Grillo è il niente

E ora, poveretti? Ci sono 162 poveretti che contavano niente e contano zero, ora. Non hanno ufficialmente idee loro, non hanno luoghi di discussione, non hanno elettori o collegi a cui riferirsi, non hanno neppure una sede fisica: decide tutto un comico che esce dal cancello e parla coi giornalisti – se va bene – e si mette a smadonnare prima di far apprendere chi è morto e chi è vivo, che cosa fare, con chi allearsi, che cosa pensare. Non c’è un referente, non c’è una gerarchia, una sezione, un organismo, un ufficio, non c’è niente: e praticamente non c’è neanche Grillo, quello che non l’hanno eletto ma parlerà con Napolitano, non c’è perché non vi risponde al telefono e spesso i neo parlamentari non l’hanno neanche mai conosciuto. Sono 162 parlamentari magari di buon aspetto e buona volontà, ma non hanno una voce, non sanno come veicolarla, sanno solo che due sessantenni gli decurteranno lo stipendio e gli diranno se potranno andare in televisione (dove i più non dicono mai niente di serio, perché poveretti, non lo sanno) e forse gli diranno anche che cosa mangiare, come vestirsi, a che ora fare le abluzioni. Però ecco, possono andare sul blog dove decine di migliaia di indirizzi anonimi ed elettronici (ma democratici) anche in queste ore sparano ognuno una cosa diversa: «Alleiamoci», «sì», «no», «boh», «il Tav», «l’eolico», «Dario Fo», «Crocetta», «il signoraggio bancario».

Se l’obiettivo di Grillo era il casino, l’obiettivo è pienamente raggiunto. L’ingovernabilità è sostanziale. Trovare dei presidenti per Camera e Senato sarà da pazzi, mentre trovare un neo Presidente della Repubblica sarà addirittura un’impresa: Grillo, a meno che rinsavisca, accetterebbe candidature tipo da Dario Fo in giù, una come Emma Bonino è giudicata troppo compromessa. L’ex comico non pare personaggio da «atti di responsabilità» (non ne ha convenienza) anche perché non è abituato a interloquire con nessuno. Collaborare con altri partiti per cambiare la legge elettorale? Agli occhi del suo elettorato sarebbe una contaminazione. Tornare a votare? È quanto è accaduto in Grecia, laddove il voto di protesta tuttavia non è riuscito a bissare il risultato delle prime elezioni. Non è detto, cioè, che Grillo da nuove elezioni abbia da guadagnare.

Il voto a Grillo era di protesta e di protesta rimane, o se si preferisce «antipolitico». Loro dicono di no, ma sono patetici. Una prima e spannometrica analisi dei flussi fa già intuire che i Cinque Stelle hanno preso voti soprattutto a sinistra – contro ogni pronostico – ed è semplicemente impensabile che merito ne sia il «programma» del Movimento, dai più giudicato abborracciato e inesistente. Nonostante Grillo sia in pista ormai da sette anni (il primo a scrivere che avrebbe fatto un vero e proprio partito fui casualmente io nel luglio 2007) i suoi temi elettorali mandati ripetutamente in onda dai talkshow – azzeramento della casta, destrutturazione istituzionale e burocratica, no tasse, no banche, no Europa – restano dei temi anti-sistema e appaiono protési non tanto al «fare» ma al suo «arrendetevi» e al suo Parlamento da «aprire come una scatoletta di tonno».

Il sostegno di Pd e Pdl al governo Monti ha lasciato il segno. Se la manifestazione di San Giovanni ha evidenziato qualcosa, inoltre, è quanto vi pullulassero le bandiere dell’antimilitarismo, dei No tav, dei radicalismi da centri sociali, insomma un patrimonio che fu della sinistra (estrema, ma sinistra) e che pare essere confluito assai più nei Cinque Stelle che nella mancata Rivoluzione di Ingroia.

Gli astenuti sono comunque aumentati e in buona parte sono voti specificamente persi (o non guadagnati) proprio da Grillo, che li ha sempre avuti come obiettivo: sin dalle politiche scorse (2008) Grillo invitò pubblicamente all’astensione quando invece ci fu una delle affluenze più alte degli ultimi anni. Ora il ciclo ha ricominciato a invertirsi: in un ciclo elettorale e mezzo il Paese ha perso l’8 per cento dei votanti (3 milioni di voti sulla massa complessiva) e la soglia si è abbassata notevolmente per tutti i partiti al di là delle percentuali. Ecco perché il vero dato impressionante di alcune regioni – a proposito di protesta e disaffezione al voto – è quello di regioni come la Sicilia in cui al successo di Grillo va sommata un’astensione da paura.

Ora c’è da sperare che la classe giornalistica la smetta di pubblicizzare il «segretario» come non è mai accaduto per nessuno in tutta la storia d’Italia. In tal senso, lo «stratega di comunicazione» non è mai stato Grillo bensì i giornalisti che ne hanno mandato in onda i comizi per ore e ore. Senza questa rendita di posizione, peraltro spacciata per autonomia internettiana, il voto dato a Cinque Stelle – soprattutto quello confluito da altri partiti – sarebbe stato sensibilmente inferiore, questo penso. Hanno fatto tutti i giornalisti, peraltro insultati di continuo o respinti coi Carabinieri. Ci sono milioni di persone, neo grilline, che il blog di Grillo probabilmente non l’hanno neppure mai visitato. Hanno guardato la tv.

