Dopo la farsa, la lettera da Parigi

Quello che la prima volta si manifesta in tragedia, la seconda lo fa in farsa. E la terza – la definitiva, la terminale – come lettera da Parigi. Lo psicodramma Spinelli e l’esperienza della Lista L’Altra Europa con Tsipras sono finiti ieri, nel modo peggiore che si poteva immaginare: un suicidio mascherato da sopravvivenza. Barbara Spinelli, dopo giorni di silenzio andropoviano, ha inviato una mail da Parigi, che potete leggere qui. E invito a farlo, a leggerla, dico, per intero; perché è uno dei documenti più rappresentativi della sinistra italiana, della sua incapacità a comunicare, della sua deresponsabilizzazione patologica, del suo narcisismo laschiano conclamato, del suo desiderio di morte, della sua fame saturnina.

Con questa lettera, Spinelli accetta ciò a cui aveva rinunciato: ossia di diventare parlamentare europea in caso fosse stata eletta. Dopo aver fatto una lunga campagna elettorale spiegando il senso delle candidature (che abbiamo accettato di chiamare testimoniali per essere buoni e dovevamo chiamare civetta per essere precisi), il 26 maggio – all’indomani del risultato del 4,03% -, mentre Marco Furfaro (di estrazione Sel) e Eleonora Forenza (di estrazione Rifondazione) festeggiavano il loro secondo posto dietro Spinelli e quindi la loro elezione a Bruxelles, Spinelli apriva il telefono della doccia fredda e urticante, insinuando che invece no, contrordine compagni, forse era meglio che andasse lei. Il resto è la cronaca di quindici giorni deliranti. Va, non va, esclude Furfaro, esclude Forenza, ci sarà una lotteria fra i due, ci sarà una consultazione alla base, ci sarà una discussione… Così alla fine questo rimuginio psicotico ieri ha prodotto la lettera. Una comunicazione che mescola la peggiore retorica della società civile con la peggiore retorica da comitato di partito e che è arrivata dopo poche ore che si era svolta a Roma l’Assemblea Nazionale dei comitati della lista, assemblea alla quale Barbara Spinelli non si era manifestata né in carne né in voce, e la cui discussione era stata ovviamente molto focalizzata anche sulla vicenda Spinelli va-non-va, e dalla torre chi viene spinto giù Forenza-o-Furfaro. Assemblea che, sottolineamolo, aveva anche chiaramente espresso la volontà di far sì che questa decisione così delicata passasse per un dibattito allargato, un processo di decisione minimamente democratico. E invece, la lettera; in cui la risposta debita a chi era rimasto allibito da questa marcia indietro si limita a poche righe, queste:

So che molti sono delusi: il pro­po­sito espresso all’inizio di non andare al Par­la­mento euro­peo sarebbe disat­teso, e que­sto equi­var­rebbe a una sorta di tra­di­mento. Non sento tut­ta­via di aver tra­dito una pro­messa. I patti si per­fe­zio­nano per volontà di almeno due parti e gli elet­tori il patto non l’hanno accet­tato, accor­dan­domi oltre 78.000 pre­fe­renze. Mi sono resa conto, il giorno in cui abbiamo cono­sciuto i risul­tati, che sono vera­mente molti coloro che mi hanno scelto nep­pure sapendo quel che avevo annun­ciato: anche loro si sen­ti­reb­bero tra­diti se non tenessi conto della loro volontà.
Inol­tre, come garante della Lista, ho il dovere di pro­teg­gerla: le logi­che di parte non pos­sono com­pro­met­terne la natura ori­gi­na­ria. Pro­prio le divi­sioni iden­ti­ta­rie che si sono create sul mio nome mi indu­cono a pen­sare che la mia pre­senza a Bru­xel­les garan­ti­rebbe al meglio la voca­zione, che va asso­lu­ta­mente sal­va­guar­data, del pro­getto – inclu­sivo, sopra le parti – che si sta costruendo.
Per quanto riguarda la scelta che sono chia­mata uffi­cial­mente a com­piere, annun­cio che essa sarà in favore del Col­le­gio Cen­tro: è il mio col­le­gio natu­rale, la mia città è Roma. È qui che ho rice­vuto il mag­gior numero di voti. A Sud non ero capo­li­sta ma seconda dopo Ermanno Rea, e da molti ver­rei per­ce­pita come «para­ca­du­tata» dall’alto. Mi assumo l’intera respon­sa­bi­lità di quest’opzione, che mi pare la più giu­sta, nella piena con­sa­pe­vo­lezza dei prezzi e dei sacri­fici che essa comporterà.

