Il sangue blu dei granchi reali

Da circa 40 anni la sicurezza di buona parte delle cose che vengono iniettate nel nostro sangue è garantita da un particolare animale, e dai salassi a cui l'uomo lo sottopone

Da circa 40 anni la sicurezza di buona parte delle cose che vengono iniettate nel nostro sangue è garantita dal granchio reale (limulo), un animale che in pochi sanno come è fatto e da cui si tengono alla larga quelli che l’hanno visto. Imparentato più con scorpioni, zecche e ragni che con i granchi, il limulo viene pescato in grandi quantità per ottenere il suo sangue blu, fondamentale per eseguire un test molto importante per scoprire la presenza di batteri in una soluzione.

Come spiega Alexis C. Madrigal dell’Atlantic, nel sangue del limulo (Limulus polyphemus) è presente un composto chimico in grado di identificare la presenza di batteri e di costruirvi intorno una barriera, un coagulo, per evitare che possano causare l’infezione creando una grande colonia. Per questo motivo il composto, che per praticità viene spesso indicato con il nome “coagulogen”, è diventato molto importante per le aziende farmaceutiche, perché viene usato per trovare possibili contaminazioni batteriche nelle sostanze che dovranno entrare in contatto con il sangue umano, come nel caso di una vaccinazione. Se nella soluzione sono presenti batteri, anche in concentrazioni bassissime, il coagulogen entra in azione e la trasforma in parte in una sorta di gel.

Limulus polyphemus

La particolare proprietà del sangue dei granchi reali fu messa in evidenza per la prima volta dallo scienziato statunitense Frederick B. Bang, in una ricerca scientifica pubblicata nel 1956. Nel suo studio, Bang spiegava che “il gel immobilizza i batteri, ma non li uccide” e che una volta formatosi, il coagulo si mantiene per diverse settimane, anche a temperatura ambiente. Naturalmente se non è in corso una contaminazione batterica la sostanza resta inattiva e non si forma il gel, cosa che indica la mancanza di batteri nella soluzione.

Sulla base del lavoro di Bang e di altri ricercatori è stato possibile creare il cosiddetto test in vitro di LAL, conosciuto anche come limulus test, per determinare la presenza di colonie di batteri in particolari sostanze. Prima della sua esistenza, i centri di ricerca non avevano molte alternative a quella di condurre ciclicamente test provando le loro sostanze su centinaia di conigli, per rilevare la presenza di possibili contaminazioni. La procedura richiedeva tempo ed era costosa e le aziende del settore sanitario accolsero con sollievo l’approvazione del LAL test negli anni Settanta da parte della Food and Drug Administration, l’agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza dei prodotti farmaceutici e alimentari.

Da allora il LAL test viene eseguito regolarmente e su larga scala, tanto da richiedere una notevole produzione di coagulogen. Il problema è che la sostanza per ora non può essere prodotta sinteticamente, anche se diversi centri di ricerca sono quasi arrivati al traguardo, ed è quindi necessario effettuare massicci prelievi di sangue dai granchi reali.

Questi animali vivono sul fondale marino a poca distanza dalla costa. Quando si vogliono accoppiare raggiungono le acque poco profonde vicino alla spiaggia, ed è il momento ideale per raccoglierli. I limuli sono poi trasportati nel centro dove si eseguono i prelievi: vengono legati vivi a una staffa e gli operatori inseriscono un ago poco vicino al loro cuore, prelevando il 30 per cento circa del loro sangue. A differenza del nostro, il loro sangue non è rosso ma quasi trasparente e assume una colorazione azzurra appena entra in contatto con l’aria. Il fenomeno è dovuto all’ossidazione del rame presente nel loro sangue (nel nostro c’è il ferro, da qui il colore diverso). Dopo il prelievo vengono effettuati alcuni trattamenti per estrarre il coagulogen vero e proprio, che sarà poi utilizzato per i test in vitro LAL.

Terminata l’operazione, che dura in tutto al massimo tre giorni, i limuli sono trasportati nuovamente lungo la costa e liberati in mare. Il prelievo non è molto traumatico e la maggior parte degli esemplari in poco tempo si riprende del tutto. Secondo le società che si occupano di queste cose, muore il 10-30 per cento dei granchi sottoposti al trattamento. Alcune ricerche hanno però contestato queste stime, dimostrando che i prelievi rendono meno reattivi i limuli con evidenti conseguenze sulle loro capacità di riprodursi. Anche per questo motivo c’è una corsa a produrre un composto chimico alternativo di tipo sintentico, il primo che ci riuscirà potrà inoltre fare un sacco di soldi grazie ai brevetti.

Limulus polyphemus

La caratteristica del sangue dei granchi reali nel corso degli anni ha interessato molti gruppi di ricerca, determinati a spiegare che cosa abbia portato alla presenza del coagulogen. Il sistema circolatorio dei limuli ricorda molto quello dei ragni ed è quindi diverso dal nostro. Se non viene iniettato, qualcosa di potenzialmente nocivo deve fare un giro non da poco prima di finire nella nostra circolazione sanguigna, il principale mezzo di trasporto dell’organismo. Un batterio che riesce a superare lo scheletro esterno del granchio, invece, ha da subito la strada aperta verso il suo sistema circolatorio e può quindi fare in tempi rapidi gravi danni innescando un’infezione.

I granchi hanno ampie cavità che mettono direttamente in contatto il sangue con i tessuti, varchi ideali per i batteri che si trovano nella sabbia e che sono alla ricerca di un ospite da colonizzare. Il coagulogen evita che questo possa avvenire, incapsulando immediatamente i batteri formando il coagulo. Questa condizione ha permesso ai granchi reali di crescere in ambienti ricchi di batteri senza particolari problemi e di esistere da circa mezzo miliardo di anni, in tempi molto molto lontani dalla comparsa dei primi esseri umani.