Brandon Lee in una scena del film “Il Corvo”

La morte di Brandon Lee sul set del “Corvo”

Sono passati trent’anni da quando un colpo di pistola che non doveva esserlo uccise l’attore fino ad allora noto come il figlio di Bruce Lee

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Brandon Lee era un promettente attore statunitense che fino al 31 marzo 1993 era conosciuto principalmente per essere il figlio di Bruce Lee, il più influente attore e maestro di arti marziali della storia. Quel giorno, mentre si trovava sul set del film Il Corvo, a Wilmington, in North Carolina, morì per un proiettile esploso per sbaglio. Aveva ventotto anni.

Di questo episodio si tornò a parlare, di recente, dopo l’incidente che il 21 ottobre 2021 causò la morte della direttrice della fotografia Halyna Hutchins per un colpo partito da una pistola in mano all’attore statunitense Alec Baldwin su un set nel New Mexico. Il giorno dopo la morte di Hutchins la sorella di Brandon Lee, Shannon, condivise un messaggio di condoglianze rivolto alla famiglia di Hutchins: «Nessuno dovrebbe mai morire colpito da una pistola su un set». Ma a parte le occasioni più recenti, motivate dalle somiglianze tra l’incidente del 1993 e quello capitato a Hutchins, la morte di Lee è stata più volte ricordata e raccontata negli ultimi trent’anni per diverse altre ragioni.

Una ragione è il successo che, nonostante la sfortuna e le difficoltà in fase di produzione, Il Corvo ottenne poi al cinema e anche nei decenni a seguire tra moltissimi estimatori: successo in qualche misura collegato all’incidente avvenuto sul set, durante l’ultima settimana di riprese. La morte tragica e imprevedibile procurò a Lee una triste popolarità prima che potesse eventualmente ricevere, come aveva a lungo desiderato, apprezzamenti e riconoscimenti per le sue qualità da attore, e non più soltanto attenzioni per la sua discendenza.

Brandon Lee a un anno con suo padre Bruce, allora ventiseienne, nel 1966 (RR Auctions/Wikimedia)

Quando Brandon era un bambino, i Lee vivevano tra Hong Kong e la California a seconda delle esigenze di lavoro del padre. Brandon, cresciuto imparando sia l’inglese che il cinese, aveva otto anni quando suo padre morì a Hong Kong nel 1973, all’età di 32 anni e all’apice del successo, per un edema cerebrale probabilmente causato da una reazione allergica a un farmaco. Un’incertezza iniziale sulle cause della morte di Bruce Lee contribuì nel tempo a diffondere ipotesi infondate e leggende, che sarebbero in seguito state rinvigorite anche dalle circostanze anomale della morte di Brandon.

Il film a cui Bruce Lee stava lavorando quando morì era L’ultimo combattimento di Chen, che uscì postumo nel 1978 e coinvolse alcuni stuntmen e maestri di arti marziali per le parti che Lee non aveva ancora girato. Per una coincidenza notevole e abbastanza sinistra il personaggio da lui interpretato, il protagonista Billy Lo, inscena la propria morte dopo essere stato colpito su un set cinematografico da uno scagnozzo che gli spara con una pistola di scena in cui ha inserito una pallottola vera.

«Cominciai a imparare le arti marziali non appena fui in grado di camminare, non c’era molto altro da fare a casa nostra», raccontò una volta Brandon Lee, ricordando il periodo dell’infanzia che trascorse a Hong Kong vivendo insieme al padre e prendendo lezioni da lui. Tornato successivamente in California con il resto della famiglia prese lezioni da uno degli allievi di suo padre, Dan Inosanto, ma negli anni del liceo mise da parte le arti marziali per studiare recitazione, prima a New York e poi a Boston.

Il rapporto di Brandon con la figura del padre e le arti marziali è sempre stato descritto dai suoi familiari e dai suoi collaboratori più stretti come contraddistinto da un profondo rispetto ma anche dal timore che quell’eredità potesse alla lunga penalizzarlo anziché avvantaggiarlo. «Era molto devoto verso la memoria di suo padre, ma non voleva essere “il piccolo Bruce Lee”», disse una volta il regista statunitense Dwight Hubbard Little, che nel 1992 diresse Drago d’acciaio, primo film di discreto successo con Brandon Lee nel ruolo del protagonista Jake Lo.

