Una buona rivoluzione

Non è con le stesse classi dirigenti che ci hanno guidato fino a qui che saranno possibili i cambiamenti e gli scatti di cui si parla sempre più spesso

©Alessandro Falzone/Lapresse
16-03-2011 Torino
Notte Tricolore
Celebrazioni 150 Anni Italia
Nella foto: Notte tricolore in Piazza Vittorio con la mole Antonelliana illuminata

©Alessandro Falzone/Lapresse
16-03-2011 Torino
Notte Tricolore
Celebrazioni 150 Anni Italia
Nella foto: Notte tricolore in Piazza Vittorio con la mole Antonelliana illuminata

Oggi il Corriere della Sera dà spazio a una serie di “reazioni” all’editoriale del direttore Ferruccio De Bortoli pubblicato domenica, quello intitolato “Ce la facciamo (anche da soli)” in cui si chiedeva all’Italia di uscire da questo apparentemente rassegnato e inerme stato di inettitudine e superare i suoi attuali problemi.

Senza ricorrere a patrimoniali e altre tasse (sono già  troppe!), siamo sicuri che non possiamo farcela da soli? Tiriamo su la testa. Un po’ d’orgoglio.

Per chi ha familiarità con i recenti editoriali del Corriere, questi millimetrici avvicinamenti alla richiesta di dimissioni del Governo, sempre mediati con una inesistente e indulgente possibilità di redenzione, durano ormai da un anno e hanno l’accelerazione di una tartaruga, ma di quelle lente.

Un sussulto di dignità nazionale, via. Qualche volta abbiamo la sensazione che non esista più un governo, ma solo la sua maschera di cera. Se esiste, questo coraggio dovrebbe averlo. Oppure, meglio che la maggioranza ne prenda atto. E presto.

Ma in quest’occasione De Bortoli ricorre in più all’idea di un orgoglio, un “sussulto di dignità nazionale”, insomma facendo leva proprio su ciò che è sembrato mancare di più a questo paese negli ultimi anni, motore di ogni possibile risultato o successo. Un richiamo molto simile era stato qualche giorno fa su un’altra prima pagina, quella della Stampa, a firma di Massimo Gramellini.

Ora, non dico tanto. Però un po’ di anima, di dignità. La classe dirigente ne è priva. Ma noi? Siamo disposti a smetterla di considerarci pedine impotenti di un gioco incomprensibile per riappropriarci del nostro destino? A svegliarci dal torpore lamentoso degli schiavi e a lottare con orgoglio per quello in cui crediamo? Nulla è inarrestabile, neanche il declino. Ci sarà un tempo per ricordarsi di aver avuto paura. Ma non è questo il tempo. Ora bisogna dare tutti qualcosa in più, amare questa comunità e portarla in salvo. Facciamo a cazzotti con la rassegnazione, almeno.

Tra Gramellini e De Bortoli una differenza c’è: il secondo dà una chance alle attuali classi dirigenti, il primo no. Ma entrambi hanno capito che è la totale perdita di senso, di responsabilità, di motivazione, a mancare al possibile riscatto dell’Italia, al suo cambiamento di rotta e di marcia, alla costruzione di nuovi progetti e della capacità di intraprenderli.

Le “reazioni” pubblicate oggi dal Corriere, che ben fa a non lasciar morire questo tentativo e a tornarci, vanno però nella direzione sbagliata. Non è raccogliendo il consenso di una personalità politica scadutissima come quella di Lamberto Dini, e facendolo seguire dagli ottusi pareri di Massimo Calearo e Maurizio Gasparri, che si suggerisce ai lettori che esista la possibilità di condividere e costruire qualcosa di nuovo, insieme. Alla Stampa e al Corriere va il merito di cercare di mantenere un’idea – rimossa da altri quotidiani – che le cose non miglioreranno insistendo sulla sconfitta di un nemico e scambiando di posto vincitori e vinti di una guerra tra le macerie. Estendere la volontà di ripresa e ricostruzione alla partecipazione di tutti è essenziale, altrimenti sempre macerie resteranno: al massimo con qualcuno capace di conservarle e spolverarle con più attenzione.

Ma una cosa è certa e chiara. L’Italia non cambia a partire di chi ha accompagnato il suo declino e disfatta attuali: ne sia stato responsabile, complice o solo indossatore. Lo scatto d’orgoglio che chiedono Gramellini e De Bortoli ha bisogno di motivazioni, ha bisogno di una ricostruzione di identità, ha bisogno di una rivoluzione, ci si passi il termine. Nessuno trova la forza per risalire dal burrone dove è intrappolato da una settimana solo perché sente passare un vecchio autobus in lontananza. I referenti attuali nella politica nazionale non hanno più, con misure diverse di colpa personale, la credibilità necessaria a proporre niente che somigli a un riscatto o una rivoluzione. Sono, nel migliore dei casi, un intralcio, che disillude ogni volontà e partecipazione degli italiani al solo sentirli nominare e promette il mantenimento dei meccanismi che ci hanno portato fin qui: qualcuno, con buone intenzioni, sarà al massimo capace di applicarli meglio, magro risultato. I rallegramenti dell’esserci tolti di torno questa maggioranza di mediocri dureranno poco, per quanto siamo gente che si accontenta.

Il Corriere si decida a dire definitivamente – e sinceramente – quello che pensa sull’inopportunità della sopravvivenza di questo governo, ma nel frattempo mettiamoci nell’ordine di idee di cercare un’alternativa che superi le macerie e ci faccia rivedere l’idea che ci siamo fatti di questo paese. Al primo che la disegna, il Post c’è.

(Alessandro Falzone/Lapresse)