La conquista del Polo Sud, 100 anni fa

La leggendaria storia di come il norvegese Roald Amundsen arrivò per primo - il 14 dicembre 1911 - battendo di poco l'inglese Robert Scott

di Emanuele Menietti - @emenietti

Laggiù in Antartide, uno dei luoghi più inospitali al mondo, c’è una base permanente americana per la ricerca scientifica. Si trova nel punto più a sud della Terra, dove la temperatura dell’aria arriva a -70 °C, ospita una cinquantina di persone e porta il nome dei due più grandi esploratori dell’Antartide: Amundsen e Scott. Il primo raggiunse il Polo Sud geografico per la prima volta nella storia dell’uomo esattamente cento anni fa, il secondo morì insieme ai propri compagni di spedizione dopo aver raggiunto qualche giorno dopo il medesimo obiettivo. Questa è la storia di Amundsen, l’uomo che sognava di conquistare il Polo Nord e che si ritrovò invece a guidare le sue slitte agli antipodi, verso il punto più a sud del mondo.

Le prime esplorazioni
Roald Engelbregt Gravning Amundsen nacque a Borge, un piccolo centro abitato 85 chilometri a nord di Oslo, il 16 luglio del 1872. Figlio di un armatore, a 21 anni scelse di abbandonare gli studi in medicina e di assecondare la propria passione per le esplorazioni. Prese parte ad alcune spedizioni nell’Artico e, tra un viaggio e l’altro, si diede da fare per perfezionare le proprie capacità con lo sci di fondo nel clima freddo e ostile della Norvegia settentrionale. Il suo punto di riferimento, come quello di molti altri appassionati dell’epoca, era l’esploratore Fridtjof Nansen che in quegli anni stava conducendo numerose imprese per la scoperta di nuovi territori in Groenlandia e al Polo Nord.

Nel 1898 Amundsen si imbarcò sulla nave Belgica per partecipare a una spedizione in Antartide. La nave rimase intrappolata per quasi un anno nel mare di Bellingshausen, al largo della Penisola Antartica, condizione che rese l’equipaggio il primo a trascorrere un intero inverno nelle acque dell’Antartide. L’inconveniente servì ad Amundsen per approfondire le sue conoscenze sugli effetti fisici e psicologici per i partecipanti a una spedizione così estrema, elementi che gli sarebbero tornati molto utili per le sue successive esplorazioni.

La vicenda della Belgica, che si concluse nel 1899, fece aumentare notevolmente l’interesse degli esploratori per l’Antartide aprendo un ciclo di numerose spedizioni verso la zona organizzate da Germania, Francia, Svezia e Regno Unito. Tornato in Norvegia, Amundsen parve però disinteressarsi al Polo Sud, dimostrandosi più interessato alla conquista dell’Artico e del Polo Nord. Tra il 1903 e il 1906 portò a termine l’impresa di attraversare l’intricata e pericolosissima zona del Passaggio a Nordovest, diventando un eroe nazionale. Diversi esploratori si erano, intanto, organizzati per tentare la conquista del Polo Nord.

Nel novembre del 1908 Amundsen annunciò di aver organizzato una spedizione nell’Artico verso il Polo. Disse che avrebbe utilizzato la Fram, la nave che aveva progettato apposta Nansen per resistere ai ghiacci e alle intemperie durante le proprie spedizioni, e ottenne una donazione da parte del re Haakon, una dal Parlamento e l’avvio di una sottoscrizione per finanziare l’operazione.

Dal Polo Nord al Polo Sud
L’organizzazione procedeva spedita, ma nel settembre del 1909 Amundsen vide vacillare i propri piani. I giornali pubblicarono articoli e reportage sulla conquista del Polo Nord da parte di due spedizioni, quella di Cook nell’aprile del 1908 e quella di Peary l’anno seguente. I due si contendevano la vittoria, ma ad Amundsen non interessava, la sua preoccupazione era un’altra: con il Polo Nord già conquistato la sua missione sarebbe diventata marginale, di scarso interesse e più difficile da finanziare. Decise di tenere per sé queste considerazioni, dicendo che comunque al Polo Nord c’era ancora qualche angolo da esplorare. Segretamente, però, si mise al lavoro per cambiare radicalmente i suoi piani e occuparsi del Polo Sud.

