Italia Inside Out

Visita guidata con Giovanna Calvenzi

È davvero una bella fortuna essere amica di Giovanna. Mi sono accaparrata una visita guidata alla più grande mostra dedicata alla fotografia italiana che sia mai stata fatta di cui lei è la curatrice.

Si parte.
Entriamo negli ambienti un po’ sbilenchi del Palazzo della Ragione in piazza Mercanti a Milano. Passiamo in rassegna i vagoni-contenitore concepiti da Peter Bottazzi, Calvenzi ha poca voce ma comincia a spiegare:

«Ho voluto fare un percorso ideale: sono partita da Milano con Paolo Monti, quella dei Navigli degli anni ’50 e ho chiuso con la nuova città di Vincenzo Castella. Quindi, si entra a Milano e si esce da Milano. Una sorta di circolarità dello stesso viaggiare. La mostra è uno spazio gran public: non volevo fare una cosa troppo cronologica che avrebbe annoiato a morte il grande pubblico. La cronologia piuttosto l’ho rispettata nel catalogo. Qui volevo creare un percorso più interessante e movimentato per offrire ai fruitori la complessità e la ricchezza del panorama fotografico italiano. È una mostra decisamente autobiografica, come lo sono le collettive che hanno un curatore: non bisogna andare tanto lontano, se sai chi è il curatore e sai chi sono i suoi amici, fai presto a immaginare cosa ci sarà in mostra».

Come è nato questo curioso allestimento in cui le immagini sono inserite dentro la scenografica sezione di un vagone del treno?

«Ho parlato a lungo con Peter Bottazzi di “Viaggio in Italia”, partendo ovviamente da quello di Ghirri per arrivare a questo progetto, una sorta di continuità nella necessità di fare un viaggio attraverso il Paese. Peter Bottazzi ha ascoltato e mi ha detto: “Allora se è un viaggio, facciamolo in treno”. Abbiamo tenuto le immagini piuttosto basse rispetto al solito per ricreare l’effetto del guardare l’Italia dal finestrino di una carrozza e poi, confesso che mi sono tarata su me stessa, non sono molto alta e viaggio molto in treno. All’inizio non ero troppo convinta di questa idea dei vagoni ma confesso che ora sono soddisfatta: mi ha consentito di scandire e separare molto facilmente ogni autore e vedo che il pubblico ci si muove bene e apprezza questo allestimento».

Delle opere che vediamo esposte, quanto hanno scelto gli artisti e quanto hai deciso tu come curatrice?

«Dipende dai casi. Ho mescolato lavori celebri e altri meno conosciuti, direi che ho scelto molto di quello che è esposto poi ci sono dei casi in cui ho seguito i suggerimenti dei fotografi: volevo esporre Matera di Mario Cresci ma lui mi ha proposto i sorprendenti ritratti dei quadri – lavoro quasi sconosciuto – mi ha raccontato che, mentre era all’Accademia Carrara di Bergamo, vedendo muovere i quadri durante un trasloco, aveva notato che fotografandoli in digitale si otteneva questo strano effetto mosso per cui sembra che gli occhi del quadro siano esattamente in asse con quelli di chi guarda. Mi ha convinto. L’ho esposto e questo mi ha costretto a cambiare tutto il giro. In una collettiva c’è un equilibrio delicato: se cambi un lavoro, devi ripensare anche gli altri. Se non tutti, molti. Devi mantenere il senso che ti sei dato e accompagnare il pubblico nella fruizione senza annoiarlo e senza cadere nel percorso didascalico.
Un esempio differente: ho scelto personalmente di mostrare un lavoro poco famoso di Francesco Jodice, The Diefenbach chronicle – Capri perché lo ritenevo interessante e originale».

Ci sono lavori esposti in questa mostra che sono meno immediati, mi riferisco, tra gli altri, a quello di Marina Ballo Charmet. Alcuni invece non hanno una connotazione regionale o non rappresentano al meglio il percorso di un autore, prendiamo il caso di Olivo Barbieri, perché?

«È vero, Olivo Barbieri e Marina Ballo sono gli unici lavori transregionali. Sono ricerche d’autore, percorsi creativi non delimitati geograficamente, per regione o città. Mi incuriosiva il lavoro di Marina sui parchi: è un progetto realizzato un po’ in tutta l’Italia, dove la fotografa ha utilizzato come punto di ripresa quello dell’altezza degli occhi di un bambino, come vedono loro il mondo? Un approccio percettivo che attraversa il Paese e offre un punto di vista assolutamente originale. Per quanto riguarda le immagini di Olivo invece, avevo bisogno di mostrare Torino, Catania, Genova e Napoli e mi sembrava esaustivo farlo attraverso il suo lavoro. Nelle mie scelte non c’è sempre una logica ferrea. In alcuni casi mi sono lasciata affascinare dall’opportunità di esporre luoghi declinati in maniera differente. È successo con Firenze, dove ho esposto ben tre lavori: quello ironico e divertente di Riverboom, Firenze contro il resto del mondo, stampato su carta da parati e incollato a parete, la ricognizione della città degli anni ’90 di Cesare Colombo e, per concludere, Terra dintorno, un lavoro autobiografico di Martino Marangoni sui dintorni della sua casa sulle colline fiorentine».

