Gli alieni sono esistiti, pare

Almeno secondo un nuovo studio – serio – che ha calcolato la probabilità che nell'Universo ci siano state civiltà evolute come la nostra

Gli astronomi statunitensi Adam Frank e Woodruff Sullivan hanno provato a calcolare la probabilità che, in tutto l’Universo, siano esistite in passato civiltà evolute tecnologicamente come la nostra. Il loro studio, pubblicato sulla rivista scientifica Astrobiology, ha concluso che anche se non sappiamo se attualmente esista una civiltà aliena, ci sono informazioni sufficienti per concludere che ne sia esistita qualcuna a un certo punto della storia del Cosmo. Insomma, secondo le loro analisi, gli alieni sono esistiti: almeno teoricamente e sulla base di calcoli probabilistici, ma meglio che niente.

Il dibattito sull’esistenza di altre forme di vita, per come le conosciamo, è tornato di attualità negli ultimi anni grazie alle numerose scoperte rese possibili dal telescopio spaziale Kepler della NASA. Attraverso le sue rilevazioni è stato possibile confermare di recente l’esistenza di 1.284 nuovi pianeti che si trovano all’esterno del nostro Sistema solare, nove dei quali in una cosiddetta “zona abitabile”, cioè a una distanza di sicurezza dall’alta temperatura delle stelle che consente all’eventuale acqua presente sulla superficie di essere in forma liquida senza che evapori. E l’acqua allo stato liquido aumenta la probabilità che si formi la vita. Nella Via Lattea, la galassia in cui ci troviamo, ci sono molti più pianeti di quanto era stato immaginato: questo, insieme ad altri dati, ha permesso a Frank e Woodruff di restringere il campo nell’analisi probabilistica sull’esistenza di altre civiltà tecnologiche.

La probabilità che ci sia una civiltà avanzata con la quale potremmo metterci in contatto è discussa da tempo. Nel 1961, per esempio, l’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti chiese all’astronomo Frank Drake di organizzare un incontro, cui furono invitate decine di esperti, per parlare della possibilità di avviare “comunicazioni interstellari” per contattare altre civiltà. Drake considerò che la probabilità che ciò avvenga dipende da quante civiltà avanzate extraterrestri esistono nella nostra galassia, e sulla base di questo presupposto formulò un’equazione usata ancora oggi e che porta il suo nome.

Sul New York Times, Adam Frank ha spiegato in cosa consistono i fattori dell’equazione di Drake e il suo funzionamento:

Il primo fattore è il numero di stelle nato ogni anno. Il secondo è la porzione di stelle con pianeti che orbitano loro intorno. Poi c’è il numero di pianeti per stella che percorrono orbite nella giusta posizione per permettere la formazione della vita (assumendo che per questa sia necessaria la presenza di acqua allo stato liquido). Il fattore successivo è la porzione di questi pianeti dove la vita si è effettivamente formata. Seguono i fattori per la porzione di pianeti in cui la vita si è evoluta in civiltà avanzate, in grado di produrre segnali radio per comunicare. L’ultimo fattore è la vita media di una civiltà tecnologica.

Drake non aveva immaginato la sua equazione come qualcosa di definitivo, come possono esserlo alcune equazioni nell’ambito della fisica, ma come uno strumento per tenere in considerazione le condizioni minime necessarie per discutere l’esistenza di civiltà aliene nello Spazio. Quando fu formulata all’inizio degli anni Sessanta, era nota solamente la risposta al primo fattore, cioè al numero di stelle che in media si formano ogni anno. Tutto il resto era ignoto e complicava qualsiasi calcolo probabilistico sulle civiltà aliene.

In mancanza di avanzamenti significativi nella ricerca di nuovi pianeti, nei decenni successivi divenne evidente la mancanza di basi affidabili per formulare qualsiasi ipotesi. L’unico dato certo su una civiltà tecnologicamente evoluta era fornito esclusivamente dalla Terra, e non offriva comunque un numero di risposte sufficienti per soddisfare i fattori dell’equazione di Drake. Ancora oggi, per esempio, sappiamo che da più di un secolo usiamo le tecnologie radio per comunicare, ma non possiamo affermare per quanto tempo durerà ancora la nostra civiltà. In generale, se il tempo di vita di una civiltà è breve, in termini cosmici, è probabile che la galassia in cui viviamo resti spopolata per la maggior parte del suo tempo. Ma la Terra non può essere un campione statistico sufficiente per affermarlo con certezza.

Frank spiega che le recenti scoperte sui nuovi pianeti stanno risolvendo alcune incertezze e che almeno tre fattori dell’equazione di Drake sono ora conosciuti, e sfruttabili per affinare i calcoli probabilistici. Oltre al numero di stelle nate ogni anno, sappiamo che quasi il 100 per cento delle stelle ha almeno un pianeta che le orbita intorno, e che circa il 20-25 per cento di questi corpi celesti si trova alla giusta distanza di sicurezza per lo sviluppo della vita.

Sulla base di questi elementi si può dire qualcosa di certo, se ci si fa la giusta domanda partendo dall’equazione di Drake:

Invece di chiederci quante civiltà esistono attualmente, ci siamo chiesti qual è la probabilità che la nostra sia l’unica civiltà tecnologica a essere mai comparsa. Chiedendoci questa cosa, abbiamo potuto bypassare il fattore dell’equazione di Drake sulla durata media di una civiltà. Questo ci ha lasciato con tre soli fattori sconosciuti, che abbiamo messo insieme in una probabilità “biotecnica”: la possibilità della formazione della vita, di un’intelligenza e di una capacità tecnologica.

I calcoli di Frank e Woodruff hanno portato a un risultato interessante: anche assumendo che le probabilità che si sia formata una civiltà avanzata siano molto basse, le probabilità che la nostra non sia la prima civiltà tecnologica sono piuttosto alte. In pratica: non siamo i primi, anche ammesso che la probabilità che una civiltà tecnologica si sia evoluta in passato in una zona poco abitabile sia poco meno di una su 10 milioni di miliardi di miliardi. Semplificare un discorso probabilistico è sempre complicato e si rischiano di lasciare pezzi importanti per strada, ma per farvi meglio un’idea: lo studio dice che ci sono così tanti pianeti in orbita intorno alle stelle che anche se uno su tantissimissimi fosse abitabile, la probabilità che si sia evoluta almeno una civiltà tecnologica è pari a 1.

Sulla base dell’equazione di Drake, in passato sono state formulate ipotesi più o meno pessimistiche sulla formazione di civiltà su altri pianeti. Una delle più negative di tutte sostiene che la probabilità che si formi una civiltà sono di 1 su 10 miliardi per ogni pianeta. Anche applicando una valutazione così pessimistica allo studio di Frank e Woodruff, si resterebbe con un trilione di civiltà formate nel corso della storia del Cosmo. Per il calcolo della probabilità non siamo stati i primi, e non saremo gli ultimi.