Non solo Steinway

È la marca che tutti associano all'eccellenza nei pianoforti, ma molti musicisti preferiscono altri produttori che stanno facendo molta più ricerca e innovazione

di Anne Midgette – Washington Post

Axel Heimken/picture-alliance/dpa/AP Images
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Un pianoforte, si dice, può imitare il suono di un’intera orchestra, che si estende dai tuonanti forte – che è l’intensità di una nota o di una frase musicale – a flussi di note più “liquide”. Ma le persone che oggi parlano del suono del pianoforte, parlano di un solo produttore di pianoforti: Steinway, il marchio fondato nel 1853 a Manhattan da un immigrato tedesco considerato da molti come il primo produttore moderno di pianoforti.

Per diverse generazioni di musicisti e amanti di musica, gli Steinway sono arrivati a rappresentare il punto più alto del suono del pianoforte. Come Kleenex o Xerox, il nome Steinway rappresenta un’intera classe di oggetti. Più del 98 per cento dei concertisti scelgono di suonare su Steinway, mostrano alcuni dati raccolti da Steinway stessa. In un campo così soggetto a sfumature e sottigliezze come la musica classica, colpisce che un solo produttore possa avere tutta questa influenza. Specialmente se si considera che non è così certo che sia così migliore dei suoi competitori. «Il problema è che ogni Steinway è diverso», ha spiegato Joey Calderazzo, noto pianista jazz recentemente passato ai pianoforti Blünther. «Non ho idea di quello che troverò» – ha aggiunto Blünther: «Se trovi un buon Steinway è un pianoforte valido come i migliori che ci sono al mondo. Ma solo uno su 30 Steinway è un buon Steinway. E ci sono altri produttori di pianoforte che stanno cambiando le carte in tavola».

Per esempio ci sono gli esclusivi pianoforte Fazioli, prodotti dal 1981 in Italia usando lo stesso legno proveniente dalla Val di Fiemme che veniva usato per i violini Stradivari e che stanno diventando la prima scelta di alcuni artisti di fama mondiale. Ci sono i CFX, con cui Yamaha ha consolidato la sua ascesa da produttore di pianoforti “da lavoro” fino ad arrivare a essere uno dei principali competitori di Steinway. E infine ci sono altri produttori che hanno tanta storia almeno quanta ne ha la Steinway: ci sono i Bösendorfer – famosi per il loro suono caldo e sofisticato – i Steingraeber – noti per la loro incredibile bellezza –  e i Blüthner, prodotti a Lipsia dalla stessa famiglia dal 1853. «Se potessi avere qualsiasi piano al mondo» dice Calderazzo, «uno Steinway sarebbe probabilmente la mia sesta o settima scelta». E non è l’unico a pensarla in questo modo.

«Quando suono uno Steinway, specialmente quelli prodotti negli Stati Uniti, mi rendo conto di quanto siano privi di sottigliezze», ha raccontato la pianista Angela Hewitt al Canada Globe and Mail nel 2008. «Mi rattrista un poco che così tanti pianisti lavorino con questi strumenti pensando che siano i migliori, perché ci sono molte più cose che si possono ottenere da un pianoforte».

La supremazia degli Steinway, tuttavia, non è arrivata per caso. È il risultato di duro lavoro sia sui piani che sul loro marchio. La società ha corteggiato con aggressività artisti e istituzioni con la strategia e la tenacia di un commesso venditore. Apparire sul sito di Steinway come un “artista Steinway” è un marchio di grande valore e allontanarsi dall’ovile può non essere indolore: negli anni Settanta al pianista Garrick Ohlsson fu proibito di suonare Steinway dopo che aveva lodato i pianoforti Bösendorfer in pubblico. Far parte del giro delle scuole Steinway, sostiene la società, aiuta ad attrarre studenti e donatori. Quest’anno la fondazione Wolf Trap è passata a Steinway dopo anni di partnership con Yamaha. «Ho suonato Yamaha che ho amato e altri che ho odiato, e Steinway che ho amato e che ho odiato» ha spiegato il direttore della Wolf Trap Opera Kim Witman. «Penso che dal punto di vista del branding il nostro consiglio direttivo abbia sempre sognato di vederci accostati a Steinway».

