Una botta d’amore (per Dio?)

Shot of Love (1981)

(Il disco precedente: Saved
Il disco successivo: Infidels)

Siete un giovane cantautore italiano in cerca di idee, nel 1981. Quando avete visto in vetrina l’ultimo disco di Bob Dylan eravate un po’ increduli. Non sembra un disco di Dylan: non c’è la sua faccia e non c’è nemmeno Gesù, insomma che roba è? Più che l’illustrazione in stile Pop Art, l’ultimo stile che accostereste alla musica di Dylan, a incuriosirvi è il titolo: cosa vorrebbe poi dire, “shot of love”? Il dizionario tascabile d’inglese vi conferma che “shot” è il participio di sparare: uno “sparo d’amore”? L’immagine sembra suggerire un esplosione più devastante: “scoppio d’amore”? Ma magari avete fatto almeno una vacanza all’estero e sapete che lo shot è un bicchiere piccolo: “bicchierino d’amore”? Un vostro amico che è stato a Londra scuote la testa: ma non lo sai che lo shot è l’iniezione (di eroina, ovviamente)? “Schizzo d’amore”, bisognerebbe tradurre. Ma chi dice più “schizzo”? Una “pera d’amore”? Oppure una dose, ecco, “Dose d’amore”. Che titolo buffo, pensi, e se la dose è troppa cosa ti succede? Ed ecco improvvisa l’ispirazione:

(Vedi alla voce: Crimini contro l’umanità che Bob Dylan ha reso possibili).

Sapete che John Lennon non è praticamente mai stato quarantenne? Giusto un paio di mesi tra il 9 ottobre e il maledetto 8 dicembre 1980, quando Mark Chapman gli sparò sotto casa a New York. Dylan ne rimase comprensibilmente sconvolto. Avrebbe compiuto 40 anni l’anno successivo, e da venti aveva a che fare con fan ossessionati e fuori di testa. Il mondo in generale stava impazzendo. Dylan assunse una squadra di addetti alla security, con il compito di bonificare i palazzetti dove faceva i concerti. Al suo bassista, Tim Drummond, regalò un giubbotto antiproiettile. Ma non avrebbe scritto canzoni su Lennon, per altri trent’anni. Invece un giorno ne scrisse una per Lenny Bruce, che era morto così tanto tempo prima.

Mark David Chapman

Mark David Chapman

Una sera Bob Dylan e Lenny Bruce avevano preso un taxi assieme. Non sappiamo in che circostanze: Dylan non le ha mai chiarite. Dobbiamo presumere che fosse a New York, senz’altro prima che Bruce morisse di overdose, nel 1966, ormai estromesso dal giro dei locali che non volevano essere coinvolti in processi per oscenità. Qualche tempo prima, lui e Dylan furono compagni di viaggio. “Solo un miglio e mezzo, ma sembrò un mese”. Chissà cosa significa: c’era molto traffico? Non sapevano cosa dirsi e si annoiavano? Oppure avevano tante idee da scambiarsi, e il viaggio fu troppo breve? Poi Bruce se ne andò e Dylan diventò una stella distante. Aveva testimoniato in suo favore a un processo, quando morì non ne parlò più – del resto se avesse scritto una canzone per ogni compagno di viaggi morto in quegli anni, ne sarebbe uscito un disco doppio o triplo, una Spoon River spaventosa. Poi, un giorno qualsiasi del 1981, prese un foglio e si mise a scrivere: “Lenny Bruce is Dead”. Al presente, come se fosse appena successo. A tutti gli intervistatori che gli hanno chiesto cosa ci fa, una canzone sul blasfemo Lenny Bruce, in un disco cristiano, Dylan non ha saputo rispondere. Non ne ho idea, ha detto: l’ho scritta in cinque minuti. Come se la scelta di includerla nel disco non fosse dipesa da lui. E in effetti. Prendi il disco da cui è tratta Lenny BruceShot of Love: ha senso parlarne come se fosse davvero un album e non una raccolta di canzoni scritte in momenti diversi e registrate per caso? Ovvero: ha senso continuare a fare quello che abbiamo fatto fin qui, ora che siamo negli anni Ottanta?