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Fino a quel momento Lee aveva recitato in film minori, tutti d’azione e tutti comunque sviluppati in funzione delle sue doti atletiche e delle sue abilità nelle coreografie basate sulle arti marziali, come del resto anche Drago d’acciaio. Era quella, di fatto, la ragione per cui veniva chiamato a recitare. Il suo primo ruolo fu una parte da antagonista in Kung Fu: The Movie, un film per la televisione uscito nel 1986 e interpretato dall’attore statunitense David Carradine, ma il cui soggetto originale era stato sviluppato nei primi anni Settanta pensando a Bruce Lee. Dopo l’uscita del film, l’allora ventunenne Brandon disse di sperare che fosse la prima e ultima volta che interpretava un esperto di arti marziali.

Brandon Lee, in una foto scattata il 22 gennaio 1986 (AP)

Ma in sostanza la prima occasione in cui Lee fu scelto per un ruolo da protagonista senza che le arti marziali c’entrassero molto si presentò soltanto diversi anni dopo con Il Corvo. Tratta da un fumetto del disegnatore statunitense ed ex militare James O’Barr, la sceneggiatura raccontava la storia di un musicista, Eric Draven, che resuscita grazie all’intervento soprannaturale di un corvo e si vendica contro la banda di teppisti responsabili della sua morte e dello stupro e dell’omicidio della sua fidanzata. La storia traeva in parte ispirazione da una vicenda personale di O’Barr, la cui fidanzata era morta in un incidente stradale negli anni Settanta, prima che lui si arruolasse.

Dopo essersi accordato con la Paramount Pictures per la distribuzione del film, il produttore Ed Pressman scelse come regista l’australiano di origini greche Alex Proyas, che all’epoca era conosciuto nell’ambiente per aver girato qualche pubblicità e alcuni videoclip degli INXS e dei Crowded House. Per il ruolo da protagonista Pressman e Proyas pensarono in un primo momento all’attore statunitense Christian Slater, ma poi si convinsero che Lee, l’atletico attore emergente protagonista di Drago d’acciaio, potesse essere fisicamente più adatto.

Lee, che già di suo aveva una corporatura piuttosto esile, perse una decina di chili con l’obiettivo di entrare meglio nella parte di un resuscitato: alla fine arrivò a pesare circa 63 chili, raccontò lo sceneggiatore David Schow. Per l’estetica del personaggio principale l’autore del fumetto disse di essersi ispirato a Iggy Pop e Peter Murphy dei Bauhaus, ma il riferimento principale di Lee fu Chris Robinson, cantante del gruppo statunitense Black Crowes, che all’epoca venivano dal grande successo dei loro primi due dischi.

Brandon Lee sul set del film “Il Corvo” (ANSA/IMDB)

Sia la trama del film che il genere – un po’ d’azione, un po’ thriller, un po’ romantico – contribuirono ad accrescere tra le persone che cominciarono a lavorarci la convinzione che, in caso di successo commerciale, Il Corvo avrebbe procurato a Lee una notorietà non limitata al giro dei fanatici di film sulle arti marziali. Per la preparazione delle scene d’azione e delle scazzottate, Lee coinvolse comunque un suo caro amico, Jeff Imada, che conosceva dai tempi in cui da ragazzi prendevano insieme lezioni di arti marziali da Inosanto.

Le riprese cominciarono a febbraio del 1993 nei Carolco Studios, dei locali ricavati da una vecchia fabbrica di cemento a Wilmington, in North Carolina. Fin dall’inizio emersero alcuni problemi principalmente legati al freddo e all’umidità, fattori aggravati dal fatto che praticamente tutto il film fu girato di notte e spesso con la pioggia. «La troupe cominciava a girare alle 10 di sera e proseguiva fino all’alba», raccontò l’autore del fumetto, O’Barr, che partecipò alle attività di produzione del film.

Il manager di Lee, Jan McCormack, raccontò di aver fatto una telefonata alla troupe a un certo punto delle riprese per parlare delle condizioni sul set, e di aver detto: «Ragazzi, finirete per ammazzare Brandon, laggiù». Ma nonostante le difficoltà e i rallentamenti, peraltro dovuti anche ad alcuni danni provocati agli studi da una tempesta, tutte le persone lavorarono con entusiasmo e senza nervosismo né incomprensioni, disse poi Pressman, il produttore.

Il film, girato con un budget di 15 milioni di dollari, era quasi completo e mancavano solo pochi giorni alla fine delle riprese quando Lee, la notte del 30 marzo, si preparò per una scena in cui il suo personaggio rientra nel suo loft e viene colpito e ucciso da Funboy, uno dei delinquenti della banda, interpretato dall’attore statunitense Michael Massee. Tra le varie armi caricate a salve presenti sul set fu utilizzata una pistola già usata in precedenza per altre scene, inclusa una in cui venivano mostrati in primo piano la canna e il tamburo.

