IKEA è montata così

L'Economist racconta l'intricata serie di incastri tra holding e controllate messa in piedi dagli svedesi, senza brugole

Sfogli l’infinito catalogo, scegli il mobile che più ti serve e che ti piace, vai al negozio, lo compri, carichi lo scatolone in auto, torni a casa e passi una mezza giornata ad avvitare viti, incastrare pannelli di legno e cercare brugole. Il patto tra IKEA e i suoi clienti è semplice: ti vendiamo mobili non troppo costosi, però te li porti via e te li monti da solo. Il sistema è ben rodato e ormai funziona da anni, come spiegano sull’Economist di questa settimana.

«Odiamo gli sprechi» spiega Mikael Ohlsson, che dal settembre del 2009 riveste la carica di direttore esecutivo di IKEA Group. Indica con orgoglio una versione rossa del divano “Ektorp”. Lo scorso anno i suoi progettisti hanno trovato il modo di impacchettare quel divano con tre sedute in maniera più compatta, raddoppiando la quantità di sofà da poter ammassare in un dato spazio. Hanno ridotto di 100 euro il prezzo e hanno anche diminuito sensibilmente le emissioni di androide carbonica per il trasporto.

Essere parsimoniosi è una delle caratteristiche fondamentali nell’intero processo di produzione e gestione dei prodotti IKEA. Secondo Ohlsson la fortuna della società dipende dall’indole della gente di Smaland, la provincia in cui è stata fondata la società nel 1943 da Igvar Kamprad. Gli abitanti della zona sono cocciuti, consapevoli dell’importanza del risparmio e ingegnosi a sufficienza da riuscire a vivere bene con molto poco.

Una buona organizzazione si riflette sulle prestazioni dell’azienda. Nel 2010, le vendite dei prodotti IKEA sono aumentate del 7,7% facendo raggiungere i 23,1 miliardi di euro con profitti in aumento del 6,1% pari a 2,7 miliardi di euro. La società tiene a grande distanza la concorrenza e continua a guadagnare terreno in numerosi paesi del mondo.

Il modello funziona e in questi anni ha risentito poco della crisi economica, nonostante circa l’80% delle vendite della società si concentrino in Europa, una delle aree più colpite dalla recessione. Sempre nel 2010, le vendite sono aumentate dell’8,2% in Spagna e dell’11,3% in Italia. Inoltre, i mercati in via di sviluppo dell’Europa dell’est hanno portato a nuove vendite, tanto da spingere IKEA a investire maggiormente in paesi come la Bulgaria e la Romania. I mobili da montare della società vanno per la maggiore in Germania, che da sola costituisce il 15% di tutte le vendite realizzate su scala globale dalla società.

IKEA è a tutti gli effetti una multinazionale, ma il controllo mantiene una forte impronta svedese. Il Consiglio dei supervisori, il gruppo di persone scelto dagli azionisti per promuovere gli interessi della società e controllare il lavoro dei direttori esecutivi e dell’amministratore delegato, è controllato da sei svedesi e da Kamprad, che all’età di 84 anni svolge la funzione di senior advisor.

Nel corso degli anni la società è stata accusata di sfruttare il lavoro minorile in Asia e di acquistare le piume ottenute da oche ancora vive. Alcuni giornalisti hanno anche rivelato che Kamprad aveva sostenuto un gruppo fascista svedese quando era giovane; si scusò della cosa con una lettera aperta. Più di recente, IKEA ha avuto problemi in Russia, dove possiede dodici negozi. Dopo aver organizzato campagne contro la corruzione e dopo aver congelato i propri investimenti lì per un po’ per protestare contro il malgoverno, lo scorso anno IKEA è stata coinvolta in uno scandalo. Ha dovuto licenziare due direttori esecutivi in Russia accusati di aver fatto finta di nulla in un caso di corruzione per le forniture di energia elettrica per i propri negozi di San Pietroburgo.

I detrattori della società criticano anche la struttura finanziaria di IKEA ritenuta poco trasparente e studiata apposta per consentire all’azienda di pagare meno tasse. Sopra a IKEA Group che Ingka Holding, una società privata registrata nei Paesi Bassi. La Holding è interamente controllata dalla Stichting Ingka Foundation, una organizzazione senza scopo di lucro guidata da un comitato esecutivo coordinato da Kamprad.

Il marchio IKEA è invece controllato da Inter IKEA Systems, un’altra società sempre registrata nei Paesi Bassi. E questa è collocata sotto l’ala di Inter IKEA Holding, una società registrata in Lussemburgo. Per anni i proprietari di questa holding sono rimasti misteriosi e IKEA si è sempre rifiutata di svelarne l’identità. Lo scorso gennaio un’inchiesta di una emittente svedese ha rivelato che Interogo, una fondazione del Liechtenstein controllata dalla famiglia Kamprad, controlla Inter IKEA Holding, che deve i propri ricavi alle concessioni che Inter IKEA Systems ha per ogni negozio. Ogni concessionario deve dare il 3% dei propri ricavi derivanti dalle vendite per le licenze. Il concessionario più grande è IKEA Group, che controlla buona parte dei negozi a parte un gruppo di 35 punti vendita in Medio Oriente e in Asia.

Kamprad dice che il complesso sistema di holding, fondazioni e società controllate serve per gestire al meglio il pagamento delle tasse, risparmiando dove possibile, e che questa soluzione si riflette poi sui prezzi convenienti per i clienti. La complicata struttura degli assetti della società si scontra però con l’immagine di azienda responsabile e attenta alle problematiche sociali che IKEA vuole dare di sé. Così da un paio di anni Ohlsson sta lavorando sodo per portare maggiore trasparenza e dare ai clienti un’immagine più chiara delle attività del gruppo che guida.

L’operazione verità è un passaggio necessario per IKEA, che intende espandere ulteriormente i propri affari a partire dai prossimi anni. La società guarda con grande attenzione ai mercati emergenti dell’Asia, dove potrebbe conquistare decine di milioni di nuovi clienti. Ohlsson vuole raddoppiare l’offerta in Cina, dove IKEA ha già undici negozi, e progetta di iniziare a fare affari anche in India.