The National: le migliori 9 canzoni

Scelte dal peraltro direttore del Post, per chi è stato al concerto di Roma o a quello di Milano

XXX of YYY performs on stage during the 2011 Sunset Sounds music festival at the Brisbane Botanical Gardens and River Stage on January 5, 2011 in Brisbane, Australia.
XXX of YYY performs on stage during the 2011 Sunset Sounds music festival at the Brisbane Botanical Gardens and River Stage on January 5, 2011 in Brisbane, Australia.

Lunedì 1 luglio suonerà a Milano la band americana The National. È il loro secondo concerto della stagione in Italia: domenica 30 giugno hanno suonato all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha messo insieme una lista delle loro nove canzoni migliori, integrando quelle che aveva scelto nel suo libro Playlist, per chi li ha già visti e per chi andrà stasera a vederli e vuole ripassare.

The National (Brooklyn, New York, 1999)
Sono cinque, di Cincinnati, ma stabiliti a Brooklyn: due coppie di fratelli e Matt Berninger, che è quello che canta con la voce da io-la-so-lunga-baby. Secondo una sua definizione, fanno “delusional rock music”. Scelsero il nome più insignificante possibile per fastidio nei confronti delle ricerche di ironia nei nomi delle bands. Però in Germania furono contestati da alcuni attivisti di sinistra che li pensavano nazisti. Poi finirono tutti a ubriacarsi insieme.

It never happened
(Sad Songs For Dirty Lovers, 2003) “Lover put me in your beautiful bed”: è difficile pensare che lei abbia nicchiato di fronte a tanto profondo invito, ma il disco è invece ricco di tormenti e insoddisfazioni sentimentali. “Alle belle persone non succede mai niente di male”. A metà canzone parte una lunga coda strumentale.

Wasp nest
(Cherry tree, 2004)
“Sei un nido di vespe”. Su quelle ragazze fine-del-mondo che le vedi e lo sai che saranno solo guai, e insieme sai anche che andrai ad attaccar discorso lo stesso. Ok, andiamo.

Mr. November
(Alligator, 2005)
Normalmente Berninger smorza cantando le aggressività della sua band e soprattutto del suo batterista, e ne escono grandi cose. Qui decide di andare loro dietro, e arriva pure a urlare, e ne escono grandi cose lo stesso. Parla di sé e del concludere il disco, ma anche di John Kerry all’indomani della sconfitta alle elezioni presidenziali di novembre. “Mr. November” è il titolo che i fans assegnarono a Derek Jeter degli Yankees quando nel 2001 le finali del baseball finirono per la prima volta nella storia a novembre invece che a ottobre, dopo il rinvio a causa dell’attacco alle torri gemelle. Jeter fece la prima battuta valida di novembre, ma poi gli Yankees persero le finali a favore degli Arizona Diamondbacks.

Fake empire
(Boxer, 2007)
Pezzo geniale, di gran ritmo a base di pianoforte, e insieme gran dolcezza a base di voce di Berninger. Cresce strada facendo, arrivano i fiati, e se ne vola via: “siamo mezzi addormentati in un falso impero”. Berninger una volta ha raccontato della sua eccitazione quando sua zia gli disse di averla sentita uscire dalla radio nei bagni di un autogrill.

Mistaken For Strangers
(Boxer, 2007)
Berninger affastella parole travolgentemente e dice di quando le cose cambiano e si diventa un’altra persona e anche i tuoi amici non ti riconoscono più, e forse è solo che stai diventando adulto, o va’ a sapere che gli era capitato. Una delle loro canzoni più amate dai fans.

Slow show
(Boxer, 2007)
È una giornata in cui hai fatto casino e hai solo voglia di “tornare a casa da te”. “Sai, ti ho sognata per ventinove anni, prima di incontrarti”.

Conversation 16
(High Violet, 2010)
Non è Fake Empire, ma è uno di quei pezzi lì, che si portano via tutto il baraccone, con la voce profonda di Berninger che attenua il ritmo tirato e il ritmo tirato che trascina la voce profonda di Berninger. La consonanza consecutiva delle due esse di “silver city” funziona tantissimo. Ci suona Richard Reed Parry degli Arcade Fire.

I need my girl
(Trouble will find me, 2013)
Qui ormai si sono presi campionate di stellette su tutte le riviste specializzate del mondo, e spazi cospicui anche su quelle non specializzate: il disco è arrivato terzo in classifica sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. Questa è una gran dolcezza di pensieri tormentati d’amore e nostalgia, con tre note formidabili che reggono tutto (e ricordano un passaggio in coda alla lunga Impossible Soul di Sufjan Stevens, frequente collaboratore della band)

Pink rabbits
(Trouble will find me, 2013)
“Ero la versione televisiva di una persona col cuore spezzato”. Una citazione per un vecchio disco di Morrissey (“Bona drag”) e un ipnotico snocciolamento di strofe avvolte intorno a un pianoforte. Il Pink Rabbit che lei beve è un cocktail.