Lenny Bruce (13 ottobre 1925 – 3 agosto 1966), nome d'arte di Leonard Alfred Schneider, è stato un noto comico americano, famoso sopratutto per i temi piuttosto scabrosi che toccava nei suoi spettacoli e per il suo linguaggio spesso volgare. Nel 1964 venne arrestato e processato per 'oscenità'. Nonostante durante il processo testimoniarono a suo favore personaggi come Woody Allen, Bob Dylan e Allen Ginsberg, Lenny Bruce fu dichiarato colpevole. Morì a causa di una overdose di morfina nella sua casa di Hollywood. Nella foto, Lenny Bruce all'aeroporto di New York, l'8 aprile 1963 (AP Photo)

Lenny Bruce (13 ottobre 1925 – 3 agosto 1966), nome d’arte di Leonard Alfred Schneider, è stato un noto comico americano, famoso sopratutto per i temi piuttosto scabrosi che toccava nei suoi spettacoli e per il suo linguaggio spesso volgare. Nel 1964 venne arrestato e processato per ‘oscenità’. Nonostante durante il processo testimoniarono a suo favore personaggi come Woody Allen, Bob Dylan e Allen Ginsberg, Lenny Bruce fu dichiarato colpevole. Morì a causa di una overdose di morfina nella sua casa di Hollywood.
Nella foto, Lenny Bruce all’aeroporto di New York, l’8 aprile 1963 (AP Photo)

Almeno fino a Saved il concetto di “album di Bob Dylan” aveva un senso. Ogni disco era veramente un episodio della sua storia. Non ce n’era uno uguale all’altro, e tutti assieme creavano la storia di un artista, compositore e performer: coi suoi alti, i suoi bassi, le sue digressioni, gli imprevisti, i ritorni e le delusioni. Tra 1981 e 1989 Dylan pubblica ancora degli album – anche troppi – ma non sono più capitoli di un romanzo, non sono più tratti di un percorso, sono quasi una falsa pista; una di quelle mappe delle regioni in guerra, con tutti i confini sbagliati. A osservarla da lontano, sembra una crisi di ispirazione. È l’esatto contrario. Almeno nei primi anni dopo la conversione Dylan ha il problema opposto: troppe canzoni per la testa, scarsa inclinazione a pubblicarle. Diversi pezzi che comincia a provare, alla prima difficoltà li accantona finché non li perde da qualche parte. Alla fine del 1980 si dimentica letteralmente di incidere un disco. A quel punto non aveva soltanto già scritto Shot of Love (la canzone), ma una serie di brani per niente inferiori a quelli di Saved, ispirati, più che da Gesù, dal concetto di Peccato e da quanto sia faticoso liberarsene: c’è Ain’t Gonna Go To Hell For Anybody (sorella maggiore di Tight Connection of My Heart), c’è un rock robusto intitolato Yonder Comes Sin, c’è Caribbean Wind, una cavalcata emozionante dedicata a un amore esotico e sbagliato che avrebbe potuto diventare un classico; c’è un blues tra i suoi migliori (The Groom’s Still Waiting at the Altar) e tanta altra roba buona, scritta per lo più durante una vacanza estiva ai Caraibi su una tre-alberi che aveva appena varato. Quando nell’autunno del 1980 ricomincia coi concerti, ha una gran voce, una scaletta in cui si riaffacciano i suoi vecchi classici ma composta in buona parte di materiale inedito – che inedito è rimasto; quando finalmente si deciderà a registrare un disco nuovo, in primavera, scarterà quasi tutto. Solo The Groom verrà riutilizzata come lato B di un singolo, e poi inserita nella versione CD di Shot of Love, di cui resta uno dei brani più solidi. E gli altri pezzi dell’estate-autunno 1980? Forse si era stancato di cantarli in tour; forse se li era dimenticati; possiamo farci un’idea del tutto ascoltando un paio di bootleg abusivi su Youtube (forse saranno il prossimo capitolo della Bootleg Series, forse ormai Dylan ha deciso di lasciarli perdere):

