Che cosa può succedere all’ILVA

Ancora conflitti tra il diritto alla salute e il diritto d'impresa, tra codice penale e legge dello Stato, in attesa della decisione sul dissequestro dei prodotti finiti

Aggiornamento, 8 gennaio, ore 18. Rientra solo parzialmente l’allarme stipendi all’Ilva mentre si inasprisce lo scontro giudiziario. Il presidente Bruno Ferrante ha dichiarato che l’azienda pagherà le retribuzioni venerdì prossimo. La notizia è stata confermata ai sindacati, durante un incontro, dal capo del personale Enrico Martino. Ma il conflitto con la magistratura proseguirà. La procura della Repubblica di Taranto ha sollevato oggi l’eccezione di costituzionalità della legge “salva-Ilva” durante l’udienza del tribunale dell’Appello in cui si discuteva la richiesta aziendale di dissequestro dei prodotti finiti prodotti dal siderurgico, la cui vendita è stata bloccata dalla magistratura in conseguenza dell’inchiesta su disastro ambientale che vede coinvolti i vertici del Gruppo Riva. Il tribunale si pronuncerà dopodomani. Se verrà accolta la richiesta della procura scatterà la sospensione del giudizio, in attesa che si pronunci la Consulta, dove già pende un’altra richiesta dei giudici sul conflitto di attribuzione col governo dopo l’approvazione della legge. Questo comporterà un lungo stop e la prosecuzione del blocco della vendita dei prodotti finiti. Il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, ravvede nell’evolversi della vicenda giudiziaria, “un accanimento della procura nei confronti dell’Ilva” e fa rullare i tamburi di guerra: “Abbiamo già iniziato ad applicare l’Autorizzazione integrata ambientale fermando gli impianti, lo sblocco della merce è imprescindibile per continuare la vita aziendale. L’azienda ha fatto uno straordinario sforzo finanziario per pagare gli stipendi di gennaio, mi auguro che la situazione possa evolversi positivamente per fare altrettanto il prossimo mese”.

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Malgrado il decreto “salva-ILVA” sia diventato legge, rimane l’incertezza sotto il cielo fumoso dello stabilimento siderurgico di Taranto. Il 2013 inizia lì dov’è finito il drammatico anno appena archiviato: dal conflitto, sempre in piedi, tra diritto alla salute e diritto d’impresa, tra codice penale e legge dello Stato, tra magistratura da un lato e governo e Gruppo Riva dall’altro. Ora si attende il Tribunale dell’appello e la sua decisione sul dissequestro dei prodotti finiti. Lamiere e coils sfornati dalla fabbrica sono stati bloccati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco il 26 novembre scorso, su richiesta della procura della Repubblica. Si attende, dallo stesso gip, una nuova pronuncia in merito, dopo la richiesta di sblocco del materiale da parte dei dirigenti già bocciata una prima volta, qualche giorno fa, dalla procura.

I dirigenti dell’ILVA hanno già detto che negare la possibilità di vendere i prodotti sequestrati, del valore di oltre un miliardo di euro, significherà mettere in crisi di liquidità l’azienda. Le conseguenze potrebbero ricadere sugli stipendi dei lavoratori, che dovranno essere pagati venerdì prossimo. I sindacati sono in stato d’allerta, perché si teme che gli operai possano tornare a protestare nel caso di ritardo o mancato accredito. Tornerebbe fortissima la tensione tra città e lavoratori, con il rischio di scontri basati sul “ricatto occupazionale”, in chiave salariale.

(Tra Piombino e Taranto, di Adriano Sofri)

Nel frattempo, davanti alla Corte Costituzionale, dopo il ricorso della procura della repubblica di Taranto contro la legge “salva-ILVA” per conflitto di attribuzione fra poteri, potrebbe approdare anche l’eccezione di incostituzionalità della legge, che la stessa procura potrebbe chiedere al Tribunale dell’appello, durante la discussione sul sequestro dei prodotti. Il perno dell’azione della magistratura ruota intorno alla considerazione formulata dai magistrati guidati dal procuratore capo Franco Sebastio: la legge “salva-ILVA” lede il principio costituzionale secondo il quale l’azione penale è obbligatoria.

La magistratura chiede alla Corte Costituzionale di risolvere il conflitto creato dalla legge: a chi spetta reprimere i reati di inquinamento? Per i prossimi 36 mesi, periodo imposto dalla legge “salva-ILVA”, al fine di completare le opere di eco-compatibiltà in fabbrica, l’esercizio dell’azione penale viene di fatto sospeso ed è il governo a occuparsi di una materia che i giudici ritengono sottratta alla loro competenza. Fino alla pronuncia della Corte, però, i granelli di sabbia, scorreranno lentissimi nella clessidra del nuovo anno, nell’imbuto del futuro. Chiusi dentro la strettoia una città di 190mila abitanti, Taranto, e 11mila operai che con l’indotto arrivano a 15mila.

(I dati sull’ILVA e i tumori a Taranto)

La legge “salva-ILVA” prevede il dissequestro degli impianti anche se l’”area a caldo” ha continuato a produrre, anche se sotto sequestro, dal 26 luglio; lo sblocco della vendita dei prodotti ancora “sigillati” dai giudici tarantini; l’applicazione dell’Aia, Autorizzazione Integrata Ambientale. Il Gruppo Riva dovrà impegnarsi a risanare, altrimenti rischia l’esproprio dell’azienda siderurgica, attraverso una procedura complessa che prevede un passaggio intermedio di penali da pagare.

