Il successo dei vini cileni in Cina

Il Cile è diventato il quarto esportatore di vino in Cina: è merito dei prezzi competitivi delle etichette cilene ma anche del libero mercato

di Mac Margolis – Bloomberg

Delle bottiglie di Carménère durante una degustazione nella valle del Maipo, a sud di Santiago, il 23 settembre 2014 (MARTIN BERNETTI/AFP/Getty Images)
Delle bottiglie di Carménère durante una degustazione nella valle del Maipo, a sud di Santiago, il 23 settembre 2014 (MARTIN BERNETTI/AFP/Getty Images)

Tra il grave rallentamento dell’economia e gli scandali sulla corruzione, in Cile non c’è stato molto da festeggiare ultimamente. Per questo motivo, quando il Cile ha annunciato che la Cina era diventato il più grande importatore di vini pregiati cileni, la notizia è stata accolta positivamente. Di recente il dipartimento dell’Agricoltura cileno ha reso noto che l’anno scorso il Cile ha venduto vini pregiati in bottiglia alla Cina per 163 milioni di dollari, superando le vendite nel Regno Unito e negli Stati Uniti. La cifra potrebbe non sembrare esorbitante: in effetti è solo una minima parte dei 258 miliardi di dollari stimati per la vendita di vino a livello mondiale. Ma per il Cile – uno dei cosiddetti paesi produttori di vino del Nuovo Mondo, che sta cercando di ritagliarsi un posto nel mercato globale – è una cifra molto importante: ed è anche una lezione per gli altri paesi dell’America Latina, ancora bloccati sul mercato delle materie prime guidato dalla Cina.

La vertiginosa crescita industriale della Cina degli ultimi dieci anni ha spinto la produzione nel continente americano, e i paesi ricchi di materie prime hanno esportato sul mercato cinese grandi quantità di minerali ferrosi, carne bovina, soia e petrolio. Il boom delle materie prime è però finito e i prezzi del rame – la principale fonte di esportazione del Cile – hanno toccato il minimo da sei anni a questa parte. Oggi la maggior parte dei produttori dall’America Latina sono fermi e sperano di risalire la filiera. È qui che gli ambiziosi produttori di vino del Nuovo Mondo – come Australia, Sudafrica e Cile – hanno intravisto un’opportunità.

Qualche anno fa i media che si occupano di economia raccontavano spesso dei nuovi ricchi asiatici che ricercavano marchi di lusso ed erano disposti a pagare molti soldi per abbinare i migliori Bordeaux o vini toscani ai loro pasti di alta cucina. L’ambizione del momento per i milionari cinesi è ancora comprare un’azienda vinicola in Francia. Con la graduale diffusione della ricchezza in Cina, eppure, anche il gusto per i prodotti di alto livello è aumentato. Nel 2012 in Cina si beveva già più vino rosso che in Francia: una manna per i produttori di etichette cinesi di basso profilo. L’etichetta cinese più famosa, la “Muraglia”, potrebbe anche non superare molti test di degustazione alla cieca, ma si può sorseggiare per l’equivalente di circa cinque euro alla bottiglia. È sempre di più il ceto medio a spingere il mercato dei consumatori cinesi: studenti universitari con gusti da intenditori e giovani professionisti che cercano marchi di qualità ma a prezzi ragionevoli, una via di mezzo tra un Amarone e un vino in cartone.

Qui entra in gioco il Cile, un terra di viticoltori tradizionali ma anche tecnologicamente all’avanguardia, nota per i suoi vini molto apprezzati anche se meno conosciuti, e dai prezzi contenuti. La produzione di vino da quelle parti è in grande espansione, grazie al calo del costo dell’uva e alla moneta più debole, che rende il vino cileno più competitivo all’estero. Questi fattori hanno aiutato il Cile a sottrarre una fetta di mercato a paesi produttori di vino più blasonati nei mercati globali: nel 2015 il Cile ha venduto più vino in Giappone della Francia. Il mercato più importante è però la Cina continentale, che nonostante il periodo di rallentamento economico viene dipinta come il futuro per la vendita di vino a livello globale. Fino a meno di dieci anni fa era difficile trovare vini cileni a Pechino e Shanghai. L’anno scorso, tuttavia, il Cile è diventato il quarto fornitore di vino della Cina, con 65 milioni di bottiglie vendute e un aumento del volume d’affari del 43 per cento rispetto al 2014. Per sviluppare il marchio dei vini del Cile, “Wines of Chile”, un ente per la promozione delle etichette cilene ha aperto un ufficio a Shanghai nel 2014 e l’anno scorso ha avviato un’accademia vinicola a Hong Kong, che inizierà gli aspiranti enofili ai segreti del vino del Nuovo Mondo.

Presumibilmente tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’altro vantaggio competitivo del Cile: il libero mercato. Il Cile, noto per essere il paese più orientato al mercato in America Latina, ha tenuto aperti i confini e ha evitato le trappole dei suoi litigiosi vicini del Mercosur, il mercato comune del Sud America frenato per anni dal protezionismo e da battibecchi ideologici. Il Cile è stato il primo paese in America Latina a firmare un accordo di libero mercato con la Cina, nel 2005. Nei dieci anni successivi il commercio bilaterale è quadruplicato, raggiungendo la quota di 34,1 miliardi di dollari. Una piccola ma crescente parte di questi scambi commerciali è rappresentata dai vini cileni, che grazie all’accordo commerciale ora possono entrare in Cina senza essere soggetti a dazi: una cosa a cui brindare.

© Bloomberg – 2016