C’è da mettersi a piangere. Perché non ha mai pubblicato Is It Worth It? Era un gran reggae, non più un esperimento di laboratorio come Man Gave Names; Dylan sembra aver capito come pochi quanta energia mistica ci fosse nella musica di Marley e dei Wailers, che a molti sembrava soltanto una moda da dancehall. Perché ha buttato via il mantra trascinante di High Away? E Magic non era un singolo fatto e finito? Ti faceva così schifo la top10, Bob Dylan? La mia preferita è Hallelujah, una cavalcata drammatica (nessuna parentela col brano di Cohen), eseguita dalla band con un piglio marziale, quasi heavy metal, una grande linea di basso, eseguita non so se da Tim Drummond o da Donald Dunn. Nello stesso periodo Dylan scrive e prova a registrare anche due brani intimisti e sinceri come Let’s Keep It Between Us Angelina, probabilmente l’ennesima lettera mai spedita alla Baez: quando la scopriranno, i dylaniti grideranno al capolavoro. Tra 1980 e 1981 Dylan avrebbe potuto incidere tutte queste cose, e una grande cover di Mystery Train. Invece incide Shot of Love. Un disco provato e riprovato che sembra lo stesso registrato in un fine settimana in un garage. Un disco che arriva al culmine di una stagione di notevole fertilità creativa, e sembra il rantolo di una rockstar fuori controllo. Uno di quei dischi che i dylaniti considerano capolavori mancati, nel senso che avrebbero potuto essere grandi album e invece Dylan in qualche modo li sabotò. Ovviamente nessuno ha inciso tanti capolavori mancati quanti Dylan.

Non mi serve una botta d’eroina per far fuori la mia malattia,
non mi serve una botta di trementina, mi manda solo in ginocchio, 
Non mi serve una botta di codeina che mi aiuti a pentirmi, 
non mi serve una botta di whisky, che mi aiuti a fare il presidente,
mi serve una botta d’amore. 

L'ha incisa pure Norah Jones (ovviamente meglio).

L’ha incisa pure Norah Jones (ovviamente meglio).

Dal punto di vista musicale, Shot of Love rappresenta la completa sconfessione del sound professionale messo a punto da Jerry Wexler per Slow Train Coming, e che aveva già esaurito la sua spinta con Saved. Lo capisci al primo secondo del disco, quando le coriste intonano “I need…” e tu non senti più le voci perfettamente bilanciate e armonizzate dei dischi precedenti: non più quella gelatina anni ’80 stesa uniforme sulle tracce vocali; ora ci sono soltanto tre o quattro voci che sembrano strette intorno a un solo microfono. Tagli al budget? No: è che Dylan si è stancato della Qualità, ora vuole un suono sporco. Più in prospettiva, in questi anni il nostro eroe sta oscillando come un pendolo: incide un disco in fretta (Street-Legal), si rende conto che non è un granché, che non sono più gli anni ’60, che ci vuole più professionismo, e allora scrittura gente come Wexler (Slow Train). Però poi si rende conto che tutto questo professionismo è noioso (Saved), e allora si rimette a esasperare i produttori con jam inconcludenti protratte fino alle quattro del mattino; ad arrivare in ritardo e ad andarsene sul più bello, a cercare a modo suo un suono più grezzo che poi, quando esce il disco (Shot of Love), trova troppo grezzo; e siamo daccapo. Questa lunga oscillazione lo aveva portato a terminare il rapporto con Wexler, a tentare un approccio con Jimmy Iovine (col quale già nell’80 aveva provato a registrare Caribbean Wind) e poi con Bumps Blackwell (col quale riesce appena a incidere Shot of Love, la canzone), per arrivare infine a un vecchio collaboratore di Bruce Springsteen, Chuck Plotkin, al quale impedirà comunque di rifinire i missaggi.

Cuore mio, stattene calmo. Puoi giocare col fuoco, ma pagherai la fattura.
Non farglielo sapere! Non farle sapere che l’ami.
Non fare il matto, non essere cieco, cuore mio.

Musica 1984

Quel che ne salta fuori è un disco suonato da fior di musicisti che sembra inciso su una cassettina da un gruppo di rocchettari della domenica. Esagero? Per farsene un’idea basta ascoltare la versione di Heart of Mine, una di quei regali che ogni tanto gli dei del pop fanno trovare a Dylan, che non ritiene di meritarseli e fa di tutto per svenderli; un testo quasi stilnovista montato su una melodia originale e accattivante, che già funzionava a meraviglia durante il tour dell’inverno del 1980. Poi però succede che Ringo Starr vada a trovarlo in sala di registrazione (è probabilmente la prima volta che si vedono dopo la tragica morte di Lennon), portando con sé Ron Wood. A essere in ritardo è ovviamente il padrone di casa – quando finalmente arriva, registrano una versione amatoriale di Heart of Mine che non va da nessuna parte. Dylan sceglie di incidere questa versione e buttare via quella buona. La pubblica perfino come singolo. Ad ascoltare qualsiasi altra Heart of Mine live o da studio, c’è da restare allibiti. Un Dylan che fa una scelta del genere è un Dylan che non riesce ad ascoltare le sue canzoni né in cuffia né in spia. Proprio non le sente, dev’essere una specie di sordità selettiva. È un grande compositore e performer, con un handicap tragico: non ha modo di rendersi conto se quel che registra è buono o no, ascoltabile o anche no. E in studio non c’è più nessuno che abbia l’autorità per dirgli: Bob, questa è merda; ok, un ex Beatle e un Rolling Stone saranno anche nomi preziosi da includere nelle note di un disco, ma non puoi fare uscire un singolo del genere. Cuore mio, ma che combini?

In realtà Dylan - che era cresciuto artisticamente proprio a NY negli anni ruggenti della Factory - detestava la Pop Art. Andy Warhol gli aveva regalato un ritratto di Elvis, lui lo aveva nascosto in un armadio (a volte lo appendeva capovolto). Se ne liberò regalandolo a Grossman, che ovviamente ci fece un sacco di soldi.

La cosa curiosa è che Dylan – cresciuto artisticamente proprio a NY negli anni ruggenti della Factory – detestava la Pop Art. Andy Warhol gli aveva regalato un ritratto di Elvis, lui lo aveva nascosto in un armadio (a volte lo appendeva capovolto). Se ne era liberato regalandolo a Grossman, che ovviamente ci avrebbe fatto un sacco di soldi.

Shot of Love è insomma il vero inizio degli anni Ottanta di Dylan, intesi come il decennio in cui litigherà con Knopfler, litigherà con Lanois, andrà in giro di produttore in produttore registrando cose a casaccio, riuscendo comunque quasi sempre a mettere insieme una decina di tracce passabili nel giro di un anno: e ogni anno quelle tracce diventeranno il Nuovo-Deludente-Disco-di-Bob Dylan, un’etichetta che i critici non sentiranno l’esigenza di rinnovare fino a Oh, Mercy. Al termine di questo percorso, avrà una fanbase avvilita, infuriata e ridotta all’osso, e i cassetti pieni di inediti meravigliosi. Si tratta inoltre del terzo capitolo della trilogia cristiana – anche da questo punto di vista, assai meno a fuoco dei primi due. Troppo forte è la tentazione di leggere la trilogia come la storia di un’avventura impossibile tra Dylan e Gesù: se Slow Train raccontava il momento eroico dell’innamoramento, ma soprattutto del coming out, il momento in cui Dylan sfidava il pubblico e le sue convenzioni reclamando la Verità del suo amore, Saved era il momento dell’amore realizzato, dell’estasi, quel momento orgasmico in cui non è che ci sia molto da dire a parte gridare Oh Grazie Grazie e altre cose che fuori contesto possono anche suonare un po’ stupide. Mentre Shot, beh, Shot è il momento in cui all’estasi subentra il trantran, Dylan e Gesù ormai fanno coppia fissa ma Bob è svagato, se la prende per un nonnulla, ogni tanto fissa il vuoto, pensa a una vecchia fiamma o a una tizia intravista all’incrocio. Sai quei momenti in cui ti scopri a fantasticare di Cosa Sarebbe Successo Nella Tua Vita Se. Se avessi seguito la brezza dei Caraibi, se avessi salvato la vita a Lenny Bruce, se, se, se…

“A cosa stai pensando, Bob?”
“Mah, niente”.
“Niente?”
“I soliti casini, dappertutto sai…”
“Troubles, nothing but troubles”.
“Già”.
“Non è che sei arrabbiato per Mick Jagger”.
“Mick? Perché, cos’avrebbe detto Mick?”
“Bob, non far finta con Gesù. È lui che ha messo in giro la voce che ti sei rincoglionito”.
“E perché mi sarei rincoglionito, sentiamo”.
“Perché ti sei messo con me”.

1983

Mick Jagger nel 1983 (Bob sta con Gesù, Mick con Jerry Hall).

Shot of Love Property of Jesus sono i due brani del disco che più ricordano la foga evangelica di Slow Train. Il primo riprende quasi la struttura e il piglio di Gotta Serve Somebody, ma a ben vedere è più ecumenico e si avvale di un vecchio trucco dei poeti/cantanti cristiani: invece di parlare di Dio, parlano d'”amore” (lo stesso espediente viene riciclato in Watered-Down Love). Siccome Dio è amore, ognuno è libero di capire quel che vuole – oh, sembra un trucco cretino, ma funziona dai tempi del Cantico dei Cantici. Property of Jesus è l’unico brano esplicitamente born-again, e in quanto tale è il più difficile da mandare giù. Potremmo prenderlo come un esercizio su uno dei più vieti luoghi comune del country cristiano (gli amici mi disprezzano da quando sono passato a Gesù, dicono che non sanno cosa mi perdo, ahahah, ma loro bruceranno all’inferno), come quando McGuinn coi Byrds cantava The Christian Life. Il problema è che Dylan ci sta credendo davvero: e inoltre parla di sé stesso alla terza persona, pessimo segno.

Andate avanti a parlare di lui perché vi fa dubitare,
perché ha negato a sé stesso le cose di cui voi non vi sapete privare.
Ridete di lui dietro le sue spalle come fanno gli altri,
ricordategli chi era, quando passa tra di voi:
Lui è proprietà di Gesù, vi infastidisce sin nelle ossa.
Voi avete qualcosa di meglio… avete un cuore di pietra!