Le finte cartucce per quella pistola erano state ricavate violando le consuete procedure di sicurezza e manomettendo delle vere cartucce, da cui era stata estratta la polvere da sparo. Ma nessuno si era reso conto che un frammento dell’ogiva di un proiettile era rimasto incastrato nella pistola, prima nel tamburo e poi nella canna, in una delle scene in cui gli attori la avevano poi utilizzata senza proiettili ma con cariche a salve (che contengono una quantità minima di polvere da sparo). E nessuno controllò in modo abbastanza accurato la pistola prima di quell’ultima scena di Lee.

La carica a salve presente quel giorno nella pistola utilizzata da Massee, in sostanza, fu sufficiente a espellere e proiettare contro Lee un frammento che era bloccato nella canna da chissà quanto senza che nessuno lo sapesse. Dopo il colpo, che lo raggiunse all’addome e lo ferì gravemente, Lee cadde a terra non proprio come da copione, ma la troupe pensò che stesse scherzando quando non si rimise subito in piedi. Si rese conto dell’incidente solo quando lo vide respirare a fatica e perdere sangue dal fianco destro, racconta l’autrice Bridget Baiss nel libro The Crow: The Story Behind The Film.

Lee fu trasportato d’urgenza al centro medico New Hanover a Wilmington, dove fu sottoposto a un lungo intervento chirurgico e morì circa dodici ore dopo essere arrivato, il 31 marzo. Dopo un’indagine durata alcuni mesi il procuratore distrettuale incaricato del caso, Jerry Spivey, annunciò a settembre che la società di produzione cinematografica Crowvision non sarebbe stata accusata della morte di Lee. Pur descrivendo la negligenza come un fattore determinante, per cui la società fu multata, Spivey non riscontrò prove sufficienti a definire un’azione criminosa perseguibile.

Linda Lee Cadwell, madre di Brandon, fece poi causa alla società di produzione e ottenne un risarcimento in via extragiudiziale. Come parte dell’accordo ottenne anche che le riprese dell’incidente venissero distrutte, temendo che potessero «cadere nelle mani sbagliate», raccontò poi Spivey.

Il turbamento per la morte di Lee indusse una parte della troupe a lasciare la produzione del film. Traumatizzato dall’incidente di cui si era reso inconsapevolmente corresponsabile, Massee – che fece quasi sempre soltanto parti da cattivo, prima di morire di cancro nel 2016 – tornò a New York e non recitò per un anno. In un’intervista nel 2005, 12 anni dopo l’incidente, disse di avere ancora incubi su quel giorno: «È qualcosa che non credo si possa mai superare».

Inizialmente anche Proyas, il regista, pensò di ritirarsi: a convincerlo a concludere il lavoro nel 1994 furono la stessa madre di Lee e la fidanzata, Eliza. Pensavano che l’uscita del film, di cui Lee si era sempre detto orgoglioso con loro, sarebbe stato il miglior modo di onorare la sua memoria. A occuparsi della distribuzione, dopo che la Paramount si era chiamata fuori, fu la società Miramax, che ampliò il budget con altri 8 milioni di dollari. Quando uscì nelle sale, il 13 maggio 1994, Il Corvo fu la più estesa distribuzione della società fino a quel momento: costato complessivamente 23 milioni di dollari, ne incassò 94. Tra le altre cose aveva una ricercata colonna sonora, che includeva sia canzoni originali che cover, e per cui furono coinvolti noti gruppi rock, gothic e metal tra cui i Cure, i Nine Inch Nails, i Pantera e gli Stone Temple Pilots.

Il celebre critico cinematografico Roger Ebert scrisse che il film era riuscito a mostrare al pubblico il talento di Lee. «È tristemente ironico che sia non soltanto la migliore cosa che abbia mai fatto, ma anche un risultato cinematografico migliore di qualsiasi altro film di suo padre», scrisse Ebert, descrivendo quelle dei Lee come carriere «interrotte proprio quando stavano realizzando il loro potenziale».

Lee fu sepolto il 3 aprile 1993 vicino alla tomba di suo padre nel cimitero di Lake View, a Seattle, la città in cui Bruce e Linda si erano conosciuti e sposati. Il Corvo fu dedicato «a Brandon ed Eliza», che avrebbero dovuto sposarsi in Messico il 17 aprile, poche settimane dopo la fine delle riprese.

Le lapidi di Bruce e Brandon Lee nel cimitero di Lake View, a Seattle, il 19 luglio 2010 (Joe Mabel/Wikimedia)

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