Perché procrastiniamo

E come smettere di procrastinare, spiegato con disegni divertenti e studi scientifici: è una questione di emozioni

di Ana Swanson − The Washington Post

(Spencer Platt/Newsmakers)
(Spencer Platt/Newsmakers)

Vi è mai capitato di sedervi con l’intenzione di finire una cosa importante per poi ritrovarvi improvvisamente a caricare la lavastoviglie, o intrappolati sulla pagina di Wikipedia su Chernobyl? O di realizzare tutt’a un tratto di dover far mangiare il cane, rispondere a delle email, di dover spolverare qualcosa o semplicemente che forse dovreste pranzare, anche se sono solo le 11 del mattino? Da un momento all’altro la giornata è finita e quella cosa importante che dovevate fare è ancora lì. Per molte persone la procrastinazione è quella forza potente e misteriosa che impedisce di portare a termine i compiti più urgenti e importanti della propria vita, come quando si cerca di unire gli stessi poli di due calamite. È una forza potenzialmente pericolosa, che porta chi ne è vittima a trascurare gli studi, essere poco produttivo sul lavoro, posticipare cure mediche o a non risparmiare denaro e tempo. Uno studio della Case Western Reserve University del 1997 ha scoperto che chi all’università è abituato a procrastinare finisce per essere più stressato, ammalarsi di più e avere voti più bassi.

I motivi che portano le persone a procrastinare, tuttavia, non sono così chiari. Alcuni ricercatori considerano la procrastinazione fondamentalmente come l’incapacità di sapersi organizzare, come succede per altre cattive abitudini legate alla mancanza di autocontrollo, come l’abuso di cibo, i problemi con il gioco d’azzardo o la tendenza a spendere troppo. Per altri, invece, non ha a che fare con la pigrizia o la cattiva gestione del tempo, come possono dimostrare molte persone brillanti che hanno risultati sopra le media e tendono comunque a procrastinare. Per queste persone la procrastinazione potrebbe essere legata al funzionamento del cervello e alla percezione del tempo e di se stessi, a un livello più profondo.

Per spiegare come funziona la procrastinazione, e come fare per fermarla, ci vengono in aiuto una ricerca scientifica, dei disegni e i Simpson.

Le vere origini della procrastinazione

Per molti psicologi la procrastinazione è una forma di evitamento, un meccanismo di coping (in psicologia, quelle strategie adottate dalle persone per fronteggiare situazioni stressanti) andato storto che spinge le persone ad «arrendersi per sentirsi meglio», dice Timothy Pychyl, un professore della Carleton University di Ottawa in Canada che si occupa di procrastinazione. Di solito si manifesta quando le persone hanno paura o ansia per un compito che le aspetta. Per sbarazzarsi di questa sensazione negativa si rimanda quello che si dovrebbe fare: iniziando un videogioco o aprendo un social network, per esempio. Questo fa stare meglio momentaneamente, ma purtroppo la realtà alla fine torna a farsi sentire. Quando la scadenza incombente riappare, i procrastinatori avvertono un forte senso di colpa e vergogna. Ma per un procrastinatore estremo queste sensazioni possono diventare semplicemente un’altra ragione per rimandare, trasformando così quel comportamento in un circolo vizioso e controproducente.

Tim Urban, che gestisce il blog Wait But Why, ha una spiegazione incredibile e divertente, per quanto non tecnica, di cosa succede nel cervello di un procrastinatore. Urban si definisce un “maestro della procrastinazione”: quando andava all’università aspettò gli ultimi tre giorni prima della consegna per iniziare a scrivere la sua tesi di 90 pagine. Di recente Urban ha tenuto un TED Talk (una di quelle conferenze in cui persone importanti parlano per alcuni minuti di un argomento che conoscono bene) sulla sua tendenza a procrastinare in modo estremo, usando dei disegni per spiegare quant’è diversa la vita per un procrastinatore estremo.

Per prima cosa, Urban descrive com’è fatto il cervello di un non-procrastinatore, in cui c’è una componente razionale che prende le decisioni, salda al timone:

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Un procrastinatore ha un cervello simile, se non fosse per la presenza di un piccolo amico, che Urban chiama “la scimmietta della gratificazione immediata”.

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La scimmietta sembra essere divertente, ma in realtà causerà solo problemi, come spiegano i disegni di Urban:

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La cosa continua finché la situazione non diventa disperata, e si inizia a profilare la prospettiva della fine della propria carriera professionale o scolastica. È ora che quello che Urban chiama il “mostro del panico” entra in scena e ci spinge a muoverci.