Scelte personali, curatoriali.

La visita è finita.
Mentre continuo a passeggiare tra le fotografie mi accorgo che mi conquistano le dualità: i ritratti dei quadri di Mario Cresci e quelli delle statue di Mimmo Jodice, un dialogo tra maestri. «La storia ci guarda 1 e 2». Cito Calvenzi. Mi commuovono i lavori romantici, Roma languida e poetica di Gabriele Basilico e il Tanaro lieve ed essenziale di Vittore Fossati.

La mostra è concepita in due tempi.
Il primo, Italia Inside, quello di cui ho parlato qui, sarà esposto fino al 21 giugno prossimo. Raccoglie le opere di 42 fotografi italiani che hanno indagato il Paese con differenti linguaggi dagli anni ’50 ad oggi.
Il secondo tempo, Italia Out, riguarderà la fotografia che autori stranieri hanno realizzato sulla nostra penisola, questa sessione prenderà il via il 1° luglio e durerà fino al 27 settembre.

Curioso vedere una mostra in due tempi, sapendo già che per la seconda parte si dovrà attendere tre mesi. Soluzione scelta per esporre un numero consistente di immagini, penso. E la visita mi confermato questa supposizione.
42 autori non possono esaurire la fotografia italiana, forse neppure se fossero il doppio basterebbero per definirla esaustiva. Troveremmo sempre qualcosa che manca. Quello che si rischia in questo genere di operazioni – un’antologia della fotografia italiana dal dopoguerra a oggi – è di essere enciclopedici o troppo curatoriali. Parcellizzare il lavoro di tanti (e non saranno mai tutti) o sezionare e approfondire attraverso pochi grandi maestri. Si tratta di scegliere.

Giovanna Calvenzi costruisce un’esposizione per un pubblico vasto operando scelte molto personali, non finge la ricerca di un equilibrio ma, al contrario, rivendica un forte legame con gli autori che espone. Antepone l’indagine temporale e territoriale: vuole rappresentare tutte le regioni e i decenni dal dopoguerra a oggi, senza tralasciare parti del Paese. Ci sarà forse occasione, nel secondo tempo (quello dei foreign photographers), di approfondire luoghi e scavare nell’iconicità del Belpaese. Lo dice, o forse lo teme.

Lo spazio è stretto e qualche autore ne risente. Soprattutto quelli con pareti grandi che, per essere ammirate hanno bisogno di essere guardate da lontano. Magma di Antonio Biasiucci, a mio avviso uno dei lavori più interessanti della fotografia italiana, è molto penalizzato. E anche Massimo Vitali, con la sua parete intelligente, una Lampedusa in due tempi, arte e denuncia, soffre.

Poi ci sono i maestri che devono esserci: Migliori, Donzelli, Mulas, Pinna, Patellani, Berengo, Ghirri, Giacomelli, c’è Letizia Battaglia (come potrebbe mancare ?), ci sono i costruttori di favole, Camporesi e Ventura e ancora molti altri, sono 42! Insomma, guardate la mostra e il catalogo di Giunti che ripercorre fedele l’esposizione e riproduce i testi che ogni autore ha scritto sul suo lavoro per questa o altre occasioni. In alcuni casi i testi sono piccole preziose testimonianze.
Come quello di Guido Guidi che espone Barlassina, non certo un lavoro grand public ma per me, in questo pellegrinaggio, una sosta più lunga e meditata.
Nel delizioso testo che introduce le sue fotografie Guidi scrive:
«Qualcuno deve aver detto che le fotografie, come le canzoni, aiutano a riandare con la mente».
Mentre esco dall’oscurità di Italia inside, penso sia proprio vero.

Giovanna Calvenzi è una giornalista, photoeditor, insegnante e curatrice.
Da sempre si occupa di fotografia, ambito nel quale ha una vasta conoscenza e una lunga e trasversale esperienza.

Italia Inside Out è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo della Ragione, Civita, Contrasto e GAmm Giunti, la rassegna caratterizza, nei mesi di Expo 2015, il programma di Palazzo della Ragione Fotografia.

Renata Ferri

Giornalista, photoeditor di "Io Donna" il femminile del "Corriere della Sera" e di "AMICA", il mensile di Rcs Mediagroup. Insegna, scrive, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi.