13 anni, 3 mesi, 9 giorni Martedì 19 gennaio 1937
Forse è proprio così, morire. Sarebbe molto piacevole se non avessimo tanta paura. Forse ci svegliamo ogni mattina solo per rimandare il momento delizioso in cui stiamo per morire. Quando papà è morto, si è addormentato un’ultima volta.
13 anni, 4 mesi, 7 giorni Mercoledì 17 febbraio 1937
Cataplasmi, gargarismi, pennellature, riposo, sì, ma il rimedio migliore è addormentarmi nell’odore di Violette. Violette è la mia casa. Odora di cera, di verdure, di fuoco di legna, di sapone nero, di varechina, di vino vecchio, di tabacco e di mela. Quando mi prende sotto il suo scialle, entro nella mia casa. Sento borbottare le sue parole nel petto e mi addormento. Quando mi sveglio lei non c’è più, ma lo scialle mi copre ancora. Così non ti perdi nei sogni, bel fusto. I cani che si perdono tornano sempre all’abito del cacciatore!
14 anni, 9 mesi, 8 giorni Lunedì 18 luglio 1938
Per combattere le vertigini, ho chiesto a Manès il permesso di farmi il letto nel granaio della frutta. (A quattro metri di altezza.) Marta era d’accordo. Salire è ancora facile, la scala a pioli è verticale e guardi verso l’alto. Scendere, invece, è un altro paio di maniche! All’inizio stringevo la scala come un disperato. Mi è capitato di restare cinque minuti buoni su un piolo a metà strada! Robert, che mi aspettava sotto, mi gridava di non guardare giù e di respirare a fondo. Tieni gli occhi all’altezza dei pioli! Oppure molla tutto così arrivi più in fretta!
14 anni, 11 mesi, 3 giorni Martedì 13 settembre 1938
Lo sciopero della fame, tu? Ne riparliamo domani! Si sbaglia. Io tengo duro. In fondo non è così terribile. Non baro. Non mangio di nascosto. Quando ho troppa fame bevo un bicchiere d’acqua, come è consentito prima della comunione. A ogni pasto lei mi ripropone lo stesso piatto, come fa con Dodo quando a lui non piace quello che gli mette in tavola. Togliti pure dalla testa che si butti via il cibo! Non capisce proprio niente. È interessante, qualcuno che crede di sapere tutto e capisce così poco le persone. Ma non voglio occuparmi di lei. Non dirò mai più mamma.
37 anni, compleanno Lunedì 10 ottobre 1960
Durante una riunione particolarmente soporifera sui problemi di distribuzione, ho ceduto alla tentazione di verificare se lo sbadiglio è un fenomeno contagioso. Ho finto di sbadigliare, con un incredibile squartamento della faccia, seguito da un breve “chiedo scusa”, e il mio sbadiglio si è propagato, diciamo, ai due terzi dei presenti – fino a tornare a me, facendomi sbadigliare sul serio!
53 anni, 7 mesi Martedì 10 maggio 1977
Nascita di Grégoire. Nascita di mio nipote, accidenti! Sylvie molto stanca, Bruno molto padre, Mona al settimo cielo, e io... Si può parlare di colpo di fulmine alla nascita di un bambino? Credo non ci sia nulla in vita mia che mi abbia commosso come l’incontro con quel piccolo sconosciuto così immediatamente familiare. Ho lasciato l’ospedale, ho camminato da solo per tre ore senza sapere dove andavo. L’impressione persistente che Grégoire e io ci siamo scambiati uno sguardo decisivo, abbiamo stretto un patto di affetto eterno. Che stia diventando rimbambito? Stasera, champagne. Tijo, sempre il solito: Non ti fa senso andare a letto con una nonna?
62 anni, 1 mese Domenica 10 novembre 1985
Queste sparizioni improvvise di un dato acquisito, codice del bancomat, codici di ingresso di case di amici, numeri di telefono, nomi o cognomi, date di nascita ecc... mi colpiscono come meteoriti. È la sorpresa, più che la dimenticanza in sé, a provocare uno scossone di tutto il mio pianeta. In buona sostanza, non mi ci abituo. In compenso non sono affatto sorpreso di dare la risposta esatta alle domande dei quiz radiofonici o televisivi che ascolto con orecchio distratto. Grégoire: Ma allora tu sai tutto, nonno? Ti ricordi proprio tutto?
66 anni, 8 mesi, 25 giorni Giovedì 5 luglio 1990
Scendendo a Mérac siamo passati da Etienne e Marceline. Lui aveva la fronte corrucciata, lo sguardo fisso, i gesti rallentati, ma sorrideva della nostra visita. A dire il vero, solo la bocca sorrideva, di un sorriso involontario, una reminiscenza di sorriso, come se ricordasse di aver sorriso un tempo. In compenso non ricorda il nome di Mona. Abbozza frasi che finiscono con... “e così via, capisci?”. Capisco, vecchio amico mio, capisco... Marceline ci confida che la malattia di Etienne progredisce molto in fretta. Perdita della memoria, certo, goffaggine nel compiere alcuni gesti, ma ciò che più la spaventa sono le crisi di rabbia che lo travolgono al minimo imprevisto: un oggetto smarrito, lo squillo del telefono, qualche carta da compilare. Non sopporta più le sorprese, dice lei, il minimo contrattempo lo angoscia da morire.
L’unica cosa che lo rilassa: la sua collezione di farfalle. È l’ultimo baluardo. Vieni un po’ a vedere il mio Parnassius apollo. Sono di nuovo colpito dalla sproporzione fra le dita enormi e la delicatezza con cui maneggia il velluto leggerissimo delle sue vittime. Prima di lasciarci, mi dice in confidenza: Non dirlo a Marceline, ma sono spacciato. Indicandosi il cranio aggiunge: È la testa.
79 anni Giovedì 10 ottobre 2002
Mio cuore, mio cuore fedele. Meno aitante di un tempo, certo, ma così fedele! La notte scorsa ho fatto un esercizio infantile: calcolare il numero di battiti del mio cuore da quando sono nato. Data una media di sessantadue battiti al minuto moltiplicati per sessanta minuti di un’ora, moltiplicati per ventiquattro ore al giorno, moltiplicate per trecentosessantacinque giorni all’anno, moltiplicati per settantanove anni. Non riesco più, ovvio, a calcolare tutto a mente. Quindi, calcolatrice. Circa tre miliardi di battiti! Senza tenere conto degli anni bisestili e delle accelerazioni dell’emozione! Ho posato la mano sul petto e ho sentito il mio cuore scandire, tranquillo, regolare, i battiti che mi restano. Buon compleanno, cuore mio!
86 anni, 5 mesi, 8 giorni Giovedì 18 marzo 2010
Sfinito. Al momento di andare a letto, ho guardato le scale come se fossero una parete di roccia. Perché mai abbiamo collocato la camera da letto così in alto? Da qualche giorno è la mano destra che mi tira su fino a quella vetta. A ogni scalino tiro la rampa verso di me mormorando interiormente “oh-issa”. La rete del pescatore. Mi faccio risalire a bordo. Ogni sera un po’ più pesante. Buona pesca. E niente pause, per carità, che da sotto mi seguono con lo sguardo. Non allarmare i figli. Mi hanno sempre visto salire quella scala di buon passo. Giunto al pianerottolo, quando non possono più vedermi, mi appoggio alla parete per riprendere fiato. Il sangue mi pulsa alle tempie, nel petto, fin sotto la pianta dei piedi. Sono ormai soltanto un cuore.