Le scuole che vogliono restare indipendenti, come la Florida State University College of Music, devono lavorare duramente per riuscirci. La Florida State University College of Music crede che i suoi studenti possano guadagnare esperienza dal poter usare strumenti di marche diverse. Quando però la direttrice del corso di tecnologia del pianoforte Anne Garee prova nuovi pianoforti con l’intenzione di acquistarli si rende conto della potenza di Steinway. Quando i musicisti stanno provando gli strumenti lei copre il nome del produttore: poi lo scopre alla fine della prove e molti di loro cambiano idea sulle qualità uniche degli Steinway. Garee ha detto: «Se sali su un palco e ci sono uno Steinway e un Vattelappesca, la maggior parte dei musicisti sceglieranno lo Steinway. Le persone non ascoltano liberamente come potrebbero».

Il campo della musica classica, con la sua devozione per il mantenimento delle tradizioni, è stato un terreno fertile per lo sviluppo di quella che Ohlsson chiama la “monocultura” degli Steinway. Come la maggior parte degli strumenti da orchestra, il piano non è cambiato in modo radicale dalla fine dell’Ottocento. L’ascesa degli Steinway è di quel periodo, e ogni volta che la società ha cambiato proprietà – l’ultima volta nel 2013 quando è stata comprata dall’hedge fund Paulson & Co per 512 milioni di dollari – ci sono state ansie in tutto il mondo della musica classica.

Storicamente, tuttavia, la tecnologia occidentale del pianoforte ha giovato della competizione e dell’innovazione. Nel periodo Classico, Mozart, Haydn, Beethoven e i loro contemporanei provavano costantemente strumenti diversi e i produttori lavoravano incessantemente per migliorare i loro prodotti. C’erano diverse scuole: quella viennese che prediligeva un suono più sottile, e quella inglese più concentrata sulla potenza del suono. Steinway, nonostante le origini tedesche, rappresenta la dominazione della scuola inglese: pianoforti rumorosi, con tante corde, un grosso telaio di ferro con i martelli montati non sui tasti ma sulla struttura del piano. L’Inghilterra ha vinto. Nel 1900 anche Bösendorfer è passata a produrre pianoforti del tipo inglese.

Tra i pianoforti di alta gamma, le differenze tra uno strumento e l’altro sono minime. Un pianoforte da 100mila euro tende ad avere un suono superbo, qualunque sia il suo costruttore. In realtà gli esperti sopravvalutano le differenze: un recente studio ha dimostrato che anche i grandi violinisti non sanno distinguere sempre tra un nuovo violino e uno Stradivari.

Anne Garee ha detto: «Qualcuno potrebbe sostenere che ci sono certe categorie tonali che sono proprie di alcune marche, ma nella mia esperienza i suoni “tipici” non sono poi così reali: ho suonato Yamaha che suonavano come Schimmels e Schimmels che suonavano come Steinway di Amburgo. Ne ho sentiti moltissimi che non rispettano le regole. A meno che tu non suoni decine e decine di piani diverse, è difficile che sia in grado di accorgerti di queste cose». E i pianisti che davvero provano una grande varietà di strumenti di alta gamma sono pochi. Soheil Nasseri, un concertista 37enne statunitense, è uno di quelli completamente votati agli Steinway. Nasseri ha detto: «In generale gli Steinway sono gli unici pianoforti con il numero di sfumature necessarie per fare musica di alto livello. Ma, detto questo, ho suonato su un Bösendorfer che era valido come il migliore degli Steinway che io abbia mai suonato». Nasseri ha anche ammesso di non aver provato pianoforti di molte altre marche.

