Quel che resta del centrodestra

A che punto sono quelli che stanno a destra del PD, appesi ancora all'uomo che ha governato il paese per più tempo di qualsiasi altro politico nella storia della Repubblica

Silvio Berlusconi nel 2014. (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
Silvio Berlusconi nel 2014. (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Il centrodestra italiano – il cui storico leader, Silvio Berlusconi, ha governato il paese per più giorni di qualsiasi altro politico nella storia della Repubblica – oggi è diviso in due: una parte, chiamata a volte “populista” o “lepenista”, vuole sposare la linea della Lega Nord, a costo di cedere la leadership della coalizione a Matteo Salvini e abbracciare un programma di destra radicale. Un’altra, al momento minoritaria, ha inclinazioni più moderate e centriste. A fare l’arbitro di questa scelta sarà ancora una volta Silvio Berlusconi, che ha da poco compiuto 80 anni e ha subìto pochi mesi fa una delicata operazione al cuore. Quello che sarà probabilmente il suo ultimo atto nella politica italiana è un ironico paradosso: trovare un nuovo leader per il centrodestra, dopo averne eliminati un numero di cui oramai persino i giornalisti hanno perso il conto.

Il caos di Forza Italia
La caduta della giunta di Padova, il più grande comune governato dalla Lega Nord, una settimana fa, ha riportato l’attenzione dei giornali sulla situazione di Forza Italia, per vent’anni forza politica egemone del paese e oggi diventata un mondo caotico in cui è difficile contare correnti e aspiranti leader. La caduta di Padova, causata da uno scontro tra Lega e Forza Italia, è solo l’ultimo episodio di un anno iniziato con le fallimentari “gazebarie” per la scelta del candidato sindaco di Roma e che sta per terminare con la campagna elettorale per il referendum costituzionale, che ne ha lacerato l’elettorato. Nonostante tutto questo Forza Italia è riuscita a sopravvivere alla elezioni amministrative dello scorso giugno, mentre il centrodestra, nel suo complesso, è ancora una forza politica di rispettabili dimensioni numeriche, soprattutto se riunificata: è la famosa «mucca nel corridoio» di cui parla l’ex segretario del PD Pier Luigi Bersani.

«Il centrodestra continua a esistere. Continua ad avere percentuali rassicuranti, continua a garantire che rappresenta una parte di opinioni e preferenze che la sinistra non riesce a raggiungere», spiega il professor Gianfranco Pasquino, professore di Scienze Politiche all’università di Bologna e al Bologna Center della Johns Hopkins University: «E potrebbero anche crescere, a seconda degli errori che faranno Renzi e Grillo, e della sua capacità di darsi un leader efficace». Fino a oggi la ricerca di questo leader però non ha dato frutti e oggi il partito è diviso in quella che molti descrivono come una lotta tra bande. Si è per esempio visto la scorsa settimana a Padova, dove Simone Furlan, fondatore dell’associazione “Esercito di Silvio” e nominato direttamente dallo stesso Berlusconi coordinatore del partito nella provincia, ha fatto cadere la giunta guidata da un sindaco della Lega proprio nel giorno in cui si trovava in città Stefano Parisi di Forza Italia, uno dei numerosi leader in lotta per la leadership del centrodestra.

Non è facile oggi fare una mappa delle correnti e delle fazioni che dividono Forza Italia, ma stando a chi è più informato sulla situazione il partito è diviso in due gruppi dalla composizione mutevole. Da un lato c’è il cosiddetto “partito del nord”, che comprende coloro che più o meno tiepidamente vogliono ricreare l’antica unità del centrodestra, alleandosi con la Lega Nord e correndo insieme alle prossime elezioni. Sul lato opposto ci sono i “moderati”, che puntano a collocare il partito su una posizione centrista, con il quale la Lega potrebbe allearsi soltanto come partner subordinato. La fazione più ampia, però, è probabilmente quella degli indecisi, che si trova a metà tra le due posizioni, in attesa di capire quale parte appoggiare (quella che vincerà, banalmente).

L’eredità di Silvio Berlusconi
Dentro Forza Italia, le fortune e gli esponenti di una parte o dell’altra aumentano o diminuiscono a seconda dei mutamenti volubili della politica quotidiana e dei desideri, spesso contraddittori, di Silvio Berlusconi. Secondo Claudio Cerasa, direttore del Foglio, «Berlusconi ha la caratteristica di ascoltare sempre l’ultima persona con cui parla. Ascolta chiunque e si fa condizionare da molte persone. Però non cede a una parte e non riesce a portare un messaggio preciso e non contraddittorio. Negli ultimi giorni ha lasciato intendere che Salvini sarà leader del centrodestra se al referendum vincerà il “No”, ma poche ore dopo ha detto che l’unico leader politico in italia è Matteo Renzi».

