Il circo itinerante del tuono rotolante

The Rolling Thunder Revue (The Bootleg Series Vol. 5, pubblicato nel 2002 ma registrato nel 1975).

(Il disco precedente: Desire
Il disco successivo: Hard Rain)

E se io e te partissimo, uno di questi giorni? Se prendessimo un treno, anzi un pullman, e ce ne andassimo in giro per l’America finché non ci stanchiamo e lei di noi? E se invitassimo tutti i miei amici – scusa, tutti i nostri amici – in fondo che hanno da fare a parte suonare, bere e farsi? Potremmo anche passare a prendere la mia ex, è un sacco che ho voglia di vederla, così diventate amiche. E un team di registi per farci i filmini. Secondo me sarebbe fortissimo, se un giorno io e te partissimo. Purtroppo abbiamo tante altre cose più serie da fare.

Roger McGuinn, Joni Mitchell, Richi Havens, Joan Baez e Bob Dylan.

Roger McGuinn, Joni Mitchell, Richi Havens, Joan Baez e Bob Dylan.

Nell’autunno 1975 Bob Dylan non le aveva. Per quanto la sua icona sia associata indissolubilmente alla metà degli anni Sessanta, dieci anni dopo si ritrovava sulla cresta dell’onda molto più di quanto era e sarebbe mai stato. Before the Flood Blood on the Tracks avevano già ottenuto un disco di platino ciascuno, The Basement Tapes un disco d’oro. Desire, già in canna, avrebbe venduto ancora di più. Improvvisamente il pugile suonato di qualche anno prima aveva ritrovato lucidità e grazia: uno di quei rari momenti in cui qualsiasi cosa scegliesse di fare, per quanto bizzarra, funzionava: e scelse di andare in giro per il Paese con una carovana di vecchi e nuovi amici. Funzionò (più o meno).

Bob_Dylan_-_The_Bootleg_Series,_Volume_5I concerti della Rolling Thunder Revue duravano quattro ore. Nei camerini della Rolling Thunder Revue c’era un tizio che girava col sacchetto di cocaina: veniva detratta dalla paga, 25$ il grammo. Sul palco della Rolling Thunder Revue si alternavano Bobby Neuwirth (dopo dieci anni di nuovo nello staff di Dylan), Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliott, Ronee Blakey (la protagonista di Nashville), il chitarrista degli Spiders from Mars, Mick Ronson. Nella prima data della Rolling Thunder Revue suonò anche Phil Ochs, ma era conciato piuttosto male e qualche mese dopo si suicidò. C’era anche Allen Ginsberg, nella Rolling Thunder Revue; anche se i suoi reading uscirono presto dalla scaletta lui continuò ad aggirarsi per i backstage ad aggiungere quel tocco di poesia. Nella Rolling Thunder Revue a un certo punto si ritrovò persino Joni Mitchell, che dopo un concerto pensava di andarsene; ma il batterista fece un broncio e lei restò. Al Madison Square Garden, durante il concerto della Rolling Thunder Revue per Rubin Carter, salì sul palco anche Muhammad Ali. Durante la Rolling Thunder Revue, la Blakey si fece tagliare i capelli corti così che sembrava una sorella minore di Joan Baez. Quest’ultima si faceva filmare in vestito da sposa e da prostituta dai cineasti che a un certo punto invitarono nella Rolling Thunder Revue anche Sara Dylan – col disappunto del marito che dovette sloggiare un’altra compagna di letto. Quante altre donne potevano ronzare attorno a Dylan durante la Rolling Thunder Revue? A un certo punto arrivò anche sua madre.Ai concerti della Rolling Thunder Revue, Dylan si presentava truccato; una specie di clown bianco. Qualche volta si mise anche una maschera (da Nixon, o da Bob Dylan), ma doveva togliersela al primo assolo di armonica.

Joan Baez

Joan Baez qualche anno più tardi, sul confine cambogiano.

La Rolling Thunder Revue è una cosa a cui in un mondo migliore avrebbero diritto tutti, più o meno sui trentacinque anni: radunare su un paio di pullman gli amici di tutte le età, e darci dentro come se non ci fosse un domani. Probabilmente è il tour migliore che Dylan abbia fatto, e il volume doppio della Bootleg Series è il miglior Dylan live che si possa ascoltare – è un giudizio a cui si può arrivare per esclusione: il suono non è caotico come ai tempi degli Hawks, Dylan non sembra costantemente incazzato come in Before the Flood, la voce è ancora solida e soprattutto il repertorio è il migliore di sempre: mette insieme cose antiche come Blowing in the Wind (rifatta acustica con la Baez, fa scomparire completamente dalla vergogna la versione di Before the Flood) e cose come Isis Hurricane, talmente fresche che non erano ancora state pubblicate (ci sono ben sei pezzi di Desire, e sono tutte versioni che rivaleggiano con quelle incise in studio).