Qualunque sia il marchio, negli ultimi anni vendere pianoforti è diventato sempre più difficile. La recessione del 2008 ha fatto calare notevolmente le vendite e così è anche la calata la produzione nella fabbrica degli Steinway e la società ha lasciato la sua storica sede di Manhattan. Steinway è riuscita comunque a farcela: ora Steinway è l’unico grande produttore di pianoforti negli Stati Uniti. Altri produttori di alta gamma, tuttavia, stanno lavorando duramente per riconquistare quote di mercato. Molti produttori hanno pianoforti di alta fascia che sono il risultato di decenni di studi e ricerche, sia che siano finalizzate a ravvivare un marchio già esistente – come nel caso dei pianoforti Yamaha CFX o di quelli Shigeru Kawai – che nel caso di marchi nuovi, coma Fazioli.

Ci sono state un certo numero di innovazioni negli ultimi anni. Alcuni Fazioli, per esempio, hanno quattro pedali invece che i canonici tre; il produttore australiano Stuart&Sons fa pianoforti con 102 tasti, 14 in più dei normali 88. Alcuni artisti Steinway hanno provato a far evolvere il “contenitore”: sotto l’egida di Steinway, il pianista Pierre-Laurent Aimard ha aiutato a far nascere i Sound Mirrors, pianoforti con il coperchio trasparente che sembra una tenda veneziana. Qualche mese fa Daniel Barenboim ha poi presentato un nuovo tipo di pianoforte, progettato con il produttore Chris Maene, che dovrebbe unire la potenza di un gran piano con le qualità sonore di un fortepiano. Sempre quest’anno il pianista ungherese Gergeley Boganyi ha presentato un pianoforte futuristico parzialmente costruito in fibra di carbonio.

I veri elementi rivoluzionari nel mercato dei pianoforti, tuttavia, sono le innovazioni nell’elettronica e nel suono digitale, e qui Steinway è ancora in grande ritardo. Il Disklavier della Yamaha è uno strumento da concerto che funziona anche come autopiano in grado di riprodurre una performance dal vivo senza che nessuno tocchi i tasti. Anche il Clavinova è un pianoforte elettronico con le meccaniche di un pianoforte da concerto il cui suono si può mescolare con naturalezza a quello di strumenti acustici, ma che può essere usato anche solo con le cuffie.

«Steinway non ha innovazioni tecniche e non ha brevetti» dice Dan Shykind, co-proprietario di un rivenditore di pianoforti Yamaha che regolarmente ospita nella sua piccola sala da concerti artisti di fama mondiale: «Yamaha si sta concentrando sulla tecnologia».

Anche un devoto di Steinway come Nasseri è d’accordo. «Più importante del fatto che gli Steinway sono eccezionali in concerto e permettono di fare musica in modo magico è che la Yamaha ha inventato il sistema silenzioso. Ora puoi spegnere il suono e suonare in cuffie nel cuore della notte senza che il tuo vicino ti senta ma ascoltando un suono paragonabile a quello di una sala da concerti. È una rivoluzione. Se qualcuno sta facendo grandi passi in avanti con i pianoforti, quello è Yamaha».

Che siano appassionati o critici di Steinway – e ce ne sono molti di entrambi i tipi – i grandi musicisti non cercano lustrini, ma l’ispirazione che può arrivare suonando uno strumento superbo, preparato superbamente da un sapiente tecnico. L’ispirazione, naturalmente, è personale e unica, come lo è un pianoforte di altissima gamma. Garee ha detto: «Quando un pianoforte risponde a tutti i livelli di dinamica, dal pianissimo allo sforzando e al fortissimo, mette a disposizione del pianista una ampia gamma tonale e non vorresti mai alzarti da quello sgabello. Dipende da quando è stato costruito quello strumento, da come erano allineate le stelle, dipende dalla scienza, dalla geometria, dall’ingegneria. Quando tutte queste cose funzionano insieme, non ha importanza la marca. È magia».

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