Non si sa ancora niente sul nome del garante previsto dalla legge “salva-ILVA”. Il testo normativo prevede l’individuazione della figura istituzionale entro dieci giorni dall’entrata in vigore. Ne sono trascorsi già tre senza esito e non sembrano esserci segnali di una nomina a stretto giro. Il garante dovrà vigilare sulla piena applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale.

Questo ritardo, unito alla necessità di effettuare già le prime verifiche sull’applicazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale – all’ILVA sono fermi da dicembre l’altoforno numero 1 e due batterie della cokeria – alimenta i timori di un ritardo nelle attività di risanamento. Non secondario il fatto che resta nebuloso, anche perché non previsto dalla legge, l’investimento economico complessivo del Gruppo Riva, per adempiere alle prescrizioni dell’AIA: una stima approssimativa ha fissato in tre miliardi e mezzo di euro il costo di tutti gli interventi.

La dirigenza ILVA, a partire dal presidente Bruno Ferrante, pur apprezzando l’impegno del governo, non si è mai sbilanciata in previsioni di spesa. Sarà perché la permanenza agli arresti domiciliari del patron Emilio Riva, del figlio Nicola e la latitanza di suo fratello Fabio, numero due del gruppo, limitano il raggio d’azione decisionale della dirigenza. Non basta, però, dichiarare la volontà di mantenere aperto lo stabilimento. Il governo, la Regione Puglia, le istituzioni locali e soprattutto i sindacati, attendono una parola certa e definitiva in merito agli investimenti, con la presentazione di un piano industriale che ancora manca.

Due i punti critici dell’AIA sui quali, pur fissati i tempi degli interventi, bisognerà sondare le reali intenzioni dell’azienda: l’adeguamento dell’altoforno numero 5, il più grande d’Europa, quello che garantisce il 40 per cento della produzione di acciaio e, soprattutto, la copertura dei parchi minerali, principali imputati per l’inquinamento da idrocarburi cancerogeni del quartiere Tamburi, il più vicino alla fabbrica. Di certo, adesso, ci sono la crisi del mercato dell’acciaio e la possibilità di ricorsi alla cassa integrazione negli ultimi mesi. Tra problemi economici o calamità naturale, come nel caso della tromba d’aria che ha colpito alcuni reparti dello stabilimento siderurgico di Taranto a fine novembre, gli esuberi dichiarati dal Gruppo Riva sono stati circa 2.500.

Nel caso dei lavoratori dell’area a freddo, l’automatismo instauratosi tra i provvedimenti giudiziari di novembre, arresti e sequestro del materiale, con il ricorso alla cassa integrazione, ha fatto pensare all’eterno ritorno del “ricatto occupazionale”. A rendere amare le feste degli operai, alla fine di un difficile 2012, c’è stato il ritardo nel pagamento delle tredicesime. I sindacati dei metalmeccanici, FIOM CGIL, FIM CISL e UILM, temono un aumento e non una diminuzione dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali.

La Regione Puglia non ha voluto finanziare quel pezzo di cassa integrazione chiesta in deroga, perché già utilizzata, per 1.400 lavoratori. Non ci sono risorse per ricorrere ancora alla cassa in decine di aziende dell’appalto siderurgico e un migliaio di lavoratori si trovano già vicini al licenziamento. Molti operai pensano a un futuro lontano dall’ILVA, lontano da Taranto o dai centri pugliesi, lucani, calabresi dai quali ogni giorno si muovono per raggiungere la fabbrica.

Si è riaperta anche la delicata questione della sicurezza sul lavoro, dopo gli incidenti mortali del 30 ottobre e del 28 novembre, nei quali sono morti due lavoratori nel reparto movimentazione ferroviaria e negli impianti marittimi. In particolare, al reparto “Mof” i dipendenti rifiutano di lavorare, senza avere al proprio fianco un collega nel trasporto dei materiali sui “treni” dell’ILVA. E ci sono state molte contestazioni disciplinari.

Taranto conterà i lunghi giorni dell’anno nuovo ancora divisa tra difesa della salute e dell’ambiente e difesa del lavoro. La manifestazione del 15 dicembre scorso ha portato quasi 20mila persone in piazza. Tutte le organizzazioni ambientaliste, i cittadini e gli operai “Liberi e pensanti”, alcuni aderenti a sigle sindacali come la FIOM, sostenitori della magistratura e anche chi non si riconosce in alcuna sigla ma sostiene il diritto alla salute, l’azione giudiziaria e la necessità che sia lo Stato a intervenire direttamente per garantire occupazione e risanamento dentro e fuori lo stabilimento siderurgico, viste le “incertezze” dell’AIA e l’esiguità delle risorse stanziate dal governo col decreto sulle bonifiche (un centinaio di milioni).

I “sacri” testi adottati per questa battaglia sono la Costituzione e il rapporto “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), quello presentato in ottobre dal ministro della Salute Balduzzi, che conferma l’emergenza sanitaria tarantina legata all’inquinamento. Peseranno sulla formazione del voto alle prossime politiche: la Costituzione, il rapporto Sentieri e il decreto “salva-ILVA”. Peseranno sull’astensionismo, peseranno sull’alleanza tra i Verdi di Bonelli e gli Arancioni di Ingroia, peseranno sul voto favorevole al PD, il partito che vede coinvolti esponenti di spicco nelle intercettazioni telefoniche rivelatrici di rapporti opachi tra politica e industria. Rapporti sui quali continuerà a indagare la magistratura in questo inquieto e decisivo 2013, all’ombra delle ciminiere.

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