In questo continuo sali e scendi di favori e sfavori, gli ultimi giorni hanno visto crescere le quotazioni del “partito del nord”, quello che punta all’alleanza con la Lega. La persona più importante di questo schieramento è Giovanni Toti, presidente della Liguria. Toti ha 48 anni, era iscritto al Partito Socialista e ha fatto carriera nei telegiornali Mediaset fino a diventare direttore del Tg4. Nel 2014 venne eletto con 140 mila preferenze al Parlamento europeo, un buon risultato, e fu nominato da Berlusconi “consigliere politico”. Dopo un breve momento di visibilità, di lui si persero le tracce. «È il delfino numero trenta, arrivato nel cuore di Silvio dopo che ne è uscito Alfano», scrisse di lui il giornalista Mario Ajello. Toti, però, continuò a lavorare nel partito fino a diventare quello che oggi molti definiscono uno dei “signori delle tessere” di Forza Italia. Dopo la vittoria a sorpresa in Liguria, quando riuscì a battere con 8 punti di vantaggio la candidata del centrosinistra Raffaella Paita, Toti è tornato a essere uno dei principali dirigenti di Forza Italia.

Se il “partito del nord” favorevole all’alleanza con la Lega sembra essere in ascesa, i moderati stanno attraversando un momento difficile. Il leader che più si è esposto su questo fronte è Stefano Parisi, ex candidato sindaco di Milano. Parisi è nato a Roma il 12 novembre del 1956 e come Toti era un socialista, ma a differenza sua è stato più vicino alla politica nel corso di gran parte della sua carriera come manager. Alle elezioni amministrative di Milano, con l’appoggio del centrodestra unito, è riuscito a ottenere un ottimo risultato anche se ha perso il ballottaggio contro Giuseppe Sala. Parisi ha usato la visibilità ottenuta a Milano per cercare di raggruppare intorno a sé l’area più moderata di Forza Italia, con iniziative non sempre di grande successo. Sabato scorso, mentre cadeva la giunta di Padova, ha annunciato la sua intenzione di prendere la guida del centrodestra. Berlusconi lo ha rimesso al suo posto pochi giorni dopo, durante la trasmissione Radio anch’io, quando ha dichiarato: «Parisi sta cercando di avere un ruolo all’interno del centrodestra, ma avendo questa situazione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo».

Parisi e Toti, entrambi prima appoggiati e poi scaricati, mostrano l’importanza e i limiti di Berlusconi. Nessun nuovo leader può sorgere nel partito senza la sua benedizione, ma tutti quelli che finora l’hanno ricevuta non sono rimasti in piedi abbastanza per esercitarla. «Berlusconi ha due terzi di responsabilità negativa, nel senso che è un inciampo per la sua parte politica, e un terzo di responsabilità positiva, nel senso che nonostante tutto è un uomo per il quale ci sono ancora molte persone disposte a votarlo a quasi a prescindere», spiega il professor Pasquino: «Ha ancora la possibilità di mobilitare voti, ma non ha più la capacità fisica per fare questa operazione. Più il tempo passa più diventa un ostacolo che può risolvere solo lui». Secondo Cerasa, il problema è che «l’unico erede di Berlusconi è Berlusconi. Dentro di lui pensa ancora di candidarsi». Berlusconi, che è decaduto dalla carica di Senatore in seguito agli effetti della legge Severino, ed è incandidabile fino al 2019, ha fatto ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo contestando l’applicazione retroattiva della legge. La Corte europea aveva chiesto al governo italiano di rispondere ai rilievi della difesa di Berlusconi entro il 27 ottobre, salvo poi prorogare questo termine al 27 novembre.

