Perché tanto odio?

Repubblica sta ospitando interventi su un tema nell'aria dal giorno che è apparso Matteo Renzi: l'insofferenza per Matteo Renzi

(Franco Origlia/Getty Images)
(Franco Origlia/Getty Images)

Su Repubblica di lunedì c’era un commento dello psicanalista Massimo Recalcati, assiduo collaboratore del giornale, sul tema dell'”odio per Matteo Renzi”. La bontà dell’intuizione giornalistica si è rivelata immediatamente, perché il tema è stato molto presente nella politica come nelle conversazioni online e offline di questi anni, e l’articolo di Recalcati è stato assai ripreso e citato. La stessa Repubblica gli ha dato seguito martedì con altri tre interventi sul tema, di Roberto Esposito, Guido Crainz, Tomaso Montanari. Tutti quanti sembrano avere due limiti principali: trascurare che Renzi ha attirato risentimenti e insofferenze sin dai primi giorni della sua carriera politica nazionale, e trascurare quello che questo suggerisce sulla minore importanza della sua politica e del contesto rispetto alla sua persona e comunicazione; dedicarsi, con atteggiamento molto accademico, troppo all’analisi macrosociale e alle dinamiche politiche e poco alla valutazione sulla psicologia e il carattere di Matteo Renzi (che non cessa di mostrare abbondanti indizi e meccanismi di sé) e di quello che genera nei pensieri e nelle emozioni delle persone (ultimamente il sindaco di Milano ha definito Renzi con equilibrio ed efficacia “indisponente“). Persino Recalcati, che è psicanalista, si è dedicato a un’analisi da politologo. Malgrado questo, il tema è rilevante e non banale, e questo è l’articolo di Recalcati che ha rilanciato il dibattito.

Quale è il peccato commesso da Matteo Renzi per aver attirato su di sé un odio così intenso? È un odio pre-politico o politico quello che lo ha così duramente investito? È l’indice di un tramonto irreversibile della sua leadership? È fondato sulla valutazione obbiettiva dei contenuti della sua azione di governo e di segretario del Pd oppure risponde a logiche più arcaiche, più viscerali, più pulsionali? Prendiamo in considerazione in particolare l’odio della sinistra che è il vero nodo della questione. Una prima considerazione generale: fa parte del suo Dna e della sua storia, anche di quella più recente, scatenare l’odio nei confronti di coloro che, dichiarandosi militanti di sinistra, osano introdurre dei cambiamenti che rischiano di minare alla base la sua identità ideologica. L’accusa di essere un rinnegato o un traditore in questi casi scatta come la salivazione condizionata nel cane di Pavlov. La storia ci offre una miriade di esempi, antichi e più recenti. La dichiarazione di voto favorevole al Referendum del 4 dicembre è assimilabile, per chi sente di appartenere al mondo della sinistra, a un vero e proprio outing con tutti i fatali effetti di discriminazione che esso comporta.

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