Non disse nulla anche perché sapeva che l’esploratore britannico Robert Falcon Scott si stava preparando per la conquista dell’Antartide. Dichiarare subito pubblicamente la nuova missione, inoltre, avrebbe spaventato qualche finanziatore e probabilmente il Parlamento avrebbe ritirato il proprio appoggio, nel timore di fare uno sgarbo al Regno Unito. Amundsen confidò le sue nuove intenzioni a pochi intimi, tenendo all’oscuro il resto dell’equipaggio che sarebbe dovuto partire con lui per la missione.

Partenza
Nell’agosto del 1910 la Fram salpò dalla Norvegia per raggiungere Madeira nell’Oceano Atlantico. L’imbarcazione era equipaggiata per affrontare le rigide temperature polari: furono caricate pellicce, pelli di foca e grandi quantità di cibo e alcolici, che all’occorrenza sarebbero serviti per disinfettare le ferite oltre che per tenere alto il morale dell’equipaggio. C’erano poi sci da fondo estremamente lunghi per evitare di cascare nei crepacci, slitte e oltre cento cani da slitta, che sarebbero serviti per gli spostamenti, ma anche come risorsa per sfamarsi durante la traversata dell’Antartide. E questa era forse la più grande differenza rispetto alla spedizione di Scott, che aveva scelto di usare slitte a motore.

Ai primi di settembre Amundsen decise infine di comunicare all’equipaggio il cambiamento dei piani: niente Polo Nord, avrebbero viaggiato verso sud fino all’Antartide. L’annuncio sorprese i membri della spedizione, ma nessuno decise di tirarsi indietro. Amundsen scrisse una lunga comunicazione a Nansen, annunciando il cambio di programma. La notizia fece molto scalpore in Norvegia e non mancarono le critiche, per quello che in molti ritennero fosse un imbroglio. Nel Regno Unito, dove ci si apprestava a seguire la spedizione di Scott, la notizia fu male accolta e aspramente criticata.

La Fram raggiunse la Baia delle Balene, al limite della zona ghiacciata del Mare di Ross (barriera di Ross) ed entro la fine di gennaio 1911 l’equipaggio terminò la costruzione della Framheim, la base della spedizione. Mentre parte degli esploratori aveva costruito la piccola baita, il resto dell’equipaggio si era dato da fare per procacciarsi quantità sufficienti di cibo: circa 200 foche. Il 3 febbraio quelli della Fram videro una nave in lontananza: era la Terra Nova di Scott di passaggio nella Baia delle Balene. Una delegazione raggiunse la nave dei norvegesi per un pasto insieme, che fu poi ricambiato. I rapporti rimasero civili, si racconta, ma contribuirono a far crescere il senso della sfida tra i due equipaggi per la conquista del Polo Sud.

I preparativi
Nelle settimane seguenti per la spedizione di Amundsen iniziò il lavoro di esplorazione e collocamento dei depositi di cibo lungo il tragitto verso il Polo. L’operazione consisteva nel caricare le slitte con viveri e strumentazioni, viaggiare per diversi chilometri lungo la Barriera e lasciare il materiale. Questo sistema avrebbe poi consentito di partire più leggeri per la missione finale e di avere basi di appoggio per ogni evenienza. La fase preparatoria fu in realtà già un’impresa: le conoscenze dell’Antartide all’epoca erano pochissime e chi si avventurava con le slitte scopriva luoghi inesplorati, senza sapere di preciso a che cosa stesse andando incontro.

La spedizione collocò in tutto tre depositi, poi il 21 aprile il Sole tramontò per l’ultima volta sul Framheim per i successivi quattro mesi. Era arrivato il lungo e buio inverno antartico. Consapevole degli effetti di una lunga permanenza tra i ghiacci come era avvenuto sulla Belgica, Amundsen organizzò rigidamente il lavoro alla base per tenere gli uomini sempre occupati ed evitare troppe tensioni o malumori. Il lavoro non mancava mai: c’erano da sistemare le slitte, bisognava accudire i cani, fare manutenzione e occuparsi delle pelli e delle pellicce per proteggersi dal freddo.

Falsa partenza
I giorni passavano e man mano che si avvicinava la primavera, Amundsen diventava sempre più ossessionato dal timore di arrivare secondo al Polo, battuto in velocità da Scott e dalle sue slitte a motore. Il 24 di agosto, quando un primo timido Sole si rifece vivo all’orizzonte, decise di partire nonostante le critiche di uno dei suoi compagni di viaggio, Hjalmar Johansen, che gli fece notare quanto fosse ancora troppo freddo per tentare la conquista con temperature intorno ai -58 °C. Amundsen si convinse a rimandare di qualche giorno e infine partì con la sua squadra l’8 di settembre, con -27 °C. Fu un mezzo disastro.

I primi giorni le cose andarono abbastanza bene: i cani erano in forma e trainavano veloci le slitte sul ghiaccio consentendo di coprire una media di 15 chilometri al giorno. Le condizioni ambientali peggiorarono nei giorni seguenti con temperature intorno ai -56 °C. Dormire di notte era quasi impossibile e ad alcuni cani si gelarono le zampe. Amundsen si rese conto di aver fatto un errore e decise di fare ritorno alla base per non mettere ulteriormente in pericolo i suoi uomini e i cani. Lasciò parte dell’equipaggiamento in uno dei depositi lungo la strada per muoversi ancora più velocemente con le slitte. Il 16 settembre raggiunse il Framheim con un primo gruppo di uomini, mentre Johansen arrivò diverse ore dopo perché era rimasto indietro. Accusò Amundsen di averlo punito lasciandolo indietro. Tra i due ci fu un litigio e Amundsen, preoccupato dall’episodio, decise di non portare più con sé Johansen per la conquista del Polo.

La conquista del Polo Sud
Per non correre altri rischi, Amundsen si rassegnò ad attendere che le temperature diventassero meno rigide a primavera avanzata. Partì il 19 ottobre con altri quattro uomini e 52 cani per trainare le quattro slitte della spedizione. Dopo circa un mese di viaggio a tappe forzate, il gruppo raggiunse il margine della Barriera e iniziò ad affrontare la sfida più difficile della spedizione: l’attraversamento dei monti Transantartici, la catena montuosa che divide l’Antartide occidentale da quella orientale con elevazione massima oltre i 4.500 metri. Gli uomini si fecero strada lungo un passaggio affrontando non poche difficoltà con continui cambi di percorso e nevai profondi e friabili, che mettevano a dura prova la resistenza dei cani.

Raggiunsero una cresta del ghiacciaio a 3.200 metri e si preparano per l’ultima fase del tragitto verso il Polo Sud. I cani da 52 erano diventati diciotto: alcuni erano morti stremati o per congelamento, altri erano serviti per sfamare il gruppo e i cani più in salute. Amundsen decise di creare un nuovo deposito. Vi lasciò parte della strumentazione e alcune carcasse di cane per il ritorno. Il gruppo decise anche di abbandonare una slitta e di proseguire con tre, alleggerite per gli ultimi giorni di marcia. Il maltempo ritardò di settimane l’ultima fase dell’impresa.