Le ambizioni di Matteo Salvini
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini sembra l’unico vero leader in ascesa del centrodestra: appare spesso in televisione, dove espone un suo programma fatto di punti semplici e chiari, per quanto spesso vaghi, populisti o irrealizzabili. Con il movimento “Noi con Salvini” sta cercando di superare le storiche difficoltà della Lega al sud e si è detto che abbia pensato per questo di togliere la parola “nord” dal nome del partito e l’indipendenza della Padania dal suo statuto. Sotto la superficie, però, anche il partito di Matteo Salvini sta attraversando un momento difficile. Le ultime elezioni amministrative sono andate abbastanza male per la Lega e lo “sfondamento al sud” non si è realizzato, mentre un pezzo del partito ha iniziato a mostrare insofferenza per i militanti che provengono da “Noi con Salvini”. Per la prima volta da quando esiste, la Lega ha perso Varese ed è stata più che doppiata da Forza Italia a Milano; ha vinto a Gallarate e a Padova, ma le poche vittorie sono state compensate dalle difficoltà del partito in Veneto, dove ha perso Verona e il suo sindaco Flavio Tosi, uscito dalla Lega e schierato per il “Sì” al referendum. Anche i sondaggi, da prendere come sempre con cautela, mostrano che dopo una lunga fase di crescita la Lega Nord si è fermata tra l’11 e il 13 per cento.

Tra luglio e agosto sui giornali si sono inseguite voci di una possibile sfida interna al partito, che tra dicembre e gennaio dovrà tenere il suo congresso (Salvini è da tre anni segretario e il suo mandato scade il 16 dicembre) e la stampa ha parlato spesso dei suoi dissidi con Roberto Maroni, espressione della vecchia classe dirigente del partito e presidente della Lombardia, dove governa con una maggioranza che comprende anche la parte più moderata del centrodestra. Nonostante le sue difficoltà interne, e forse considerando che quelle del resto del centrodestra sono anche peggiori, nelle ultime settimane Salvini ha reso sempre più chiara la sua intenzione di diventare leader del centrodestra e di essere disposto se necessario anche a correre da solo. Mentre cadeva la giunta di Padova, Salvini ha organizzato una manifestazione a Firenze per il “No” al referendum e ha detto di essere pronto a prendere la guida di una coalizione.

Secondo il professor Pasquino, «Salvini probabilmente sa che non può essere lui il leader, ma vuole alzare il prezzo della sua adesione all’alleanza e a una leadership che non sia la sua». Il problema è che più alza il prezzo, più si riducono le possibilità di arrivare a un’alleanza. Nel programma a cui Salvini chiede di aderire ci sono punti difficili da accettare per l’elettorato moderato. L’uscita dall’euro, per esempio, è una prospettiva inquietante per buona parte della classe media, che ha investito risparmi in titoli di stato e obbligazioni bancarie (in questi giorni lo stesso Parisi ha sottolineato questa differenza difficile da conciliare). Anche secondo Cerasa è difficile che Salvini riesca davvero a prendere la guida di un centrodestra unito: «Non penso che Berlusconi darà mai la leadership a Salvini perché non è nelle sue corde. Se dovrà scegliere tra populismo ed essere una forza di sostegno a un governo di un altro colore politico sceglierà la seconda». Alla fine è esattamente quello che è già accaduto due anni fa, con la nascita del patto del Nazareno.

La destra di governo
Per il leader della Lega, l’ipotesi migliore è immaginare una Forza Italia in difficoltà così profonde da costringere Berlusconi a consegnarsi a un’alleanza scomoda, magari cedendo su qualche importante punto di programma. Ma anche in questo scenario ideale, è difficile che il centrodestra torni unito. Una parte di quell’ampio arco politico per esempio oggi si trova al governo, è schierato per il “Sì” al referendum e non ha intenzione di allearsi con Salvini alle prossime elezioni politiche. È un’area che in Parlamento conta tanti membri quanto il resto del centrodestra, ma la cui forza elettorale è molto dubbia.

La sigla principale della “destra di governo” è il Nuovo Centro Destra, guidato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, un altro ex erede-di-Berlusconi, che in Parlamento si è unito a ciò che resta dell’UDC per formare il gruppo “Area Popolare”. Altri fuoriusciti da Forza Italia, guidati dal senatore Denis Verdini, hanno formato l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. Infine ci sono i resti di Scelta Civica, divisi tra chi si vuole alleare con Verdini e chi invece vorrebbe mantenere l’autonomia del partito. Secondo il professor Pasquino, si tratta di un’area che ha davanti a sé due strade: «Se il centrodestra cresce, questa area si può riaggregare, se invece il centrodestra non cresce e Renzi gli offre condizioni soddisfacenti, saranno probabilmente disposti a fare da gamba destra del cosiddetto “Partito della nazione”, il che può essere gratificante e offrire parecchie risorse che possono essere interessanti per molti di loro».