Le solite contraddizioni della ricerca italiana

La gaffe della ministra Giannini, che si è complimentata con i vincitori italiani degli importanti ERC Consolidator Grant dell’Unione Europea, per poi scoprire grazie alla reazione piccata di Roberta D’Alessandro, vincitrice di un ERC sì, ma in Olanda, che in realtà gran parte degli studiosi italiani erano stati espulsi dal sistema accademico italiano, ripropone il tema della situazione grave in cui versa l’università italiana.

Che cosa sono gli ERC Grant e a che cosa mirano? Lo spiega l’UE stessa: “In questo periodo l’Europa non offre ai giovani ricercatori sufficienti opportunità di sviluppare carriere indipendenti né di passare da un’attività svolta sotto il controllo di un supervisore a un attività di ricerca indipendente svolta sotto la propria responsabilità. Questo problema strutturale provoca un grave spreco di talenti della ricerca in Europa. Inoltre ostacola o ritarda l’affermarsi di una nuova generazione di ricercatori eminenti, che apportano nuove idee ed energia, e incoraggia i ricercatori dotati di grande talento all’inizio della loro carriera a cercare di farsi strada altrove”.

L’Europa con una procedura di selezione molto forte e articolata, che culmina con un’audizione a Bruxelles, finanzia alcuni progetti (forse ancora troppo pochi) presentati attraverso un complicato e esaustivo dossier da singoli ricercatori. I vincitori hanno un finanziamento da un milione e mezzo a due milioni di euro, per costruire un gruppo di ricerca per cinque anni, da basare in un’università o centro di ricerca europeo.

I ricercatori con passaporto italiano sono sempre tra i più numerosi a vincere, ma il punto è che scelgono in massima parte università europee, mentre praticamente nessuno straniero viene in Italia. Il bilancio così è terribilmente negativo. A questa tornata di ERC, 18 italiani su 30 sono all’estero, solo uno straniero viene in Italia, mentre dei 67 vincitori che lavoreranno in UK, 43 non sono inglesi. Per noi è un cappotto.

Anche un bambino si rende conto che allora c’è un enorme problema di sistema. Del resto va detto che le università italiane troppo spesso guardano con disagio i vincitori di questi finanziamenti, che rischiano di disturbare i placidi giochi interni delle attese inerti di avanzamenti di carriera in tempo di vacche magre. Conosco molti che pur con ERC non hanno trovato accoglienza in Italia. Il sistema così vacilla.

D’altra parte c’è poco da fare, le riforme dell’università anche da questo punto sembrano essere fallite e il sistema generale ha perso affidabilità. E non per colpa delle riforme, che avevano elementi di grande interesse, ma perché quelle riforme sembrano essere state svuotate di senso. È come se, con pochi dettagli, avessero vinto gli ambienti più conservatori dell’università.

Si è discusso per anni delle abilitazioni scientifiche nazionali, cioè un sistema per valutare i profili scientifici dei candidati per i posti da professore e “abilitarli” scientificamente per poter partecipare ai concorsi. Dopo anni di discussione e preparazione, la procedura di abilitazione è durata solo due anni e poi si è misteriosamente interrotta. Il ministero subito dopo l’interruzione ne ha annunciato la riapertura in forme nuove, ma il risultato è che migliaia di ricercatori senza posto non possono partecipare ai concorsi perché non riescono ad abilitarsi. L’alternativa è lasciar perdere o andare all’estero (magari proprio con un ERC: ne conosco vari). L’abilitazione così si è rivelata una trappola per i migliori.

Un altro elemento positivo della riforma (semplificando) era la distinzione nei concorsi a professore associato tra posti riservati agli interni (cioè puri avanzamenti di carriera) e concorsi aperti anche agli esterni. Ebbene l’impressione, nettissima, è che i concorsi aperti si siano rivelati concorsi chiusissimi, con la vittoria sistematica dei candidati interni. Sarebbe bene che il ministero su questo ci desse dei dati statistici e ci spiegasse quanti esterni hanno effettivamente vinto un concorso aperto agli esterni. Sembra che lo sforzo degli ultimi dieci anni, al di là dei proclami, si sia italicamente tradotto in un gigantesco avanzamento di carriera.

Un altro elemento positivo sarebbe stato la valutazione della qualità della ricerca delle università, procedura gestita da un’agenzia ministeriale in cui il ministero ha investito soldi ed energie (provocando i comprensibili e interessati malumori di generazioni di professori refrattari all’idea stessa di essere valutati). Sul punto il ministero ha tenuto la linea, ma che cosa ne ha fatto dei risultati della valutazione? In che modo ha premiato davvero i dipartimenti e le università migliori? Anche qui l’impressione è che per non scontentare gli ultimi si sia rinunciato a premiare davvero i primi.

Un’ulteriore decisione potenzialmente positiva del ministero – poi repentinamente modificata – è stata quella di tentare di facilitare l’afflusso in Italia di vincitori di ERC attraverso la possibilità di assumere direttamente i vincitori di ERC Starting Grant come professori associati. Ebbene proprio in queste settimane il ministero ha deciso che i vincitori non possono più essere assunti come professori, ma come ricercatori a tempo determinato, cedendo così di fatto alle pressioni di chi non ha mai digerito gli ERC europei.

Tutti questi provvedimenti contraddittori sono poi accompagnati da un lungo e drammatico ciclo di disinvestimento nell’università e dall’assurdità degli stipendi bloccati da anni, che mortificano soprattutto chi il proprio lavoro tenta di farlo.

Insomma il sistema accademico italiano non è affidabile e non è leale, soprattutto con i giovani. Ed è un peccato perché potrebbero bastare alcune semplici azioni per tentare di rimetterlo in moto in un tempo ragionevole (che non può essere un tempo immediato perché alcuni punti di non ritorno sono stati superati), naturalmente azioni accompagnate da investimenti. E visto che parliamo anche di questo, si potrebbe cominciare proprio dagli ERC. Perché non cerchiamo di riportarne il più possibile in Italia, di questi 30 vincitori di Consolidator e di questi altri 30 vincitori di Starting? E perché dall’anno prossimo non cerchiamo anche di portarci a casa qualche straniero, anche con operazioni più semplici, come fanno tutti i paesi europei?

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.