• Mondo
  • Lunedì 11 gennaio 2016

Cosa sta succedendo in Polonia

Il nuovo governo di estrema destra continua a suscitare preoccupazioni e proteste – l'ultima è una legge sui media – e ora litiga con la Germania

(WOJTEK RADWANSKI/AFP/Getty Images)
(WOJTEK RADWANSKI/AFP/Getty Images)

Il ministro degli Esteri della Polonia, Witold Waszczykowski, ha chiesto un incontro con l’ambasciatore della Germania a Varsavia, Rolf Nikel, per dei presunti «commenti antipolacchi» fatti da alcuni politici tedeschi. Negli ultimi giorni sia il presidente tedesco del Parlamento europeo, Martin Schultz, che il commissario tedesco all’Unione Europea, Günther Oettinger, avevano criticato il nuovo governo della Polonia e in particolare la recente approvazione di una legge molto contestata sui mezzi d’informazione (la legge prevede che i dirigenti dei mezzi d’informazione pubblici siano scelti direttamente dal governo). Ma questo non è l’unico problema della Polonia, e da settimane ci sono diverse manifestazioni di protesta.

La legge per il controllo dei mezzi di informazione
Dallo scorso ottobre il partito di maggioranza in Polonia è Diritto e Giustizia (Pis), un partito molto di destra di cui fa parte anche Beata Szydło, la prima ministra polacca. Diritto e Giustizia aveva vinto le elezioni grazie all’appoggio di un elettorato composto soprattutto da persone anziane, molto religiose e poco istruite, e aveva ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento grazie al premio di maggioranza, battendo i partiti di centrodestra che sostenevano il precedente governo.

La nuova legge sui mezzi di informazione è stata votata lo scorso 31 dicembre dal Parlamento: prevede che sia il ministero del Tesoro, quindi il governo, a nominare direttamente i dirigenti della tv pubblica e della radio pubblica, che prima erano scelti invece da uno speciale consiglio. La riforma riguarda quattro canali televisivi e duecento stazioni radio. Qualche giorno dopo l’approvazione della legge, i dirigenti di alcuni mezzi pubblici di informazione avevano dato le dimissioni, alcune radio avevano sospeso le trasmissioni e mandato in onda ininterrottamente l’inno europeo e l’inno polacco; c’erano state manifestazioni di protesta, la Commissione europea aveva annunciato l’avvio di un procedimento per stabilire se il governo polacco avesse violato «lo stato di diritto». Il 7 gennaio il presidente Andrzej Duda ha firmato la riforma.

Alcuni membri del Pis hanno spiegato che le emittenti pubbliche erano «totalmente inaffidabili», che «i media non potevano criticare costantemente i cambiamenti di legge» introdotti dal partito e che «se i mezzi d’informazione criticano la nostra opera di cambiamento» andavano fermati. Durante una recente contro-manifestazione a sostegno del governo, un prete aveva marciato verso la sede del quotidiano liberale Gazeta Wyborcz fondato da Adam Michnik (celebre leader dei dissidenti polacchi) e aveva fatto un esorcismo.

La riforma della Corte Costituzionale
Poco dopo il suo insediamento, a novembre, il nuovo governo polacco aveva approvato una nuova legge che, tra le altre cose, interveniva sul Tribunale Costituzionale del paese. La legge era stata molto criticata dall’opposizione, che aveva accusato il governo di voler compromettere l’indipendenza del sistema giudiziario. Il 9 dicembre la Corte Suprema aveva detto che gran parte della legge era incostituzionale. In Polonia il Tribunale Costituzionale è un organo giudiziario competente in materia di conformità delle leggi con la Costituzione, conflitti di competenze e ricorsi promossi dai cittadini. Secondo l’opposizione, un Tribunale Costituzionale “controllato” dai conservatori e un nuovo presidente scelto dal Pis avrebbero reso più facile per il governo l’attuazione di una serie di controverse riforme previste dal suo programma.

Lo scorso giugno il Parlamento – nella sua composizione precedente alle elezioni – aveva nominato cinque nuovi giudici del Tribunale Costituzionale. Il presidente della Polonia – Andrzej Duda, vicino al Pis – aveva bloccato il loro giuramento dicendo che aveva dei dubbi sul fatto che il processo di selezione fosse stato corretto e legale: a novembre una sentenza della Corte Suprema aveva giudicato legittima la nomina di tre giudici su cinque, ordinandone il giuramento, e respingendo quella degli altri due perché stabilita in anticipo (il loro mandato sarebbe dovuto infatti cominciare non prima delle elezioni di ottobre). Il presidente Duda si era però rifiutato di accettare il giuramento anche dei tre la cui nomina era stata giudicata legittima. Subito dopo il nuovo governo – che intanto si era insediato – aveva nominato altri cinque giudici e Duda aveva permesso in modo molto rapido il loro giuramento. Poi è arrivata la nuova sentenza della Corte Suprema. Il risultato è che sono stati nominati otto giudici costituzionali (tre dal precedente governo e giudicati legittimi, cinque dal nuovo governo e giudicati illegittimi) per cinque posti. La situazione è ancora bloccata: il governo riconosce “i suoi” cinque giudici, che il Tribunale però non riconosce.

Altri contestati provvedimenti
Prima delle elezioni il presidente Duda aveva concesso la grazia a tre funzionari dell’ufficio per la lotta alla corruzione (Cba) e al suo ex-direttore Mariusz Kaminski, condannati in primo grado per abuso di potere. Kaminski era stato poi nominato, nonostante il procedimento giudiziario in corso, coordinatore delle attività dei servizi segreti nel nuovo governo di Beata Szydlo. Dopo le elezioni il nuovo governo era intervenuto anche sui vertici delle agenzie anticorruzione del paese, aveva messo propri uomini a capo dei servizi segreti e aveva sostituito una serie di funzionari pubblici, sollevando da subito diverse preoccupazioni sul sistema di controlli ed equilibri previsto dalla costituzione del paese.

Diverse associazioni polacche di femministe e per la difesa dei diritti civili avevano poi accusato il nuovo governo di portare avanti, con il supporto dei vescovi conservatori, una serie di politiche contro i diritti delle donne e di voler gradualmente vietare l’aborto. La prima mossa che aveva fatto discutere delle intenzioni del governo polacco era stata l’abolizione dei sussidi che permettevano alle donne di ottenere la fecondazione in vitro – una delle più diffuse tecniche di procreazione assistita – negli ospedali pubblici. Diritto e Giustizia e la Chiesa polacca stanno poi portando avanti una campagna contro la cosiddetta “ideologia gender”, si sono dichiarati pronti a ritirare la sottoscrizione dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, hanno preso una serie di provvedimenti contro le scuole che offrono percorsi di educazione sessuale per gli studenti e le studentesse.