Ieri, oggi, domani

Un tizio, osannato per anni, viene indiziato per un cosiddetto reato ideologico. Un informatore prezzolato, una notte, conduce la polizia in un giardino pubblico dove il tizio sta intrattenendosi con due amici: viene arrestato. Lui non resiste, ma gli amici sì: rissa, gli agenti lo malmenano, finisce in questura dove è atteso trepidamente perché l’operazione era preparata da tempo. Viene interrogato per tutta la notte e lui si limita a confermare le proprie convinzioni: il questore, verbalizzato il tutto, ritiene che vi siano gli elementi per condannarlo per direttissima. Prima del processo viene malmenato ancora, e il giorno dopo il giudice se ne accorge: ma fa spallucce perché intanto ha deciso la propria incompetenza territoriale e se ne lava le mani. Tra una scartoffia e l’altra – mentre tizio continua a prenderle – la Suprema Corte decide che la competenza territoriale era giusta e lo rispedisce al giudice. Sembra profilarsi una condanna minima (tizio è incensurato) ma la pubblica accusa fa il diavolo a quattro e fa capire che per le istituzioni sarebbe uno smacco. Un teste, presente la notte dell’arresto e già intimidito dagli agenti, rinnega l’amico. Morale: condanna al massimo della pena nel silenzio della stampa (non c’era) senza che l’avvocato d’ufficio presenti neppure appello. Durante l’ennesima traduzione, tizio viene ancora durissimamente malmenato. Un calvario. Solo un’ampia pubblicistica, molto tempo dopo, ne riconoscerà l’innocenza. Ne hanno tratto anche un film, si chiama The Passion.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera