Giovedì 22 maggio in Thailandia c’è stato un colpo di stato dell’esercito contro un governo legittimamente eletto. Il potere è passato immediatamente nelle mani di una giunta militare il cui nome formale è “Consiglio per il mantenimento dell’ordine e della pace nazionale”, guidata dal capo dell’esercito, il generale Prayuth Chan-ocha, e formata da sei ufficiali di alto rango. Su quello che succederà ora, o chi sarà il nuovo primo ministro, c’è però ancora molta confusione. Il colpo di stato in Thailandia, comunque, è il risultato di una lunga e complessa crisi politica iniziata lo scorso novembre: ci sono almeno nove cose da sapere, per capirci qualcosa.
1. Dov’è la Thailandia?
La Thailandia si trova al centro della penisola indocinese: confina a nord con Birmania e Laos, a est con Laos e Cambogia, a sud con il golfo della Thailandia e la Malesia. È il 51esimo paese più grande al mondo e il 20esimo più popoloso, con circa 65 milioni di persone. La capitale e la città più grande della Thailandia è Bangkok.
2. Cos’è la Thailandia?
Partiamo dal nome: ufficialmente si chiama Regno di Thailandia, perché è una monarchia parlamentare, ma era precedentemente conosciuta come Siam (quello del Risiko, esatto). Circa il 75-85 per cento della popolazione è di etnia Tai. La religione dominante è il buddismo Theravāda, la più antica scuola buddista tra quelle esistenti. L’inno nazionale si chiama Phleng Chat Thai e fa così:
3. Come è iniziato tutto?
Versione breve: la crisi politica è iniziata nel novembre 2013, quando il principale partito di opposizione del paese ha cominciato a organizzare enormi manifestazioni a Bangkok per protestare contro una legge sull’amnistia presentata dal governo. L’amnistia è stata poi ritirata, ma le proteste sono continuate: i manifestanti sostenevano che il primo ministro Yingluck Shinawatra volesse approvarla per permettere a suo fratello Thaksin, latitante all’estero, di rientrare nel paese.
Le elezioni anticipate erano cominciate il 2 febbraio 2014, ma il Partito Democratico – il più grande partito di opposizione – le ha boicottate, con il risultato che non si è votato in 438 seggi della capitale e in tutte le nove province meridionali del paese. Il 21 marzo la Corte Costituzionale della Thailandia ha invalidato le elezioni. Lo scorso 7 maggio Yingluck Shinawatra è stata rimossa dal suo incarico su decisione della Corte Costituzionale, con l’accusa di abuso di potere. Il 20 maggio l’esercito ha annunciato l’imposizione della legge marziale per “mantenere l’ordine”: in giro per Bangkok si facevano ancora selfie con i soldati, comunque, e il clima era piuttosto tranquillo.
4. Chiarimento indispensabile: chi sta con chi?
Negli ultimi anni la divisione politica più importante in Thailandia è stata tra “camicie gialle” e “camicie rosse”. Le camicie gialle sono principalmente le élite di Bangkok vicine al Re; le camicie rosse sono le masse povere delle campagne e delle città del nord e del nord-est, sostenitori dei governi populisti. I militari in Thailandia sono tradizionalmente vicini al Re, quindi alle camicie gialle; il governo di Shinawatra era vicino alle camicie rosse.
5. Il colpo di stato del 22 maggio
Giovedì 22 maggio il capo dell’esercito thailandese ha annunciato in diretta televisiva che i militari avevano preso il controllo del governo, per “riportare l’ordine e condurre il paese verso le riforme politiche”.
Nelle ore successive sono stati sgomberati i sit-in dei sostenitori del governo e sono stati annunciati: la sospensione della Costituzione, l’imposizione di un coprifuoco e il divieto per 155 importanti politici di lasciare il paese. Su tutti i canali televisivi trasmessi in Thailandia, inclusa CNN, è uscito questo messaggio, con il nome della giunta militare che ha preso il potere:
6. Il colpo di stato contro chi?
E qui la faccenda comincia a complicarsi. Fino al 7 maggio scorso il primo ministro thailandese era Yingluck Shinawatra, poi sostituita da Niwattumrong Boonsongpaisan. I due appartengono allo stesso partito di orientamento populista, il Pheu Thai, fondato nel 2008 per sostituire il Partito del Potere Popolare, che a sua volta aveva sostituito Thai Rak Thai, fondato nel 1998 da Thaksin Shinawatra, il fratello di Yingluck. Semplificando: negli ultimi tredici anni, a parte due periodi compresi tra ottobre 2008 e agosto 2011, il potere in Thailandia è sempre stato in mano ai populisti. Il colpo di stato è stato fatto soprattutto contro di loro.
7. Molti colpi di stato
Quello che sta succedendo comunque non è così inconsueto. Dalla fine della monarchia assoluta, 82 anni fa, in Thailandia ci sono stati 11 colpi di stato (12 con l’ultimo) e sette tentativi falliti di colpo di stato. Solo nell’ultimo decennio i colpi di stato dell’esercito contro un governo eletto sono stati due: oltre a quello del 22 maggio, nel 2006 c’è stato quello contro Thaksin Shinawatra, fratello di Yingluck. La Thailandia è lo stato con più colpi di stato al mondo nella storia contemporanea (se volete saperne di più, la questione è stata approfondita bene da Jay Ulfelder, scienziato politico specializzato in colpi di stato, insieme con Max Fisher sul Washington Post).
8. Qual è stato l’effetto del colpo di stato sui mercati?
Minimo, a differenza di quello che ci si aspetta in situazioni del genere dove leggi marziali e militari al governo rendono gli investitori molto nervosi. Il valore della moneta thailandese, il bhat, non si è mosso troppo rispetto al dollaro statunitense. Il motivo, scrive BBC, è la frequenza dei colpi di stato nel paese, che ha reso la presenza dei militari una specie di costante della politica nazionale. Tuttavia alcuni investitori stranieri hanno cominciato a ritirare i loro capitali dal paese e l’economia si sta già contraendo come risultato dei sei mesi di crisi politica: una prospettiva di recessione economica, insomma, esiste.
9. E ora, che succede?
Non si sa ancora, c’è molta confusione: il leader delle proteste anti-governative, Suthep Thaugsuban, è stato fermato dai militari giovedì 22 maggio, mentre l’ex primo ministro Yingluck Shinawatra è stata arrestata insieme ad altri membri della sua famiglia. Sembra inoltre improbabile che il Re della Thailandia, Bhumibol Adulyadej, intervenga in qualche modo nella crisi politica: sia perché si è mostrato riluttante a farlo, sia perché in una sentenza del 2006 un tribunale thailandese ha ridimensionato i suoi poteri previsti dalla Costituzione.