All’inizio della seconda settimana di dicembre gli uomini superarono il punto dove era arrivata la spedizione di Ernest Shackleton due anni prima, conquistando un nuovo record per il punto più a sud della Terra mai raggiunto dall’uomo. Il 13 dicembre arrivarono a 89° 45′ S, ad appena 28 chilometri dal Polo. Alle tre del pomeriggio del giorno seguente, Amundsen e i suoi compagni di spedizione si fermarono: avevano raggiunto il Polo Sud. Piantarono una bandiera della Norvegia a testimonianza della loro conquista e nei due giorni seguenti fecero decine di misure e rilevazioni per essere certi di essere arrivati nel posto giusto. Vi piantarono una piccola tenda, lasciando al suo interno delle strumentazioni per Scott e una lettera indirizzata al re Haakon, con la preghiera per l’esploratore britannico di portargliela.

Il ritorno
Recuperate le forze, il 18 dicembre la spedizione riprese il cammino verso il Framheim. Amundsen aveva nuovamente premura: voleva arrivare il prima possibile per comunicare la riuscita della sua impresa, prima che Scott potesse fare altrettanto nell’ipotesi fosse riuscito a raggiungere il Polo dopo di lui. Verso la fine della prima settimana di gennaio del 1912 raggiunsero il deposito lungo la Barriera e decisero di aumentare il numero di chilometri da coprire ogni giorno. Alle quattro del mattino del 25 gennaio arrivarono al Framheim dopo un viaggio durato 99 giorni con 3.440 chilometri coperti tra andata e ritorno. Con loro c’erano undici cani sopravvissuti sui 52 con cui erano partiti a ottobre e due delle quattro slitte.

Non c’era tempo da perdere. Il 30 la Fram lasciò la Baia delle Balene facendo rotta verso la Tasmania dove vi arrivò dopo cinque settimane di viaggio. Arrivati a terra, Amundsen predispose l’invio di alcuni telegrammi in Norvegia, per avvisare il fratello, Nansen e il re del successo ottenuto. La notizia fu pubblicata dal Daily Chronicle di Londra, che aveva anticipatamente acquistato l’esclusiva, e si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Amundsen ricevette le congratulazioni personali anche di re Giorgio V d’Inghilterra, che riconobbe il risultato ottenuto, mentre di Scott non si avevano ancora notizie.

La fine di Scott
Solamente a quasi un anno di distanza, nel febbraio del 1913, Amundsen venne a conoscenza della morte dell’esploratore britannico e dei membri della sua spedizione in Antartide. I loro corpi erano stati ritrovati nel novembre del 1912 dopo la fine dell’inverno antartico. Scott aveva raggiunto il Polo Sud il 17 gennaio del 1912, ma il viaggio di ritorno si rivelò estremamente difficile e il 29 marzo morì tra i ghiacci dell’Antartide.

Negli anni seguenti, la vicenda dell’esploratore britannico mise in secondo piano l’impresa compiuta da Amundsen. Molti non perdonarono al norvegese di aver mentito sulla sua effettiva meta prima della spedizione. Scott divenne l’esempio positivo dell’uomo che rischia giocando seguendo le regole, Amundsen quello di chi ottiene risultati con l’inganno. Solo negli ultimi anni nuove ricerche e biografie hanno portato a un giudizio storico più equo sui due personaggi. Dopo dispute e diatribe, la maggior parte degli esperti concorda ormai nel dire che Amundsen aveva preparato meglio la propria spedizione, con uomini capaci e determinati. Scott fu sicuramente sfavorito, ma anche meno abile.

Sulla Luna
Terminata l’impresa in Antartide, Amundsen tornò alla sua passione iniziale per il Polo Nord. Il 12 maggio del 1926 lo sorvolò a bordo del dirigibile italiano Norge con Lincoln Ellsworth e Umberto Nobile. Morì in missione, nel 1928, nelle acque del mare di Barents, mentre cercava di andare in soccorso di un’altra spedizione di Nobile. Il suo corpo non fu mai ritrovato e nemmeno i rottami dell’aereo che lo stava trasportando. In un certo senso, il primo uomo che conquistò il Polo Sud ci guarda ancora oggi dall’alto: uno dei crateri nel polo meridionale della Luna si chiama Amundsen. Poco più in là, alla giusta distanza, c’è anche quello di Scott.