Buongiorno

Una volta chiesero a Enzo Biagi che futuro si augurasse per l’Italia. E Biagi, citando un suo conterraneo, lo scrittore emiliano Cesare Zavattini, rispose: «Sogno un Paese in cui buongiorno vuol dire buongiorno».
Quanto sta accadendo oggi in Italia, il degrado morale senza fine che sembra stringere come in una morsa fatale il nostro Paese, politicamente, economicamente e socialmente allo sbando, credo che nasca da lì. Da quell’auspicio di limpidezza nel linguaggio e nei suoi significati mai realizzato. O, perlomeno, mai diffusamente realizzato. Anzi, si è affermato il contrario, con la complicità di quel “sentimento” tutto italico che fa assurgere la furbizia al rango di virtù. Per cui ogni costrutto o anche semplice parola risulta “interpretabile”. Di più, viene resa forzatamente interpretabile, fino ad assumere una, cento, mille sfaccettature. A quel punto il groviglio costruito ad hoc di tesi, antitesi e sintesi diviene inestricabile, le personali responsabilità di quanto affermato sfumano, la memoria col tempo vacilla e alla fine “tarallucci e vino”, al solito, trionfano.
Senza questo ripetuto e continuativo andazzo Berlusconi non sarebbe ancora lì a spararle grosse con i suoi «non ho mai detto», «non ho mai fatto» e i suoi accoliti disseminati nelle trasmissioni tv a ripetere fino allo sfinimento «non ha mai detto», «non ha mai fatto». L’intento è risaputo. Come dice un vecchio adagio napoletano: «Dall’ e dall’, si spezza anche o’ metall».
Ci sono un paio di parole che, a mio avviso, sono particolarmente paradigmatiche di questo “rovesciamento di fronte”: moralista; pudore.
Oggi chiunque svolga anche un semplice ragionamento di buon senso, la prima cosa che avverte il bisogno di precisare, quasi che temesse di essere subito accusato di chissà quali nefandezze, è di non essere un moralista. Come a dire, parliamo di tutto ma le offese no, per favore. E se proprio volete infierire datemi pure del bacchettone ma, ripeto, moralista no.
E invece io penso che ci vorrebbero un bel po’ di moralisti per contribuire a costruire fiducia nel prossimo. Se guardo poi a chi, tra gli altri, li mette nel mirino ogni dubbio svanisce.
Quanto al pudore, sembrerebbe un concetto appartenere esclusivamente alla sfera privata della persona. I difensori del premier non perdono occasione per sottolinearlo. Ma non è così. Il pudore, al contrario, è un concetto molto “politico”. Lo spiega bene Monique Selz nel suo libro intitolato, appunto, “Il pudore”, quando scrive:

Il pudore garantisce la costruzione di un rifugio per il sé e assicura la salvaguardia dell’integrità individuale e collettiva. Riveste quindi un ruolo essenziale nel modo in cui si elabora il futuro della società e il suo ruolo sociopolitico è primario..La constatazione pone inevitabilmente il problema della pratica della democrazia. Non è più possibile pensare che quest’ultima autorizzi a lasciar dire di tutto e a tutto mostrare.

Parafrasando il titolo del libro più recente di Gianrico Carofiglio, “La manomissione delle parole”, si potrebbe dire che è arrivato il tempo anche della “manutenzione” delle parole affinché, finalmente, buongiorno voglia dire buongiorno.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com