Forse dedicata a Mick Jagger (l’autore di Heart of Stone), che forse aveva davvero rilasciato qualche dichiarazione un po’ drastica sulla conversione di Dylan, Property of Jesus è la Positively 4th Street degli anni ’80, una di quelle invettive orgogliose e svergognate che oggi associamo ai rapper. Ho la sensazione che chi disprezza la fase cristiana di BD abbia in mente soprattutto brani del genere. Ma Property è l’unico del disco, ed è anche l’ultimo. Ed è seguito, in modo sconcertante, da Lenny Bruce. Dopo aver inveito contro i vecchi e rinnegati compagni di strada, Dylan va a cercarsi il più dimenticato e il più blasfemo, e ci scolpisce un monumento. In teoria la cosa non potrebbe funzionare: oltre a essere nel pieno della sua fase più bigotta, Dylan in generale non è bravo coi monumenti; quando ci ha provato (Joey) ha ottenuto effetti risibili. Ma qui avviene il miracolo: Lenny Bruce in un qualche modo funziona, forse perché Dylan per un attimo smette di essere Dylan. Il testo sembra scritto da un tizio che non ha mai scritto una canzone, un ex divo a cui finalmente Gesù abbia elargito il dono più prezioso: l’umiltà. È commovente da tanto che è goffo. “Forse aveva dei problemi, qualche cosa che non riusciva a risolvere. Ma di sicuro era divertente, diceva la verità, e sapeva di cosa stava parlando. Lenny Bruce non ha mai saccheggiato le chiese, né tagliato la testa a dei bambini” (tante grazie, faceva notare per esempio Paolo Vites, “chi cazzo va in giro a tagliare la testa dei bambini?”), “ha solo preso certa gente d’alto bordo e acceso una luce nei loro letti” (per bruciarli o per rivelarli?) Lenny Bruce assume un significato particolare se decidiamo che Dylan, dopo aver parlato di sé stesso alla terza persona in Property, ora si stia rivolgendo a sé con la seconda (come suggeriva di rileggere Like a Rolling Stone e altri vecchi pezzi in cui il “tu” era in realtà un “io”). E quindi quando canta, con voce un po’ corrugata dall’emozione, “Lenny Bruce era un fuorilegge, più di quanto tu non sarai mai”, Dylan non sta soltanto ricordando a tutti gli stand-up comedian chi è stato il primo a superare il muro dell’Oscenità (e a pagarne il prezzo per tutti); ma anche ricordando a sé stesso di non essere mai stato davvero quel ribelle autodistruttivo che negli anni Sessanta per un attimo aveva impersonato. È un Dylan stanco delle professioni di fede, un Dylan che alla morte di Lennon si sente ancora un po’ più solo e si rende conto, all’improvviso, che Lenny Bruce avrebbe potuto essere suo fratello, “il fratello che non hai mai avuto”. La melodia è altrettanto ingenua, se non sgraziata: dopo l’orgogliosa professione di Property, un atto di contrizione quasi cattolico.

Dead Man assomiglia un po’ a Shot of Love ma è probabilmente il migliore reggae mai registrato da Dylan – qui l’obiettivo di recuperare lo spirito di Marley e dei Wailers mi sembra palese. In Dead Man e nella successiva, dimenticabile In the Summertime, Dylan non se ne rende conto, ma sta già descrivendo la fine della sua storia con Gesù: uomo morto, uomo morto (dice), perché non ti svegli? Cosa aspetti?

Il successo e le luci sfavillanti e la politica del peccato,
il ghetto che mi costruisti è quello in cui sei finito.
La corsa del motore che ti strapazza il cuore
(Oh, non la sopporto), e fingi ancora di essere in gamba.
Uomo morto, uomo morto, quando ti alzerai?
Hai ragnatele in testa, polvere negli occhi.

Troubles è uno di quei blues anaforici che Dylan può scrivere e suonare a occhi chiusi – la relativa novità è come lo canta: se ai tempi di If Dogs Run Free era in anticipo sul Tom Waits jazzista, ora è uno o due anni davanti al Tom Waits rumorista dei primi Ottanta. Il disco però finisce con Every Grain of Sand, la canzone che tutti preferiscono, al punto che è ormai diventato un luogo comune: Shot è il brutto disco che precede i sei toccanti minuti di Every Grain of Sand. Devo ammettere che è uno dei classici di Dylan che mi lascia più freddo. Come Forever Young, si tratta di una ballatona strappalacrime, il genere che sopporto di meno. Capisco che funziona, che commuove, col suo arpeggio basico e il suo andamento gospel. Senza Every Grain non avremmo forse avuto I Still Haven’t Find What I Am Looking For (U2) e Everybody Hurts (REM), ecco, ma avremmo perso davvero così tanto? Capisco che si tratti del finale perfetto per un disco religioso ma non dogmatico, e in generale per tutta la trilogia cristiana: ma è più forte di me, non vedo l’ora che Bob volti la pagina. (E anche lui, per fortuna).

(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966Blonde On BlondeLive 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert1967: The Basement TapesJohn Wesley Harding1969: Nashville Skyline1970: Self PortraitDylanNew MorningAnother Self Portrait1971: Greatest Hits II1973: Pat Garrett and Billy the Kid1974: Planet WavesBefore the Flood, 1975: Blood on the TracksDesireThe Rolling Thunder Revue1976Hard Rain1978: Street-LegalAt Budokan1979Slow Train Coming1980Saved1981: Shot of Love, 1983: Infidels).

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.