Come si libera un’orca cresciuta in cattività

Se l'è chiesto una nota catena statunitense di parchi marini che ha deciso che smetterà di allevarle: si può fare, ma è molto costoso e comporta parecchi rischi

(Matt Stroshane/Getty Images)
(Matt Stroshane/Getty Images)

SeaWorld è una catena statunitense di parchi marini, famosa – e contestata – soprattutto per i suoi spettacoli con le orche. Nel novembre 2015 il parco SeaWorld di San Diego, in California, comunicò che avrebbe eliminato gli spettacoli con le orche e che entro il 2019 non ci saranno più spettacoli di quel tipo nemmeno negli altri due parchi statunitensi in cui SeaWorld ha delle orche: quello di San Antonio, in Texas, e quello di Orlando, in Florida. In questi tre parchi ci sono in tutto 24 orche e il 17 marzo SeaWorld ha annunciato che oltre ad eliminare gli spettacoli smetterà anche di allevare orche in cattività. Dopo queste orche, quindi, non ne nasceranno altre. C’è però un problema: cosa si fa delle orche che ora sono in cattività?

Joel Manby, presidente e amministratore delegato di SeaWorld Parks and Entertainment, ha scritto un articolo per il Los Angeles Times in cui ha spiegato che, al contrario di quanto credono diverse associazioni per i diritti degli animali, lasciare libere le orche “non è una scelta saggia“. Manby ha spiegato che la maggior parte delle orche di SeaWorld sono nate in cattività e che anche quelle che sono state catturate e poi portate nei parchi hanno comunque passato la maggior parte della loro vita in cattività: «Se le dovessimo lasciare libere nell’oceano è molto probabile che morirebbero», ha spiegato Manby.

Manby ha scritto che “nessuna orca o nessun delfino nato in cattività è mai riuscito a sopravvivere in libertà” e ha citato un caso particolarmente famoso, quello dell’orca Keiko. Keiko è l’animale protagonista del film del 1993 Free Willy – Un amico da salvare: fu catturata in Islanda nel 1979 e poi portata in Messico, dove restò per anni in un parco marino. Il New York Times spiega che dopo l’uscita del film si costruì in Oregon, negli Stati Uniti, una sorta di di acquario di riabilitazione, che permettesse a Keiko di riabituarsi alla vera vita nell’oceano, in attesa di una sua liberazione. Nel 2002 Keiko fu rilasciata, ma un anno dopo fu trovata morta in Norvegia. Morì di polmonite e si pensa che la morte fu dovuta anche all’incapacità di nuotare nell’oceano con la forza necessaria, e per i problemi che ebbe nel trovarsi il cibo da sé e nel trattenere il fiato per il tempo necessario (sono mammiferi, le orche).

Un articolo del Los Angeles Times scritto in seguito a quello di Manby cita due ragioni che sembrano confermare la tesi di Manby sull’impossibilità di rimettere le orche in libertà. Oltre che con i poco propizi precedenti citati da Manby le due ragioni riguardano i costi e l’inquinamento degli oceani. I problemi dei costi hanno a che fare con il numero delle orche di SeaWorld, che – contando anche le cinque che si trovano in un parco in Spagna – sono 29. Non ci sono al momento degli acquari di riabilitazione abbastanza grandi per accoglierle, nemmeno se le si dividesse in diversi acquari. I costi per l’acquario costruito per Keiko furono supportati dal successo del film, ogni nuovo acquario costerebbe circa cinque milioni di dollari a cui andrebbero aggiunti costi di gestione e di personale (circa 500mila dollari l’anno, per ogni acquario). Un’alternativa agli acquari sono i cosiddetti santuari marini: delle aree di mare delimitate da reti, in cui le orche si possano abituare al mare restando in un ambiente chiuso e controllato: anche questa soluzione è costosa e complicata.

Il Los Angeles Times spiega anche che negli acquari o nella aree marine appena citate alle orche non sarebbe permesso riprodursi (perché la cosa rappresenterebbe un ulteriore problema per le orche che dovrebbero tornare in libertà). Ma “siccome per le orche non esistono contraccettivi a lungo termine, bisognerebbe separare maschi e femmine”, almeno in certi periodi. Il problema dell’inquinamento è più semplice: le orche in cattività vivono in ambienti particolari. Dei santuari o degli acquari con acqua di mare costruiti per prepararle all’oceano avrebbero un’acqua più sporca e con batteri e virus che potrebbero ucciderle.

Nel suo articolo Manby ha spiegato che le orche dei parchi SeaWorld continueranno a essere curate e nutrite finché vivranno e ha precisato che è da quattro decenni che SeaWorld non cattura più nessuna orca. La decisione di terminare gli spettacoli con le orche e il loro allevamento in cattività è arrivata in seguito a dei problemi dei parchi SeaWorld con l’autorità costiera della California e dopo le critiche di parte dell’opinione pubblica. Dei problemi delle orche allevate da SeaWorld si parla soprattutto dal 2012, anno in cui è uscito il libro Death at SeaWorld: Shamu and the Dark Side of Killer Whales in Captivity del giornalista David Kirby, che parlava dei problemi delle orche cresciute in cattività. Nel 2013 è poi uscito il documentario Blackfish, che raccontava la vita di Tilikum, un’orca del SeaWorld di Orlando, che è ancora nel parco ed è piuttosto malata.