Chi trolla nei commenti online fa del male a tutti

Lo spiega Anne Applebaum su Slate, aggiungendo che diverse aziende e nazioni oggi pagano queste persone per danneggiare i propri nemici, all'insaputa di molti

di Anne Applebaum – Slate

Se state leggendo questo articolo su Internet, fermatevi un attimo alla fine della lettura e rifletteteci su. Poi scorrete la pagina fino in fondo e poi leggete i commenti. Poi, ripensate alle vostre riflessioni.

È probabile che queste ultime siano cambiate, specialmente se avete letto una serie di commenti negativi, denigratori o semplicemente sgradevoli. Un tempo, sembrava che Internet fosse un posto adatto per un dialogo civile; ora, spazi di discussione libera degenerano in luoghi dove ci si insulta a vicenda. Che piaccia o no, è un problema: diversi studi hanno dimostrato che la percezione di un articolo, dell’autore di un certo articolo, o del suo contenuto, siano influenzati pesantemente dai commenti anonimi ad esso associati online, specialmente se sono duri. Un gruppo di ricercatori ha scoperto che i commenti sgarbati «non solo polarizzano i lettori, ma cambiano l’interpretazione di chi li legge nei confronti della notizia stessa». Un esperto di cose online dell’Atlantic Media ha inoltre scoperto che le persone che leggono commenti negativi sono più propense a giudicare di bassa qualità l’articolo che li contiene e a dubitare della veridicità dei suoi contenuti.

– (Che fare con chi trolla nei commenti online?)

Alcuni media hanno reagito ponendo una maggiore attenzione alla gestione dei commenti. Un account Twitter, @AvoidComments, ricorda periodicamente ai lettori di ignorare chi fa dei commenti da un account anonimo: «nella vita reale non ascoltereste un tizio di nome Sempreretto87. Non leggetene i commenti». Ma anche ad evitarli, è difficile prevenire ondate di insulti che arrivano su Facebook, o su Twitter.

Se tutto questo fosse spontaneo, ci troveremmo di fronte a un interessante fenomeno sociologico, ma non è così. Un mio amico che lavora per una società di pubbliche relazioni in Europa mi ha raccontato che alcuni assumono persone pagate per fare commenti online, anonimamente, di stampo positivo se riguardano i propri “datori di lavoro”; e negativo se riguardano società concorrenti. Si dice che anche i partiti politici, in vari paesi, facciano lo stesso.

Lo scorso anno alcuni giornalisti russi si sono infiltrati dentro a un’organizzazione di San Pietroburgo che paga alcune persone per postare almeno 100 commenti al giorno; un’inchiesta condotta nell’estate del 2014 ha mostrato come un imprenditore pagava alcuni troll russi per gestire dieci account Twitter con circa duemila follower. Poco dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il Guardian ha ammesso di avere delle difficoltà a moderare gli effetti di quella che ha definito “una campagna orchestrata appositamente”. «Bye-bye Eddie», ha twittato qualche mese fa il presidente dell’Estonia poco prima di bloccare l’ennesimo troll su Twitter.

I troll russi sono una presenza molto ben documentata, ma altri stanno preparandosi ad unirsi a loro. Una ONG iraniana, Tavaana, ha recentemente scoperto che la sua pagina di Facebook è stata bloccata grazie a quella che sospetta sia stata l’azione di alcuni troll vicini al regime che governa il paese. Com’è noto, il governo cinese tiene d’occhio il traffico Internet all’interno del territorio cinese, pagando moltissimi blogger appositamente. Non ci vorrà molto prima che scoprano come fare la stessa cosa con la lingua inglese, o quella coreana, o altre ancora.

Per le democrazie, si tratta di una minaccia seria. I commenti online influenzano subdolamente cosa pensano e provano gli elettori: anche solo se aumenta il loro livello di irritazione, o gli suggerisce che alcuni temi siano semplicemente “controversi”, oppure ancora che la versione ufficiale “copra” qualcosa di più losco. Come hanno scoperto i giornalisti Peter Pomerantsev e Michael Weiss in uno studio sulle nuove tecniche di disinformazione, lo scopo dei troll russi è quello di «generare confusione attraverso la diffusione di teorie complottiste e la proliferazione di falsità». In un mondo in cui il giornalismo tradizionale è fragile e l’informazione è variegata, non è una cosa molto complicata da attuare.

Ma nessun governo occidentale vuole “censurare” Internet e, al contempo, ci sarà sempre qualcuno che si chiederà se il governo non sta sprecando soldi anche solo indagando su questo problema. Forse, come hanno teorizzato Pomerantsev e Weiss, prima dell’azione dei governi abbiamo bisogno di associazioni civiche o di volontariato che aiutino ad individuare i commenti che contengono notizie false, e che le portino alla pubblica attenzione. Forse, le scuole – così come una volta insegnavano a sfogliare un giornale – potrebbero insegnare come distinguere un troll, e come fare a separare una verità da una cosa falsa.

Prima o poi, dovremo anche eliminare l’anonimato online, o almeno assicurarci che ogni profilo sia collegato a una persona reale. Chiunque scriva online dovrebbe essere responsabile delle sue parole, come se le stesse pronunciando ad alta voce. So che ci sono argomenti a difesa dell’anonimato, ma moltissime persone stanno correntemente abusando di questo privilegio. I diritti umani, inclusa la libertà di espressione, dovrebbero appartenere alle persone vere, e non a dei troll anonimi.

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