Ora, chiunque abbia conoscenza del dietro le quinte, sa che la filigrana di tutto questo, il non-detto, riguarda i rapporti tra Sel e Rifondazione, tra chi vuole andare col GUE e chi vuole dialogare con il PSE, i vecchi rancori tra compagni, gli sciocchi regolamenti di conti tra chi seguì il progetto fallimentare di Rivoluzione Civile con Ingroia e gli altri militanti, ma di questo che per me è un mondo mefitico di retropensieri che non esiste, non voglio discutere. Perché invece io voglio stare al detto, e leggendo la lettera, chiunque abbia un minimo di logica, riesce a vedere la surrealtà di questo comunicato. A partire dall’affermazione “i patti si perfezionano per volontà di almeno due parti e gli elettori il patto non l’hanno accettato, accordandomi oltre 78.000 preferenze”. Dunque: tu dichiari più volte che la tua candidatura è solo testimoniale e che quindi sei una portatrice d’acqua e che quindi quei voti serviranno per qualcun altro (“Abbiamo voluto dar voce, con la nostra presenza attiva in campagna, ai tanti «invisibili» e alle tante competenze della lista Altra Europa con Tsipras. Non per ultimo, mandiamo un preciso messaggio agli elettori: scegliendo le nostre persone, e sapendo che non abbiamo un passato partitico, avranno la garanzia che voteranno per il carattere veramente unitario del progetto”, Spinelli dixit) e quando gli elettori, tipo un sacco di gente che conosco, tipo anch’io, si convincono obtorto collo di questa tua strategia elettorale, tu non solo cambi le regole di un patto che tu sola hai imposto e le cambi ex-post, ma dichiari che siamo stati in due a volerle modificare?

Buona parte di quelle 78.000 preferenze, proprio alla luce di quello che avevi dichiarato (“Ci si domanderà a questo punto perché votare capilista come Moni Ovadia o Barbara Spinelli. Rispondo che vale la pena votarli, perché l’impegno di tutti e due noi continuerà anche dopo l’elezione. Sia Moni che io vigileremo su quel che faranno i candidati della lista per cui ci siamo battuti, nella legislatura che comincerà dopo il 25 maggio.”, sempre Spinelli dixit), ti sono state date per rivestire un ruolo di garanzia e di vigilanza. Non per fare come cazzo ti pare.

Risultano quindi ancora più assurde le righe in cui Spinelli scrive “Come garante della Lista ho il dovere di proteggerla”. Perché il risultato di questaprotezione sarà chiaramente l’implosione. Perché questa protezione è stata esercitata con un fare da padrini se non da lenoni da parte dei garanti. La pressione perché Spinelli andasse a Bruxelles non è solo venuta dalla base (quale?) come afferma Spinelli o dalla lettera quanto mai inopportuna di Tsipras, ma dagli altri garanti stessi (da Luciano Gallino a Marco Revelli) che di fatto si sono trasformati da figure super-partes a piccoli oligarchi. Del resto, ce lo si poteva aspettare, Quis custodiet ipsos custodes?, recitava certo Giovenale e gli faceva eco Alan Moore (nell’epigrafe di Watchmen), che come il poeta satirico latino conosce bene le miserie dell’animo umano, soprattutto quando si erge a paladino della giustizia. Questi watchmen, questi garanti, si sono dimostrati alla luce dei fatti un dispositivo farraginoso, autocontradditorio e terribile dal punto di vista del funzionamento democratico, tanto che il paragone con i garanti-padroni Grillo & Casaleggio va a favore di questi ultimi. Spiace dirlo, spiace essere così duri conoscendo le biografie politiche di Guido Viale, di Marco Revelli, di Luciano Gallino, di Barbara Spinelli stessa (noi, che non l’abbiamo voluta ridurre a “figlia di Altiero”), ma proprio riconoscendo questo valore aggiunto, si resta allibiti e furibondi di fronte a questo metodo politico.