Ora però è difficilissimo che Grillo non si dia una regolata e una forma. I suoi eletti sono dilettanti allo sbaraglio in perenne subbuglio da assemblea studentesca, protagonisti di un movimento che non è neppure un movimento: è un magma, una colata che ha terrore di solidificarsi. Non è un partito carismatico: i partiti, o movimenti, hanno idee, strutture, gerarchie minime, un’organizzazione del consenso. Qui abbiamo un capo di Stato maggiore (col suo improbabile e riccioluto consigliere) e sotto, infinitamente sotto, una truppa proletaria con la quale lui non parla neanche, e che, in assenza di cultura politica, formicola eccitata come scolari che hanno occupato la scuola. Anche Berlusconi creò un partito in tre mesi: ma sul proscenio c’erano, perlomeno, personaggi più che navigati per buona selezione o per abile riciclo: per un po’ bastò. Nel caso di Grillo invece non c’è ancora un vero disegno, un’idea precisa, una vera «intelligence» dietro ogni mossa o frase pronunciata: è tutto un po’ così, estemporaneo. L’antipolitica, di questi tempi, può rendere da morire: ma ora Grillo è in Parlamento e certi giochini sono finiti. Berlusconi, appena giunto a Palazzo Chigi, disse che non trovava il volante. Grillo, per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, deve perlomeno inventarsi un apriscatole.

Dopodiché parliamo del niente, ma dovremo abituarci. Per ora Grillo e i suoi restano questo: il niente politico, benché muniti di voti e parlamentari. Come detto, in Grecia il niente – cioè i partiti di protesta – ha funestato le elezioni e ha costretto a rifarle: dopodiché la gente capì, e alla seconda tornata elettorale la protesta si riassorbì o quasi.
Negli ultimi giorni abbiamo visto e rivisto dei filmati con Grillo che dialoga al telefono con Piero Ricca (una cosa politicamente dirompente) e poi il suo «discorso dei Ray-Ban» dove c’è lui che esce dal cancello e si concede finalmente ai giornalisti: un evento a scopo dimostrativo in cui peraltro il comico ha accettato di rispondere ad alcune domande, anche se – ha detto – erano domande «sbagliate». In sostanza Grillo ha detto che i suoi futuri interlocutori parlamentari faranno un governissimo e che sono «malati mentali», qualcuno, cioè, dovrebbe prenderli sottobraccio dicendo loro che «è finita». Poi ha detto che il prossimo Capo dello Stato potrebbe essere il «ragazzino» Dario Fo (86 anni, che sarebbero 93 a fine mandato) e le solite sue cose: che «faremo tutto quello che abbiamo promesso… Vedremo riforma per riforma, legge su legge, se ci sono proposte le valuteremo».

Da dove? Come? Nei confronti di quale governo? E i presidenti della Camera e del Senato? Boh. Parole.
A ben guardare, Grillo non ha detto niente: ma è tutto quello che ha detto, e allora giù discussioni.
La cronaca di parte grillina è tutta qui, e a simili e penosi approcci è appeso il dibattito politico: con gli analisti impegnatissimi nella decrittazione del niente, arrovellati nel tentar di comprendere se i «no» di Grillo siano strategici o significhino «no» e basta. No a governissimi, a larghe o strette intese, a qualsivoglia dialogo, no a «inciucetti e inciucini», in pratica no a fermare la sua lunga marcia attraverso le istituzioni che denota il palese obiettivo di scassarle. Riempire i granai al prossimo raccolto elettorale, roba che potrebbe esserci tra pochi mesi, un anno al massimo: il messaggio di Grillo, per ora, sembra solo questo.

Non c’è ragione di pensare altrimenti, la chiusura di Grillo pare totale e sufficientemente motivata: ma stratosferica è comunque l’attenzione alle «aperture» di parte piddina, da quelle di Pier Luigi Bersani («Grillo dica cosa vuole fare») a quelle evocative e non sintetizzabili di Nichi Vendola, che straparla di «alleanzismo». La sinistra «vanity» (neologismo per indicare la parte più bassa dei radical chic) in compenso è tutta eccitata all’idea di un’alleanza Pd-Grillo, roba che ricorda l’attenzione di certa borghesia milanese per gli artisti e gli studenti demoproletari.

Chissà se a Grillo e ai suoi adepti sarà chiaro che sono rappresentanti del popolo italiano, ora: in teoria di tutto. Il tempo della propaganda e dell’irresponsabilità è finito, o c’è da sperarlo: il Cinque Stelle non potrà reggere all’infinito senza democrazia minima e strutture e gerarchie e un’organizzazione del consenso. Giuseppe Piero Grillo è ancora e soltanto una sorta di capo di Stato maggiore con sotto di lui, infinitamente sotto, una truppa con la quale lui non parla neanche. I grillini. A ben guardare e a ben ascoltare, per non sbagliare non dicono mai nulla che non sia «contro»: perché una vera idea non c’è, un vero programma non c’è, una dinamica democratica non c’è, non c’è praticamente niente se non in termini molto generici. Non è possibile che una forza autenticamente democratica trovi origine e sede soltanto nel blog di Beppe Grillo, anzi neanche, in una sottosezione del blog di Beppe Grillo: laddove l’unico titolare del movimento è lui, e per contattarlo c’è un solo indirizzo email. Nel suo movimento non ci sono «fedelissimi», non ci sono «dissidenti», non ci sono «ribelli», non esistono vere «polemiche», non c’è niente nei fuorionda perché c’è pochissimo persino in onda: non c’è niente, ci sono le banali dinamiche che si studiano in sociologia a proposito dei gruppi, c’è un ribollire che si teme – lo teme Grillo – possa solidificarsi in qualcosa che deluda. L’ebollizione perciò continuerà. E discutere con loro, con il Cinque Stelle, non servirà a niente.

(Pubblicato su Libero)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera