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  • Giovedì 2 febbraio 2012

La vita dei difensori di balene

Le storie e le foto degli attivisti di Sea Shepherd, che cercano di fermare - letteralmente, e correndo qualche rischio - la caccia in mare aperto

di Camilla Spinelli

1 gennaio 2012
Alcuni membri di Sea Shepherd cercano di bloccare il peschereccio giapponese Shonan Maru II

(AP Photo/Sea Shepherd Conservation Society)
1 gennaio 2012 Alcuni membri di Sea Shepherd cercano di bloccare il peschereccio giapponese Shonan Maru II (AP Photo/Sea Shepherd Conservation Society)

Paul Watson vede per la prima volta una balena da vicino nel giugno del 1975, quando a bordo di un gommone di Greenpeace si imbatte in un animale appena colpito da un arpione, agonizzante, e in una baleniera sovietica. La balena poco dopo sarà caricata sulla nave e macellata. Paul Watson dice che è principalmente a causa di quell’incontro se poi, nel 1977, fonderà Sea Shepherd Conservation Society, con l’obiettivo di fermare le attività illegali in mare aperto contro animali a rischio di estinzione.

Per molti anni Paul Watson e la sua organizzazione navigano la Terra in lungo e in largo per difendere molte specie marine protette dalla caccia oltre i limiti consentiti. Nel dicembre del 2002 iniziano le ormai famose battaglie di Sea Shepherd contro le baleniere giapponesi in Antartide. Lo scopo delle azioni è far rispettare la moratoria internazionale contro il commercio di carne di balena, proteggendo il loro principale habitat riproduttivo, il cosiddetto “Santuario nell’Oceano del Sud”. Nel corso degli anni Sea Shepherd si è guadagnata la stima e il sostegno – anche a suon di donazioni multimilionarie – di molte celebrità, come Pierce Brosnan, Christian Bale, Daryl Hannah e Sean Penn, raggiungendo il suo picco di notorietà negli ultimi anni con la trasmissione Whale Wars, in onda sul canale Animal Planet.

La carne di balena è diventata un prodotto commerciale di largo consumo in seguito all’invenzione dell’arpione esplosivo e all’utilizzo delle navi mattatoio. All’inizio del Novecento venivano cacciati in media 40.000 esemplari l’anno. Solo durante la metà degli anni Quaranta, quando cioè si è iniziato a parlare del pericolo di estinzione, è stato istituito l’IWC, la Commissione internazionale per la caccia alle balene. All’inizio degli anni Ottanta l’IWC ha approvato una moratoria sulla caccia commerciale delle balene, entrata effettivamente in vigore nel 1986, e la CITES, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, ha proibito il commercio di carne di balena conferendo uno status di protezione alle specie più a rischio, tra cui la balenottera azzurra (il cui numero è sceso a 6.000 esemplari sul pianeta) e la balenottera minore. L’IWC permette comunque la caccia per scopi scientifici ma le soglie previste, che sono di poche unità e variano di anno in anno, non vengono mai rispettate.

Nel 2000, durante il meeting del CITES a Nairobi, Giappone e Norvegia tentarono di togliere lo status di specie protetta alle balene. La mozione presentata congiuntamente venne bocciata, seppure con un margine di voti piuttosto ristretto. È proprio in questi anni che il Giappone ammette apertamente di aiutare i paesi in via di sviluppo affinché questi votino a favore del ritorno alla caccia commerciale, attirandosi non poche critiche da parte della comunità internazionale. Nel 2002 il Giappone ha esteso poi la sua area di caccia anche all’Antartide, colpendo duramente la popolazione di alcune specie a rischio, tra cui le megattere che in grande numero solcano l’area.

Si stima che negli ultimi tre anni la costante presenza della flotta di Sea Shepherd nel Santuario abbia salvato in totale 1.867 balene dalla caccia illegale. Dall’entrata in vigore della moratoria assoluta dell’IWC, si calcola che il numero totale di cetacei macellati da Giappone, Norvegia e Islanda si attesti intorno alle 25.000 unità, ben oltre i pochi esemplari di cui è consentita l’uccisione per scopi scientifici.

Dall’Inghilterra all’Australia, con il pericolo dei pirati somali
«La mia seconda campagna in Antartide con Sea Shepherd inizia a ottobre scorso a Southampton, in Inghilterra. Abbiamo passato quasi un mese in porto a sistemare i motori della Steve Irwin prima di partire per l’Australia». Giacomo Giorgi lo scorso anno è stato il primo italiano in assoluto a mettere piede sulla Steve Irwin e a partecipare attivamente alle azioni in difesa delle balene nel loro santuario in Antartide. Quest’anno è di nuovo imbarcato. «Durante la campagna 2010-2011 abbiamo fatto sì che i balenieri tornassero a casa con un mese di anticipo avendo raccolto solo il 15 per cento della loro quota annuale di pesca. Grazie agli sforzi di Sea Shepherd, la ICR – l’Istituto di Ricerca sui cetacei giapponese, che in realtà è un’organizzazione di facciata per consentire alle baleniere giapponesi la pesca indiscriminata ben oltre le soglie previste dagli accordi internazionali – ha sfiorato il disastro economico. Quest’anno sarà decisamente più difficile, perché i giapponesi sono tornati in Antartide con navi scorta che controlleranno i nostri movimenti».

Le campagne nell’Oceano del Sud partono ogni anno dall’Australia. Prima di arrivare nel luogo di partenza Giacomo Giorgi e gli altri attivisti, uomini e donne provenienti da diversi paesi del mondo, hanno dovuto attraversare mezzo pianeta per portare la Steve Irwin down and under. «Durante la traversata abbiamo incontrato mari molto grossi sia fuori che dentro il Mediterraneo; in alcuni giorni era addirittura impossibile effettuare qualsiasi tipo di lavoro a bordo, a parte quelli basilari, come turni di guardia sul ponte di comando o nella sala macchine. Finalmente, giunti al canale di Suez, ci siamo potuti fermare dodici ore a Port Said. Una volta nel Mar Rosso abbiamo cominciato a montare le misure anti abbordaggio – noi li chiamiamo spikes – intorno alla nave, in vista del transito nel Golfo di Aiden, a largo delle coste somale, l’area più pericolosa del mondo per quanto riguarda la pirateria».

Nonostante i pirati somali siano di norma interessati a ricchi bottini o a riscatti per grandi navi, anche una nave di piccole dimensioni come la Steve Irwin in quella zona può essere un facile obiettivo. Gli attivisti in questi casi cercano di proteggere la nave, corazzarla e renderla meno vulnerabile possibile. Prima di essere donata a Sea Shepherd, la Steve Irwin è stata un’imbarcazione di pattugliamento dei mari del nord, e per questo alla vista è molto simile a una nave militare. «Spesso, specialmente con la nuova colorazione mimetica, le navi della coalizione anti pirateria che pattugliano quella zona ci contattano scambiandoci per una nave militare non identificata». Durante le notti passate in queste acque, Giacomo racconta di come i turni di guardia siano raddoppiati e come vengano utilizzati i visori notturni sui ponti posteriori della nave.

La vita a bordo delle navi di Sea Shepherd
Il numero degli imbarcati sulla Steve Irwin, sulla Bob Barker e sulla Brigitte Bardot, le navi dedicate alle campagne nell’Antartide che prendono i nomi da famosi sostenitori dell’organizzazione, è impressionante. Ogni anno una settantina di persone, per lo più ragazzi e ragazze di diverse nazionalità, decidono di passare tre mesi in Antartide a rincorrere, e a cercare di fermare, le baleniere giapponesi. Sulle navi di Sea Shepherd ci sono anche una decina di cameramen del canale televisivo Animal Planet, che da tre anni filmano 24 ore su 24 le azioni della crew. Ogni volontario a bordo ha un compito ben preciso da svolgere. Le persone sono divise in departments. «Io faccio parte del deck dept», racconta Giacomo. «La nostra giornata inizia alle 8 di mattina e finisce alle 5 del pomeriggio. Il nostro è il gruppo di lavoro con più persone, ognuna delle quali si occupa della manutenzione, della pulizia e dell’evoluzione della parte estetica e pratica della nave, al di fuori della sala macchine. Noi del deck siamo quelli a cui si chiede anche di entrare nel vivo delle azioni della campagna, calandoci con i gommoni in acqua per andare a disturbare le baleniere intente a cacciare».