Giorni fa rileggevo Uomo invisibile di Ralph Ellison, tradotto proprio da un giovanissimo Luciano Gallino cinquant’anni fa. Gli vorrei rimettere davanti quelle pagine su cui avrà evidentemente sudato non poco da giovane. Perché l’impressione che mi hanno lasciato è simile – questo comitato direttivo autoproclamato si è comportato come il direttore Bledsoe e i suoi compari: fingono di voler aiutare il protagonista del libro, di volerlo sostenere negli studi e nel lavoro, ma in realtà le lettere di raccomandazione che gli riscrivono sono un tragico bluff. Quando “Uomo invisibile” ne aprirà una di queste lettere, sgranerà gli occhi; tutte le lettere dicono in realtà ai destinatari l’opposto di quello che si pensava: ‘Fingete di accogliere questo ragazzo, fingete di poterlo e volerlo aiutare, in verità questo ragazzo non deve avere un’altra possibilità’.
Il messaggio dei garanti ha avuto lo stesso senso: a essere delusi sono (e spero che questo sia ben chiaro ai garanti) soprattutto quelli di una generazione, non anagrafica ma politica, differente. I ventenni/trentenni/quarantenni, coloro che sono stati esclusi tanto dal welfare quanto dalla rappresentanza politica. E che consideravano il voto – almeno il voto – un possibile minuscolo strumento di restituzione di questa rappresentanza. Una generazione che pensava finalmente che Furfaro e Forenza fossero l’espressione di una possibile, rinnovata, minima unità progettuale, a sinistra. E non un pacchetto Sel + Prc. Due candidati eletti secondo nessuna logica Cencelli, ma a partire dal riconoscimento di un lavoro ormai decennale sul campo. E invece Spinelli persino questo patto generazione informale ha voluto rompere: scegliendo in maniera anti-salomonica tra i due chi sacrificare. Giù dalla torre Furfaro, a cui viene dedicata nella lettera una riga che ha il sapore del saluto di un boia.

Ma persino in quest’atto si può scorgere la cupio dissolvi. La decisione di Spinelli ricorda, e qui l’evidenza del disastro si può fare ancora più palmare, quella della Scelta di Sophie, il film di Alan Pakula del 1982. Sophie, messa di fronte in un lager alla scelta di militari nazisti di chi far sopravvivere tra i due figli, opta per quello apparentemente più debole. Perderà ovviamente entrambi.
Anche in questo caso, la logica di questa opzione è folle e autodistruttiva. Slavoj Žižek analizza questo film e mette in guardia dalla falsa alternativa della scelta. È evidente che un’opzione del genere è da rifiutare in sé, va rispedita al mittente; il prezzo da pagare è – altrimenti – la distruzione di tutti e tre (madre e figli). Fuor di metafora, chi voterà un accrocchio come Tsipras la prossima volta? O ancora, chi si sbatterà a fare campagna elettorale, a raccogliere le firme? O anche: chi voterà Sel o Rifondazione? O persino, chi voterà a sinistra? O infine, chi voterà? Se il mio voto dev’essere così strumentalizzato, preferisco non votare. Persino Matteo Renzi con i suoi modi spicci giganteggia di fronte a questo pastrocchio. Persino il Movimento Cinquestelle con il suo concetto di rappresentanza preso in prestito da qualche popolo di Star Trek risulta più affidabile.
Ed ecco alla fine di questo sfogo, resta solo l’amarezza. Siamo cresciuti nel Novecento, nel secolo del pensiero critico, e non possiamo rimuovere il lato umano. Per questo dico: mi dispiace molto, umanamente. Quando leggo, nella penultima riga della lettera di Spinelli, il suo appello al “pro­se­gui­mento di una bat­ta­glia uni­ta­ria e inclu­siva al mas­simo”, rivolto ai “delusi dalla pre­sente demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva”, mi sale alla bocca un ghigno, è un gesto quasi involontario. Il contagio di psicosi. Perché capisco che non è una questione di sgarbi tra vecchi compagni. Ma un problema di verità. La percezione di un dato reale, un’intelligenza di tipo empatico, sentimentale che manca totalmente a questa sinistra. In bocca al lupo a chi, nonostante tutto questo, sceglierà di vivere veramente invece di sopravvivere come uno zombie.

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.