Manifesti elettorali a Sofia, in Bulgaria (AP Photo/Valentina Petrova)

Le elezioni in Bulgaria riservano sempre qualche sorpresa

La scorsa volta si parlava di un comico diventato attivista; a questo giro sembra messo bene un partito fondato da due laureati ad Harvard

Oggi ci sono le elezioni in Bulgaria, le terze in meno di un anno: si vota per eleggere sia il presidente della Repubblica, che in Bulgaria ha un ruolo largamente cerimoniale, sia per rinnovare il Parlamento, che dovrà poi esprimere il governo del paese. Sono le terze elezioni in un anno perché per ben due volte il frammentato e diviso parlamento bulgaro non è riuscito a formare un governo. Questa volta, la novità più significativa della campagna elettorale è un partito fondato da due economisti laureati alla prestigiosa università americana di Harvard, che potrebbe diventare l’ago della bilancia al momento della formazione di un esecutivo.

Le elezioni arrivano alla fine di un anno e mezzo di proteste e instabilità. Anche questa volta, come accaduto sempre negli ultimi anni, il candidato favorito sarà Bojko Borisov, primo ministro di centrodestra fino allo scorso aprile nonché personaggio divisivo e al centro di molti scandali. La rielezione dell’attuale presidente della Repubblica Rumen Radev è considerata invece piuttosto scontata: le attenzioni dei giornali e dell’opinione pubblica si stanno concentrando soprattutto sulle elezioni parlamentari.

Radev le ha indette lo scorso settembre, augurandosi che ponessero fine allo stallo in cui il paese, uno dei più poveri dell’Unione Europea, si trova da circa un anno e mezzo. A grandi e partecipate proteste contro il primo ministro Borisov, cominciate nell’estate del 2020, si è poi aggiunta una dura ondata di coronavirus, aggravata da una campagna vaccinale molto lenta.

Borisov, del partito di centrodestra Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria (GERB), è un personaggio piuttosto noto alle cronache europee. In passato è stato accusato di estorsione, corruzione e di atti di spionaggio contro esponenti dell’opposizione, ed è stato anche al centro di un durissimo scontro istituzionale con lo stesso presidente Radev.

Ad aprile aveva vinto le elezioni, ma di poco e senza riuscire a formare una maggioranza. Aveva poi continuato a perdere consensi, e a luglio, quando le elezioni erano state ripetute, era stato sorpassato da quello che per un po’ era sembrato il nuovo vero protagonista della politica bulgara: Slavi Trifonov, un improbabile cantante, comico e presentatore tv che aveva vinto col partito populista C’è un tale popolo, presentandosi come una specie di attivista anti-corruzione. Nemmeno Trifonov era riuscito a formare una coalizione di governo, ma sembra che non si sia sforzato neppure troppo.

– Leggi anche: Le sorprendenti elezioni in Bulgaria

La scarsa serietà e affidabilità dei politici che si sono presentati fino a ora spiega il successo guadagnato dal nuovo protagonista delle elezioni bulgare: Kiril Petkov, l’economista e imprenditore che da maggio a ottobre è stato ministro delle Finanze del governo tecnico guidato dal primo ministro Stefan Yanev.

Kiril Petkov (AP Photo/Valentina Petrova)

Laureato in Economia in Canada e poi all’Università di Harvard, molto carismatico, è entrato in politica da poco (il posto da ministro dell’Economia era il suo primo incarico governativo) ed è uno dei fondatori del centro studi Center for Economic Strategy and Competitiveness, affiliato sia con l’Università di Harvard che con l’Università di Sofia, oltre che il proprietario di un’azienda che produce prodotti vegani e probiotici.

Petkov ha saputo giocarsi bene i suoi primi mesi in politica, facendo leva sugli scandali che hanno riguardato Borisov e sulla cattiva gestione di svariati appalti pubblici da parte del suo governo: erano casi noti e di cui la stampa aveva parlato in più occasioni, ma il fatto che a evidenziarli fosse un membro del governo è stata una novità che gli ha fatto guadagnare molti consensi.

Petkov è rimasto ministro fino a ottobre, quando l’incarico gli è stato revocato a causa di una controversia legata alla sua doppia cittadinanza, della Bulgaria e del Canada, paese in cui Petkov ha vissuto a lungo e da cui proviene sua moglie. Secondo la costituzione bulgara le persone con doppia cittadinanza non possono guidare un ministero: per questo la Corte Costituzionale bulgara aveva deciso che il suo incarico violava la Costituzione e l’incarico gli era stato tolto. Petkov aveva detto di aver rinunciato alla propria cittadinanza canadese prima di diventare ministro, anche se poi emerse che ce l’aveva ancora ad agosto.

Petkov, comunque, si presenta alle elezioni alla guida di una nuova coalizione, chiamata “Noi continuiamo il cambiamento”, e formata da tre partiti piuttosto diversi tra loro, accomunati solo da un chiaro orientamento europeista.

Nella coalizione c’è Volt, il partito progressista formato da giovani che ha provato a presentarsi con lo stesso programma in tutti i paesi europei, il partito europeista e di centrodestra Classe Media Europea, e il partito dei Socialdemocratici, di centrosinistra. Uno degli slogan della coalizione è «realizzare obiettivi di sinistra con mezzi di destra».

Secondo i sondaggi di Politico, la coalizione guidata da Petkov potrebbe arrivare a guadagnare il 16 per cento dei voti, superando quindi ampiamente la soglia di sbarramento del 4 per cento prevista dal sistema elettorale bulgaro per entrare in parlamento (che ha 240 seggi).

Se così fosse, la sua coalizione diventerebbe un interlocutore obbligatorio per la formazione del governo per il partito che, a meno di sorprese, vincerà le elezioni: cioè GERB, quello di Bojko Borisov. Si prevede che GERB prenderà intorno al 24 per cento dei voti: meno di quelli ottenuti alle elezioni di aprile, e decisamente non abbastanza per governare da solo.

La coalizione guidata da Petkov, tra l’altro, potrebbe arrivare a contendersi il secondo posto col Partito socialista, storico partito di opposizione, oltre a sottrarre molti elettori al partito populista C’è un tale popolo, del comico Trifonov, i cui consensi sono molto calati dopo il fallimento delle trattative per formare un governo.

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