Poi c’è il ponte di comando. I ragazzi qui hanno turni di 4 ore di lavoro e 8 di riposo, si occupano di tutto ciò che riguarda la navigazione. Il ponte di comando è il cuore della nave, il luogo nel quale si prendono le decisioni più importanti. Poi ci sono quelli che si occupano della sala macchine. Qui è sempre di guardia un ingegnere, che ha il compito di controllare i motori ogni 15 minuti. Giacomo mi parla anche di un altro gruppo di persone che lavorano nell’ombra ma che sono fondamentali per tenere alto il morale dell’equipaggio. «Sea Shepherd è una ONG e l’equipaggio è formato da volontari. Il modo migliore per creare un clima piacevole è sicuramente la motivazione, ma di certo il cibo aiuta molto. Il galley è il gruppo di lavoro che si occupa di preparare i pasti a bordo. La crew di Sea Shepherd segue una dieta vegana, e quindi non consuma prodotti che provengono dagli animali, come carne, pesce, uova e formaggi. Naturalmente non tutti i membri abbracciano normalmente questo tipo di dieta, nelle loro vite, perciò è simpatico notare come all’inizio ci sia molto scetticismo tra i carnivori e poi alla fine tutti rimangano impressionati da quanto incredibile sia il cibo a bordo. Capita spesso che alla fine dell’esperienza in nave alcuni carnivori decidano di continuare a mangiare così anche a terra».

L’ultimo department è il ponte dell’elicottero, una delle armi più efficaci di Sea Shepherd. È in uso da tre anni nelle campagne in Antartide e grazie al suo utilizzo si riescono ad individuare le posizioni in mare delle baleniere con molta facilità. Lo scorso anno Sea Shepherd ha vinto la “battaglia” contro le baleniere di frodo anche grazie alle tattiche messe a punto da questo gruppo di persone.

L’inizio dell’Operation Divine Wind
L’arrivo a Fremantle, in Australia, ha significato la fine di un’avventura, la traversata dall’emisfero nord al sud, e l’inizio dell’Operation Divine Wind. «Freemantle è il gruppo locale che da sempre riesce a donare maggiori aiuti a Sea Shepherd. I volontari a terra lavorano incessantemente tutto l’anno per raccogliere qualsiasi cosa possa rivelarsi utile per la campagna in Antartide. La città issa la bandiera con il nostro Jolly Roger sul municipio e la toglie solo quando lasciamo il porto per iniziare la campagna». Per tre giorni, dalle 8 alle 21, gli attivisti hanno rifornito le stive della Steve Irwin di viveri e beni di ogni tipo raccolti dai cittadini che abitano nella zona. «È questa generosità che ci ha permesso di passare da fare una campagna in Antartide con un’unica nave, ad avere tre navi che vengono utilizzate in tutto il mondo per salvaguardare la fauna marina».

L’Operation Divine Wind è iniziata ufficialmente lo scorso 16 dicembre, quando la Steve Irwin ha lasciato il porto australiano di Albany per fare rotta verso ovest andando alla ricerca delle baleniere giapponesi. Il giorno della vigilia di Natale la flotta aveva già intercettato le navi arpione, quelle navi cioè utilizzate per pescare le balene con grossi arpioni che vengono sparati sul dorso dei cetacei, e la Nishin Maru, la nave mattatoio dove viene lavorata la carne pescata. Quest’anno alla Steve Irwin e alla Bob Barker si è aggiunto il trimarano Brigitte Bardot, comprato nell’autunno del 2010 e battezzato inizialmente Gojira. «Naturalmente la Bardot non è una nave pensata per questo tipo di acque, ma è ideale per scovare i nostri obiettivi in un oceano troppo vasto per imbarcazioni lente come la Irwin e la Barker».

I tre della Forest Rescue Australia
Il 7 gennaio tre attivisti dell’organizzazione ambientalista Forest Rescue Australia hanno deciso di partecipare a un’azione di disturbo ai danni della Shonan Maru #2, una delle navi arpione. Mentre la Steve Irwin si trovava di nuovo a Fremantle (aveva infatti dovuto scortare in porto la Brigitte Bardot, danneggiata da un’onda nella parte laterale dello scafo), i tre ragazzi hanno bussato alla porta della cabina di Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd e capitano della Steve Irwin. «Molti australiani si sentono fortemente in imbarazzo per l’immobilità del proprio governo, che permette a una flotta giapponese di operare illegalmente in acque sotto giurisdizione australiana, con l’unico obiettivo di cacciare le balene per fini commerciali. C’è poi da aggiungere che la Shonan Maru #2 e il suo equipaggio dovrebbero essere sotto inchiesta per l’affondamento dell’Ady Gil, il trimarano utilizzato da Sea Shepherd nella campagna del 2010, ma tenendosi a più di 12 miglia da terra rimangono relativamente tranquilli. Il governo australiano ha, o almeno dovrebbe avere, giurisdizione anche a maggiori distanze dalla costa, ma non sembra avere interesse a scatenare una crisi internazionale con il Giappone».