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Ci sono diversi tipi di procrastinatori secondo Urban. Alcune persone rimandano le cose da fare facendone altre, inutili, come cercare Gif di gatti. Altre fanno cose sensate – puliscono casa, o fanno il loro lavoro noioso – ma non arrivano mai a dedicarsi a quello che vogliono davvero fare nella vita, le cose più importanti, gli obiettivi a lungo termine. Per spiegare questo concetto Urban usa la cosiddetta “matrice di Eisenhower”, che prende il nome dal presidente americano Dwight D. Eisenhower, famoso per la sua produttività. Eisenhower era convinto che le persone dovessero usare il proprio tempo facendo le cose che consideravano davvero importanti, quelle che qui sotto si trovano nel quadrante 1 e 2.

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Purtroppo la maggior parte dei procrastinatori trascorre poco tempo in questi quadranti, dice Urban, ma rimangono perlopiù nei quadranti 3 e 4, facendo cose che potrebbero anche essere importanti ma non sono urgenti, per poi fare un breve salto nel quadrante 1, quando il mostro del panico prende il sopravvento.

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Per Urban questa abitudine è davvero deleteria perché «la strada verso i sogni del procrastinatore − che porta ad allargare i suoi orizzonti, a esplorare il suo vero potenziale e raggiungere risultati di cui essere davvero orgoglioso − passa direttamente dal quadrante 2. Le persone possono anche tirare avanti vivendo nei quadranti 1 e 3, ma è nel secondo quadrante che le persone hanno successo, maturano e sbocciano».

La spiegazione di Urban è personale, ma è confermata anche dagli studi psicologici sull’argomento. Pychyl definisce la tendenza dei nostri pensieri a sfrecciare da un posto all’altro impedendoci di concentrarci come la “mente da scimmia”. Gli psicologi concordano sul fatto che il problema dei procrastinatori è che − invece di rimanere concentrati sui loro obiettivi a lungo termine − sono tentati a cedere alle gratificazioni immediate, che innescano quella forma di sollievo istantaneo che gli psicologi definiscono  “piacere edonico”. Gli obiettivi importanti (quelli che nella matrice qui sopra occupano il primo e il secondo quadrante) sono più difficili ma a lungo andare portano una sensazione di benessere e soddisfazione più durevole, che gli psicologi chiamano “piacere eudemonico”.

Homer del presente vs. Homer del futuro

Gli psicologi hanno altri modelli affascinanti per spiegare le forze che stanno dietro alla procrastinazione. Alcuni credono che sia così difficile da gestire perché è collegata alla percezione del tempo e della differenza tra quello che chiamano il “sé presente e il sé futuro”, a un livello più profondo. L’idea è che anche se sulla carta sappiamo che la persona che saremo tra un mese è la stessa che siamo oggi, abbiamo poca considerazione, comprensione e empatia per il nostro sé futuro: le persone si concentrano molto più su come si sentono ora.

Per Pychyl c’è una clip che spiega piuttosto bene la discrepanza tra come pensiamo al nostro sé attuale rispetto a quello futuro: in un episodio dei Simpson, Marge sgrida Homer perché non passa abbastanza tempo con i suoi figli. «Un giorno i ragazzi se ne andranno di casa e tu ti pentirai di non aver passato più tempo con loro».


«È un problema dell’Homer del futuro. Non invidio quell’uomo», risponde Homer, mentre si versa della vodka in un barattolo di maionese, prima di bere l’intruglio e crollare a terra.

«Quando prendono decisioni a lungo termine, le persone in sostanza tendono a non avere una connessione emotiva con i loro sé futuri», ha detto Hal Hershfield, psicologo alla Anderson School of Management dell’UCLA. «Quindi, anche se so che tra un anno fondamentalmente sarò sempre la stessa persona, tratto il mio sé futuro come se fosse una persona diversa, come se non beneficerà o pagherà le conseguenze delle mie azioni attuali». Gli studi di Hershfield rafforzano quest’idea. Hershfield ha fatto delle risonanze magnetiche ad alcune persone mentre pensavano a loro stessi nel presente, a personaggi famosi come Natalie Portman o Matt Damon, e sé stessi nel futuro, scoprendo che le informazioni sul sé stesso del presente e quello del futuro vengono elaborate in aree diverse del cervello. Quando ci descriviamo tra dieci anni la nostra attività cerebrale è simile a quando descriviamo Natalie Portman.

Uno studio del 2008 di Emily Pronin della Princeton University è arrivato a conclusioni simili. Pronin ha dato a delle persone un intruglio disgustoso fatto con salsa di soia e ketchup, facendo loro decidere quanto loro o un’altra persona avrebbero dovuto berne. Le persone nel primo gruppo hanno scelto di bere la sostanza, quelle nel secondo di farla bere ad altri, e il terzo gruppo ha deciso di berla ma dopo due settimane. Lo studio ha dimostrato che i partecipanti erano disposti a bere metà tazza della sostanza nel futuro, ma si impegnavano a berne solo due cucchiai il giorno stesso. L’ultima ricerca di Pychyl suggerisce che nelle persone che sono più in contatto con i loro sé futuri − tra due mesi come tra dieci anni − si riscontrano meno episodi di procrastinazione.

