Lo spot elettorale di Casa Pound

La politica italiana, a mio avviso, è generalmente povera di azioni simboliche e di cura particolare per ciò che è visivo o fittivo, per il non detto evocativo (e purtroppo anche per il detto, perché si temono gli effetti retorici scoperti: basterebbe però mettere a fuoco il problema e attrezzarsi), almeno se paragonata ad altri paesi.

Certo pesa la natura stessa delle nostre istituzioni, che non favorisce l’assunzione di responsabilità e ne consente sempre la dilazione e il rinvio, con tutta una serie di conseguenze nella comunicazione che non sono però ciò che mi interessa adesso qui.

Anche per questo mi ha molto incuriosito – e devo dire sbigottito, al di là di considerazioni politiche – uno spot elettorale, quello di Casa Pound, che è invece costruito come un dispositivo simbolico che forma e svela un immaginario a dir poco lugubre, per quanto significativo.

Nella prima parte il leader di Casa Pound passa attraverso il buio denunciando i limiti di tutti gli avversari politici (da Boldrini a Berlusconi, e tutti gli altri) che sono raffigurati con dei cartonati che in qualche modo “mummificano” la scena. L’unico essere umano vivente è il leader di Casa Pound, che per indicare le politiche degli altri utilizza una serie di parole interessanti: follia, sciagura, distruzione e annientamento di tradizioni e futuro, gabbia, Unione Europea meccanismo per distruggere l’economia italiana, traditori.

Il passaggio necessario attraverso il buio, attraverso le tenebre, fa parte di molte storie e ha spesso un valore di rigenerazione e di legittimazione. Basterebbe pensare alla cerimonia con cui Mitterrand volle iniziare la sua prima presidenza. Si trattava di un’entrata, anche questa solitaria, nella penombra (ma con la folla luminosa dei francesi alle spalle che attendono), nel Panthéon di Parigi per rendere omaggio a Jean Moulin, uno degli eroi della resistenza. Non era solo un omaggio alla resistenza; si trattava simbolicamente di molto di più: un passaggio del nuovo presidente nel regno dei morti, che rendono viva e autorevole la sua funzione presidenziale, e di un ritorno tra i vivi, perché anche l’uscita dal Panthéon gioca un ruolo fondamentale, tra le responsabilità rinnovate delle nuove generazioni.

Quello che mi colpisce nello spot di Casa Pound è che questa oscurità iniziale non conduce alla luce, al mondo dei vivi, ma a un enorme cimitero, letteralmente una montagna di morti, dove si svolge la seconda parte dello spot.

Certo, si tratta di un cimitero particolare, cioè del sacrario militare di Redipuglia (che tutti dovrebbero visitare una volta con emozione e rispetto), ma l’effetto visivo è francamente scioccante, per il semplice motivo che non è un punto di partenza, ma è l’esito del messaggio simbolico. Non è una legittimazione da parte di coloro che sono morti per la patria (e a causa della patria), ma è il punto finale di tutto il discorso, come in una distorsione dello schema morte-rigenerazione.

Il leader di Casa Pound, Di Stefano, sale il monte tenendo sempre in vista le tre croci che lo sormontano, in un clima percettivo purgatoriale (potrebbe essere l’alba o forse è il tramonto, non si capisce, forse per evitare l’effetto “sol dell’avvenire” che non sembra essere coerente col tutto) e con una musica in sottofondo che non è abbastanza epica per non risultare un po’ triste e inquietante.

Il riferimento visivo costante alle tre croci fa inoltre perdere completamente l’idea (che forse era quella voluta, ma in questo caso sarebbe un lapsus notevole) dell’identità cristiana degli italiani, per svelare tutto un altro immaginario: in realtà Di Stefano sta visivamente salendo il Golgota.

Tutto il discorso simbolico, che parte dalle tenebre e dal buio, cioè dalla morte, torna alla morte, amplificata dalle centinaia di migliaia di morti su cui quel Golgota che nell’ultima scena dello spot vediamo davvero in tutta la sua dimensione.

Ma lo spot finisce lì, in una sorta di luttuoso venerdi santo laico. Una resurrezione possibile non è per nulla evocata, non c’è rigenerazione, i morti sono rimasti morti, non hanno parlato ai vivi, non esiste un nuovo punto di partenza, il futuro si ferma in un enorme e spaventoso, per quanto sacro, cimitero.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.