L’attacco
Durante le ore passate in porto l’elicottero di bordo viene utilizzato per scattare alcune foto della Shonan Maru #2. Dagli scatti realizzati l’equipaggio può osservare come le baleniere si siano dotate di filo spinato lungo tutto il loro perimetro (oltre agli idranti, le reti e gli altri strumenti usati per tenere lontani gli attivisti). L’unica zona scoperta risulta essere la poppa. «Decidiamo allora che quello deve essere il nostro punto di attacco e durante la giornata studiamo un piano che deve essere attuato durante la notte, insieme ai ragazzi australiani appena imbarcati. Chad e io guidiamo i delta, i gommoni di Sea Shepherd. Il nostro compito è portare i tre della Forest Rescue sotto la poppa della Shonan Maru #2, aiutarli a salire a bordo e correre via il più veloce possibile. Ma quando i nostri due gommoni si incontrano a largo per gli ultimi accordi, il motore del mio si spegne e non vuole saperne di ripartire. Chad continua da solo e io rimango in mezzo al mare, al buio ma in costante contatto con la Steve Irwin grazie al telefono satellitare». Chad racconterà poi a Giacomo di come, arrivati sotto la poppa della Shonan Maru #2, i tre attivisti riusciranno faticosamente a salire sulla nave, evitando il filo spinato e litigando con l’equipaggio di vedetta. Il comunicato di Forest Rescue Australia sull’attacco dice così:

“Siamo a bordo di questa nave perché il nostro governo ha fallito nel mantenere le sue promesse per quanto riguarda la spietata caccia alle balene nell’Oceano del Sud. Stiamo facendo tutto questo per aiutare Sea Shepherd Conservation Society e per ricordare all’Australia che ha l’obbligo di controllare che le sue leggi vengano rispettate da tutti in questa zona del mondo”

Per cinque giorni gli attivisti australiani hanno vissuto a bordo della Shonan Maru #2, la quale però non ha mai smesso di tallonare da vicino la Steve Irwin. Dopo qualche giorno di silenzio radio, Sea Shepherd ha ricevuto alcune telefonate dall’ufficio del senatore australiano Bob Brown e da Greg Hunt, un parlamentare di centrodestra. Il governo australiano non si è mai messo in contatto con la Steve Irwin in maniera ufficiale. Solo il 13 gennaio scorso, giorno in cui i tre attivisti sono stati liberati, è stato reso noto il buon esito della trattativa con il governo giapponese per il trasbordo dei ragazzi della Forest Rescue sulla ACV Ocean Protector, la nave della Marina australiana. «L’Australia», racconta Giacomo, «ha sempre voltato lo sguardo dall’altra parte ogni volta che le navi arpione solcavano quei mari per andare a cacciare, violando deliberatamente la sentenza della Corte Federale del 2008 con la quale si proibisce alle baleniere giapponesi di entrare nelle acque territoriali australiane».

A seguito del rilascio dei tre attivisti di Forest Rescue, Paul Watson dirà che “Sea Shepherd non è una organizzazione di protesta. Ci sentiamo solo in dovere di intervenire per fermare questa caccia illegale in accordo con i principi dello United Nations World Charter for Nature. I giapponesi uccidono ogni anno animali che dovrebbero essere protetti nel Santuario dell’Oceano del Sud, violando così la moratoria universale sul commercio della carne di balena. Stiamo salvando le balene da otto anni e lo stiamo facendo senza far male a nessuno. 858 esemplari sono stati salvati durante la scorsa stagione, 525 la stagione precedente e 483 quella ancora prima”.

La campagna “Operation Divine Wind” continuerà per ancora molte settimane. Questa lunga e logorante partita, fatta di fughe e inseguimenti e ancora fughe e ancora inseguimenti, finirà solo alla resa della flotta giapponese oppure al loro raggiungere una quota di pescato soddisfacente. Gli attivisti di Sea Shepherd non prendono in considerazione la seconda eventualità.