farsi molti problemi a dire una bugia dopo l’altra invece della verità.

Il nostro cervello funziona soprattutto notando le differenze, quando per esempio entriamo in una stanza e c’è uno strano profumo tendiamo a notarlo subito, ma dopo poco tempo non lo sentiamo più. Con le bugie succede qualcosa di simile, ha spiegato Tali Sharot, che ha partecipato alla ricerca: “Che sia evadere le tasse, infedeltà, doping nello sport, taroccare i dati in una ricerca o in ambito finanziario, i mentitori spesso ricordano di quando hanno iniziato con un piccolo comportamento disonesto, che li ha portati a compierne altri”. Sharot fa l’esempio dell’evasione fiscale: la prima volta che non paghi tutte le tasse ti senti un po’ in colpa, ma se riesci a superare la cosa il tuo comportamento riprovevole riceve comunque un rinforzo positivo e la volta dopo non ti sembra poi così male, cosa che può portarti a mentire ancora di più.

Anche se non dà molte risposte su come è regolato il meccanismo cerebrale delle bugie, lo studio ha ricevuto critiche positive da molti ricercatori, soprattutto per il sistema ideato per indurre i volontari a mentire nel modo più spontaneo possibile. Resta qualche scetticismo sull’utilizzo della risonanza magnetica funzionale, che talvolta porta a falsi positivi e non dà sempre risultati chiari e inequivocabili.