E ha 50 anni pure Neneh Cherry

Che era già nonna da dieci anni e ha fatto un disco nuovo: ma le sue canzoni migliori sono queste sei

US singer Neneh Cherry performs during the 47th Heineken Jazzaldia on July 23, 2012 in the Northern Spanish city of San Sebastian. AFP PHOTO / Rafa Rivas (Photo credit should read RAFA RIVAS/AFP/GettyImages)
US singer Neneh Cherry performs during the 47th Heineken Jazzaldia on July 23, 2012 in the Northern Spanish city of San Sebastian. AFP PHOTO / Rafa Rivas (Photo credit should read RAFA RIVAS/AFP/GettyImages)

Il 10 marzo 2014 compie 50 anni Neneh Cherry, cantante e musicista creativa e discontinua che ebbe una discreta notorietà tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta con un po’ di canzoni dal suono moderno e inventivo, a metà tra il pop e lo hip-hop. Un suo nuovo disco è appena uscito, anche se i tempi sono cambiati e lei non sembra più tanto in grado di novità. Queste sono sei sue canzoni che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, scelse per il libro Playlist, la musica è cambiata.

Neneh Cherry
(1964, Stoccolma, Svezia)
Il suo patrigno era il jazzista Don Cherry, suo fratello canta anche lui col nome di Eagle-Eye Cherry, sua sorella pure, sua madre è pittrice, suo padre musicista, lei è nera ma è nata a Stoccolma, è cresciuta a New York e ha studiato a Londra. Non è che potesse fare la rappresentante della Avon. A parte la sua musica, ha cantato con i Massive Attack, i The The e i Gorillaz. E nel 2004 è diventata nonna a quarant’anni.

Buffalo stance
(Raw like sushi, 1989)
Il trucco per vendere il rap al mondo è tutto in una lezione: puoi rappare quanto ti pare nella strofa, ma senza il refrain canticchiabile e melodico non vai da nessuna parte. Se poi lo indovini giusto, dal contrasto con il resto della canzone non fa che guadagnarne, e fai il botto. Questi erano tempi di scratch e giochetti, e lei se la gioca benissimo. “No money man…”

Manchild

(Raw like sushi, 1989)
Questa – lenta, bella – l’aveva scritta con Robert “3D” Dal Naja dei Massive Attack, e si sente nel sottofondo di orchestra elettronica.

Buddy X

(Homebrew, 1992)
Non era la prima né l’ultima volta che Neneh Cherry se la prendeva con la poca serietà degli uomini, ma in questo caso “Buddy X” era Lenny Kravitz (che aveva scritto un’altra canzone del disco), rimproverato per i suoi giorni da Casanova dopo la separazione dalla moglie.

Trout
(Homebrew, 1992)
Michael Stipe dei REM ha una caratteristica particolare, che è la sua forza e il suo limite: con quella voce e quel modo di cantare, dove lo metti funziona. La canzone diventa bella. E insieme, ti sembra sempre la stessa canzone. Qui almeno, cantano tutti e due.

7 seconds
(Man, 1996)
Al terzo disco Neneh Cherry non solo mollò il rap, ma il pezzo più popolare fu un lentone mid-tempo assieme al senegalese Youssou ‘Ndour.

Woman
(Man, 1996)
Un appassionato monologo femminista, teso a smentire che “it’s a man’s world”, come diceva la canzone di James Brown (che sosteneva la tesi paternalistica adottata in campagna elettorale anche da Romano Prodi: “dobbiamo dare retta alle nostre mogli”): con tutto quello che fanno, che soffrono, e che danno agli uomini, dice lei, il mondo è delle donne.