Ci sono perle di valore assoluto, come una Hattie Carroll elettrica che la chitarra di Ronson trasforma quasi in un pezzo pop, senza togliere un grammo allo sdegno che Dylan riesce a ispirare cantandola; una Mama You Been On My Mind, di nuovo con la Baez, ma soprattutto con un gruppo che si diverte un mondo a fingersi orchestrina ragtime; una Simple Twist of Fate eseguita in solitaria che ci dà un mezza idea di che disco sarebbe stato Blood on the Tracks se Dylan avesse davvero deciso di inciderlo acustico; una Just Like a Woman riletta con un tocco glam-rock che è l’unica concessione allo spirito dei tempi. C’è davvero un sacco di roba buona e alla fine resta la voglia di sentirne di più. Il guaio è che il modo di sentirne di più è passare a Hard Rain

Hard Rain (1976)

(Il disco precedente: The Rolling Thunder Revue
Il disco successivo: Street-Legal)

Bob_Dylan_-_Hard_RainAscoltare Hard Rain dopo The Rolling Thunder è come tornare il giorno dopo a casa di un amico che ha dato una festa: la cucina è un disastro, il soggiorno impresentabile, gli ospiti già così splendidi stanno litigando perché i conti non tornano, c’è nell’aria puzza di fumo e di divorzio incombente. Per molto tempo Hard Rain fu l’unico resoconto discografico del tour, a cui non solo non rendeva giustizia: sembrava un gesto d’autocritica, un ripensamento. Hard Rain fu anche uno speciale televisivo che floppò miseramente, e anticipò l’uscita del monumentale Renaldo and Clara, il film sperimentale di quattro ore sul tour, molto presto ritirato dalle sale e a tutt’oggi non in commercio. 

Poster_of_the_movie_Renaldo_and_ClaraQualcuno scrisse che in Hard Rain i musicisti davano l’impressione di litigare, di coprirsi a vicenda – più semplicemente, il missaggio è un disastro. Durante la Revue Dylan suonava con tre chitarre: la sua, quella di T-Bone Burnett e quella di Mick Ronson (più Dave Mansfield alla steel): poi c’è naturalmente Scarlett Rivera al violino, il che ci dà modo di verificare se per caso steel guitar e violino solista vadano d’accordo (la risposta è un bel NO). Il risultato, se non lo mixi con cura, è un muro del suono che ti lascia frastornato: eppure forse è il suono più vicino a quello che sentiva davvero il pubblico pagante in Texas e in Colorado, durante alcune delle ultime date del tour – mentre sul suono così limpido e ben miscelato del disco precedente grava il solito sospetto: non sarà in un certo senso una finzione?

A quel punto della storia, la Revue aveva già eseguito due concerti di beneficenza per i processi di Rubin “Hurricane” Carter (ma il secondo era stato gestito così male che, una volta coperte le spese, non fruttò un soldo). Dylan aveva di nuovo litigato con Sara, e anche con Mick Ronson: il che forse è peggio, perché la sua chitarra aveva davvero dato una nuova vita a molti pezzi del suo repertorio: purtroppo non è lo specifico caso di Maggie’s Farm, l’unico brano di Hard Rain in cui è accreditato, stravolta e accelerata fino a diventare un blues-rock qualsiasi. Ma per esempio Shelter from the Storm una sua ossatura ritmica ce l’avrebbe; purtroppo è annegata in un canale da una chitarra sferragliante (quella di Dylan?), lasciata troppo alta dal produttore Don DeVito.

RollingThunderRevuePosterHard Rain alla fine meriterebbe di essere liquidato come un episodio, la testimonianza di un paio di serate in cui pioveva e i musicisti non riuscivano a prendersi. Il fatto è che in questa atmosfera un po’ elettrica e greve, Dylan si trova cupamente a suo agio. Si capisce che è incazzato, e determinato a sfogarsi sulle proprie canzoni. Ancora più di Blood on the Tracks, di cui riprende tre titoli, Hard Rain è il disco della separazione. Due brani di Nashville Skyline, il disco delle gioie coniugali, vengono violentati fino a trasformarne il ritornello in un urlo primordiale: se per Lay Lady Lay non era una novità, il ripescaggio di I Threw It All Away è abbastanza imprevisto. Il disco del resto non contiene nessun classico fondamentale (per evitare la sovrapposizione con Before the Flood, uscito appena tre anni prima), e si conclude con una Idiot Wind ancora più biliosa dell’originale. Hard Rain è la dimostrazione di quanto sia volatile il rock da vivo: gli stessi ingredienti che fanno di The Rolling Thunder Revue un album godibilissimo, mescolati in modo diverso, creano il primo, di tanti dischi che ho riascoltato in questi mesi, che mi ha fatto domandare: ma perché lo sto ascoltando? Quale oscura colpa devo espiare? Una domanda che da qui in poi ho la sensazione che mi farò spesso.

(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966Blonde On BlondeLive 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert1967: The Basement TapesJohn Wesley Harding1969: Nashville Skyline1970: Self PortraitDylanNew MorningAnother Self Portrait1971: Greatest Hits II1973: Pat Garrett and Billy the Kid1974: Planet WavesBefore the Flood, 1975: Blood on the TracksDesire, The Rolling Thunder Revue, 1976: Hard Rain, 1978: Street-Legal).

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.