Le false informazioni di Google Maps sui luoghi dove si può abortire

Una società olandese ha fatto una mappa europea dei centri che in realtà sono legati ai movimenti antiabortisti: molti sono in Italia

Un’associazione olandese ha creato una “fake abortion map” (mappa dell’aborto fasulla) dell’Europa individuando su Google Maps i risultati delle ricerche relative a centri che praticano aborti o danno informazioni sull’aborto e che invece rimandano a strutture gestite da antiabortisti: strutture, dunque, che non solo non forniscono servizi abortivi, ma che lavorano attivamente attraverso informazioni false per dissuadere le donne dall’interrompere una gravidanza indesiderata. Dalla mappa, risulta che la maggior parte di questi risultati falsi riguarda l’Italia.

La questione delle ricerche di centri per l’aborto su Google Maps che rimandano a strutture che non forniscono tale pratica e che anzi vi si oppongono è nota da anni. Se ne era riparlato quest’estate quando Google aveva deciso di intervenire per migliorare la pertinenza delle ricerche fatte su Maps e Search dopo che la Corte Suprema statunitense aveva eliminato il diritto all’aborto a livello federale, con una sentenza di giugno che ribaltava la cosiddetta “Roe v. Wade”. Molte donne erano state costrette a cercare cliniche abortive anche lontano da casa propria, rivolgendosi quindi a strutture che ancora praticavano l’interruzione di gravidanza, magari in uno stato diverso dal proprio. Google, dopo campagne di pressione e diverse inchieste giornalistiche, aveva iniziato quindi a contrassegnare i risultati – quindi i centri in questione – con etichette specifiche (“pratica aborti” o “non pratica aborti”).

L’introduzione di nuovi livelli di verifica e di nuove funzionalità non aveva permesso di risolvere il problema, anche se lo aveva in parte limitato. Google era però intervenuto solo negli Stati Uniti, lasciando quindi esclusi molti paesi.

Lo scorso 28 settembre il problema è stato denunciato da una società indipendente di consulenza olandese che si occupa di salute sessuale e riproduttiva e che si chiama Shake the Dust. La campagna di Shake the Dust, appoggiata da una ventina di altre realtà e movimenti femministi, si chiama #HeyGoogle: è composta da due petizioni – una alla Camera dei rappresentanti olandese e una alla Commissione Europea – in cui si chiede di fare pressione su Google per monitorare adeguatamente i falsi risultati, per rimuoverli con rapidità e per bloccare gli account che ne sono responsabili.

La campagna si basa anche sulla costruzione di una mappa dell’Europa in cui sono stati segnalati i centri anti-scelta che forniscono “consigli” o presunti “servizi” che intendono ostacolare il diritto delle donne a prendere decisioni informate e ad accedere in sicurezza alla pratica che cercano e vogliono. È la prima mappa di questo tipo, è ad accesso libero, e tutti e tutte possono accedervi e aggiornarla.

Fino ad ora sono stati mappati 164 centri o siti falsi o non pertinenti con la ricerca relativa alle pratiche di interruzione di gravidanze in tutta Europa. Molti di questi si trovano in Italia.

L’Italia, spiega Sanne Thijssen, fondatrice di Shake the Dust, «è il paese che ha il maggior numero di centri mappati. E abbiamo motivo di credere non solo che ce ne siano molti di più, ma anche che aumenteranno con il nuovo governo a causa delle politiche contro l’aborto e contro il diritto di autodeterminazione delle donne che porta avanti».

Thijssen ha spiegato che la campagna di cui è promotrice «si rivolge a Google Maps in quanto responsabile della presenza di notizie false relative ai centri per aborti sulla sua piattaforma. I falsi “fornitori di salute sessuale e riproduttiva” si presentano online come legittimi fornitori di aborti, ma una volta bussato alla loro porta, cercano di impedirti di fare una scelta libera sulla tua salute riproduttiva».

Inoltre, «le organizzazioni e i movimenti anti-abortisti utilizzano Google Maps per pubblicare false recensioni sui legittimi fornitori di aborti, scrivendo resoconti scioccanti per spaventare le persone». Google, conclude Thijssen, «non ha insomma fatto abbastanza per proteggere le persone che cercano di abortire. E per proteggere i loro diritti».

Guardando alla situazione mappata finora in Italia da Shake the Dust risulta una grande differenza tra nord e sud del paese: «Sembra che il movimento anti-scelta nel nord Italia sia stato in grado di radicarsi maggiormente», commenta Thijssen.

Inserendo come chiave di ricerca “centro aborto” il primo risultato si riferisce a un centro per la fertilità, ma buona parte dei risultati porta ai Centri di aiuto alla vita (CAV) che sono legati al Movimento per la vita, cioè il primo movimento antiabortista italiano che venne fondato subito dopo l’approvazione della 194, la legge che in Italia consente l’aborto.

– Leggi anche: Breve storia del successo dei movimenti antiabortisti italiani

Il Movimento per la vita e altre associazioni simili si inseriscono al momento della richiesta di informazioni o dei colloqui per l’interruzione volontaria di gravidanza, quelli dopo i quali è rilasciato il certificato medico per andare in ospedale e praticare l’aborto: «Mentre affermano di sostenere le giovani donne nel prendere una decisione basata su tutte le opzioni a disposizione, di fatto l’aborto non rientra nelle loro opzioni. Sostenendo con argomentazioni non scientifiche che l’aborto non è una pratica sicura o facendo pressione emotiva sulle donne, mirano a dissuaderle», dice Thijssen.

I CAV sono presenti in tutt’Italia: sono almeno quanti i punti dove è possibile praticare un’interruzione di gravidanza, e sono finanziati soprattutto dalle amministrazioni di destra e centrodestra.

Il Movimento per la vita ha a sua volta collegamenti con Heartbeat International, associazione nata, come si spiega sul loro sito, «in risposta alla diffusione dell’aborto legalizzato per aiutare le donne a sfuggire alla tentazione e alla pressione di abortire i loro preziosi bambini». Heartbeat International gestisce più di 3mila centri di «assistenza per la gravidanza» in tutto il mondo, «case di maternità» e «agenzie per le adozioni». È l’organizzazione che ha introdotto negli Stati Uniti il concetto di CPC, ovvero Crisis Pregnancy Centers, centri non medici dove non si praticano aborti e dove, come spiegato in un’inchiesta di Bloomberg, si ricevono informazioni errate sulle procedure abortive.

Da anni questi centri e altre strutture simili svolgono un ruolo attivo nell’identificare e mobilitare il movimento anti-abortista di tutto il mondo, e anche in Italia.

La campagna #HeyGoogle si concluderà a fine anno, ma Shake the Dust ha già detto che la “fake abortion map” resterà attiva e aggiornata.

Continua sul Post