Le parole che caratterizzano un’epoca

“Le parole sono importanti!”, tuonava Michele Apicella alla giornalista di Palombella rossa, colpevole di usare espressioni come “kitsch”, “alle prime armi”, “cheap”.

Le parole sono importanti perché tradiscono molte informazioni su chi siamo, da dove veniamo e, in alcuni casi, chi vorremmo essere. Con una prospettiva più ampia, anche quando scriviamo: l’evoluzione del linguaggio, da Dante a Manzoni, a Pirandello, a Moccia, coinvolge tutti i livelli: sintassi, ortografia, lessico, espressioni idiomatiche… Ciascuno di questi aspetti, anche singolarmente, ci permette di datare approssimativamente un testo: leggendo parole come “noja” o “varj”, sappiamo che il testo precede il 1850; l’espressione “qualcosa di sinistra” invece mostra che il testo è almeno del 1998 [1].

Poiché ogni lingua viva è in continua evoluzione, la gelosia per un certo modo di parlare è una causa persa in partenza. Questo non impedisce a molte persone di sperimentarla, principalmente scatenata dall’uso di vocaboli di diffusione recente, come il “kitsch” causa dell’ira dell’alter ego di Nanni Moretti; nell’anno in cui il film usciva nelle sale, quella parola aveva poco più di dieci anni di presenza nel lessico italiano, in cui era entrata prepotentemente negli anni settanta.

Come lo so? Abbiamo parlato di come i dati siano prodotti in quantità sempre maggiori, ma spesso non disponibili liberamente, per motivi commerciali, o anche solo per mancanza di un’interfaccia agevole. Per questo motivo, ogni volta che scopro una sorgente che rende facilmente fruibili dei dati interessanti, per me è come la mattina di natale. In questo caso, la sorgente è Google Ngrams, un servizio che permette di indagare la frequenza d’uso delle parole nel corpus dei libri scansionati da Google, e sopratutto che offre la possibilità di scaricare i dati grezzi per altre analisi.

Usando l’interfaccia è facilissimo scoprire che “kitsch” è davvero entrato nell’uso comune a partire dalla seconda metà degli anni settanta, che “noja” e “varj” non si usano più dalla prima metà dell’Ottocento, e che l’espressione “qualcosa di sinistra” è stata diffusa da Aprile.

Prendiamo un estratto da Io sono un autarchico, un altro film di Moretti, del 1976:

Nel cinema, gli attori sono la borghesia, l’immagine è il proletariato, la colonna sonora è la piccola borghesia, eternamente oscillante tra l’una e l’altro. L’immagine, in quanto proletariato, deve prendere il potere nel film, dopo una lunga lotta.

Le parole evidenziate suonano estremamente circostanziate nel tempo, e infatti seguendo i link scopriamo che sono state di uso comune specialmente attorno agli anni settanta. La prima domanda a cui ho voluto rispondere usando questi dati quindi è: quali sono le parole che hanno caratterizzato i varj[2] periodi temporali?

Le parole che caratterizzano un'epoca

Le parole che caratterizzano un’epoca (click per ingrandire)

Intuitivamente, queste parole sono quelle la cui frequenza d’uso nel periodo in esame è molto maggiore della media globale. Questo è esattamente il criterio usato per creare questa lista, con inoltre un filtro per eliminare le parole con una frequenze media molto bassa (sia per restringere il campo alle parole più interessanti, sia perché parole poco frequenti possono essere spiegate da errori nella scansione).

Con mia sorpresa, molti termini sono stati popolari per un breve periodo. Una causa è il bias nelle sorgenti dei dati, specialmente nel 1800: in alcuni periodi, i libri sono dominati da un argomento, per esempio medicina, e questo determina una forte popolarità del vocabolario medico, ma solo apparente. Ho eliminato queste parole dalla lista, insieme ai nomi propri che per ovvi motivi sono più propensi a essere frequenti in un breve periodo.

Un’altra sorpresa è che alcuni periodi sono più propensi a creare mode linguistiche: i già citati anni 70 sono l’esempio principe, e oltre a questo i periodi attorno a grandi eventi, per esempio le guerre mondiali.

Dopo un’altra forte selezione, basata su criteri soggettivi di interesse, quattro categorie di parole sono emerse, in base al motivo che le ha rese popolari:

  1. cambiamenti nell’ortografia;
  2. espressioni generiche che soffrono le mode;
  3. lessico proveniente dall’attualità, storia o politica,
  4. oppure dalla scienza, tecnologia o medicina.

Ma la cosa più importante che ho guadagnato è un po’ di… prospettiva. Ho la fortuna di essere uno del 7% degli esseri umani che vivono nel presente, e questo a volte mi rende un po’ presuntuoso, mi sento speciale. Per esempio, mi fa pensare che il modo in cui parlo debba sicuramente essere più… comprensibile, efficiente, elegante, senza tempo rispetto al modo di parlare in uso nel 1800. Beh, non è così: le mode vanno e vengono tanto nel 1800 quanto ora, molte delle parole che diamo per scontato essere popolari non lo erano ancora vent’anni fa e non lo saranno più tra vent’anni. Non siamo speciali.


[1] La seconda datazione è più sicura della prima: è molto più facile scrivere nello stile di 200 anni prima, come Manzoni ne I promessi sposi, piuttosto che prevedere come si scriverà tra 10 anni!

[2] O varii, o vari?

 

Stefano Maggiolo

(Non più?) matematico, non esattamente informatico, ora lavora come ingegnere del software a Google Londra. Gli piace giocare con i dati: raccoglierli o crearli, trasformarli, e sintetizzarli in qualcosa di sorprendentemente ancora inutile, ma divertendosi nel processo.