Il pensiero corto, in quaranta righe

Mi capita (ancora) di leggere sui giornali editoriali e commenti che criticano l’utilizzo di Twitter e i social media servendosi dei soliti argomenti: siccome non sappiamo più ragionare o elaborare programmi politici, utilizziamo 140 caratteri, una misura che ben si adatterebbe a quella di noialtri stitici intellettuali, che vogliamo sostituire lo studio con una super compulsazione di Google. Tra questi mi pare si collochi anche il filosofo Raffaele Simone – intervistato da Stefania Rossini sull’ultimo numero dell’Espresso – una vecchia conoscenza luddista, di cui il Post si era già occupato qui. Apprezzo molto i teorici della disillusione su Internet come Evgeny Morozov, o Geert Lovink e il suo racconto delle ossessioni collettive di cui siamo preda. Ma un conto è questa impostazione, un conto è dire che i social media fanno schifo perché, come leggo spesso nei suddetti editoriali e commenti e anche in certe proteste sindacali, i politici adesso per comunicare, e pure per dare notizie, usano Twitter o Facebook. Se un pensiero è corto, non lo è certo perché espresso in 140 caratteri. La colpa come spesso accade non è del mezzo, ma di chi lo usa. E come dimostrano le articolesse di quelli che si lamentano perché alcuni politici, e non solo, saltano tutte le mediazioni, anche quelle giornalistiche, le fesserie cortissime si possono scrivere anche in quaranta righe.

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