Le ricerche, però, mostrano anche che per i procrastinatori sarebbe possibile stabilire un maggiore contatto con i se stessi futuri, un cambiamento che potrebbe aiutarli a essere più felici a lungo termine. Ad alcuni dei partecipanti a uno studio di Hershfield sono state mostrate delle foto di loro stessi invecchiati digitalmente con la realtà virtuale. A tutti i soggetti è stato poi chiesto come avrebbero speso mille dollari. Le persone che avevano visto la foto invecchiata hanno deciso di investire in un fondo pensione il doppio delle volte rispetto agli altri.

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Una foto dello psicologo Hal Hershfield e del suo viso invecchiato digitalmente (tratto da “Increasing Saving Behavior Through Age-Progressed Rendering of the Future Self,” Hershfield et. al.)

Le compagnie assicurative hanno sfruttato queste scoperte. Bank of America Merrill Lynch ha lanciato un servizio che si chiama “Face Retirement” (“Pensionamento del viso”) che permette di caricare una propria foto e vederla invecchiata digitalmente, e anche Allianz ha creato un servizio simile con l’aiuto della propria squadra di scienziati comportamentali.

Come tornare a essere produttivi

Oltre a cercare di essere più gentili con il nostro sé futuro, cos’altro si può fare per combattere la procrastinazione? Secondo Tim Urban il consiglio classico dato ai procrastinatori − cioè, smettetela di fare quello che state facendo e mettetevi a lavorare − è ridicolo, dal momento che la procrastinazione non è qualcosa che i procrastinatori estremi sentono di poter controllare. «Già che ci siamo, facciamo in modo che le persone obese evitino di mangiare troppo, che i depressi evitino di essere apatici… e per favore qualcuno dica alla balene spiaggiate di evitare di nuotare nell’oceano», scrive Urban.

Secondo chi si occupa dell’argomento, tuttavia, esistono dei semplici consigli che possono aiutare i procrastinatori a darsi una mossa. Le ricerche mostrano che una delle cose più efficaci che i procrastinatori possono fare è perdonare sé stessi. Uno studio condotto da Pychyl e altre persone dimostra che gli studenti che dicono di essersi perdonati per aver rimandato lo studio per il primo esame hanno finito per procrastinare meno per il secondo. Questo consiglio funziona perché la procrastinazione è legata a sensazioni negative. Perdonare sé stessi può ridurre il senso di colpa, uno delle principali cause che portano alla procrastinazione. Ma per Pychyl la cosa migliore da fare è riconoscere il fatto che non bisogna essere dell’umore giusto per fare una determinata cosa: ignorate semplicemente come state e iniziate a farla.

«La maggior parte di noi sembra essere implicitamente convinta che il nostro stato emotivo debba essere adeguato al compito che dobbiamo svolgere», dice Pychyl. Ma non è così: «Bisogna ammettere a se stessi che raramente si avrà voglia di fare quella cosa, e che la si deve fare comunque». Invece di concentrarci su come ci sentiamo, dobbiamo pensare a qual è la nostra prossima azione, dice Pychyl, che consiglia di scomporre le cose da fare in piccolissimi passi che sono davvero realizzabili. Se dovete scrivere una lettera di referenze, per esempio, il primo passo è scrivere la data. Anche se sono piccole azioni, un minimo progresso fa sentire meglio rispetto al compito da svolgere e aumenta l’autostima, che a sua volta riduce il desiderio di procrastinare per sentirsi meglio.

Secondo Pychyl insegnanti e genitori dovrebbero insegnare ai bambini a combattere la tentazione di procrastinare fin da piccoli. «Molti insegnanti pensano che i ragazzi che procrastinano abbiano problemi di gestione del tempo. Ma sbagliano: hanno problemi a gestire le emozioni. Devono imparare che non ci si può sempre sentire bene, ma che ce ne si deve fare una ragione». «Si dice che una volta Mark Twain abbia detto: “Se il tuo lavoro è mangiare una rana, mangiala appena sveglio, e se il tuo lavoro è mangiarne due, parti da quella più grossa”», ha detto Pychyl.

Urban in sostanza dice la stessa cosa usando una metafora diversa. «Nessuno costruisce una casa. Si posa mattone dopo mattone e la casa è il risultato finale. I procrastinatori hanno grandi progetti: adorano fantasticare sulla splendida villa che un giorno avranno costruito, ma quello che devono diventare sono gli operai edili che metodicamente e con determinazione posano un mattone dopo l’altro, giorno dopo giorno, senza arrendersi finché la casa non è finita».

© 2016 − The Washington Post