Parigi, 2018 (AP Photo/Christophe Ena)

I bouquinistes di Parigi ce la faranno anche questa volta?

Storia dei librai del lungosenna, che in 5 secoli sono sopravvissuti a divieti, censure, piani urbanistici e ora devono resistere alla pandemia

Tra i librai francesi alle prese con le nuove chiusure e restrizioni ordinate in Francia per contenere il coronavirus, ce ne sono alcuni in particolare difficoltà, perché si reggono sul turismo, sulla vendita dal vivo e sull’oziosa perdita di tempo: sono i bouquinistes del lungosenna di Parigi, che vendono libri usati e antichi nelle caratteristiche edicole di metallo verde. I 227 stand (boîtes, in francese) si estendono per circa tre chilometri lungo la riva destra, dal quai de l’Hôtel de Ville al quai du Louvre, e lungo la sinistra, dal Quai de la Tournelle al Quai Voltaire, e offrono circa 300mila libri, insieme a riviste, fumetti, cartoline, incisioni, stampe e piccoli souvenir della città.

Gli affari erano già in crisi da qualche anno perché i libri si comprano sempre più su Amazon e anche in Francia si legge sempre meno (ma molto più che in Italia); la stroncatura definitiva, però, è arrivata con la pandemia che ha bloccato l’arrivo dei turisti, diventati ormai i principali clienti dei bouquinistes.

Jérôme Callais, 60enne presidente dell’Associazione dei Bouquinistes, ha raccontato al New York Times che ci sono giorni in cui non vende niente e che si considera fortunato quando guadagna 30 euro al giorno; ora circa quattro stand su cinque restano sempre chiusi. David Nosek, un ex ingegnere del suono diventato bouqiniste, ha detto che prima della pandemia guadagnava anche 2.500 euro al mese, mentre ora arriva a malapena a 400. Per migliorare un po’ la situazione, Nosek ha fondato bouquinistesdeparis.com, dove tutti i librai del lungosenna possono caricare le foto dei loro volumi e venderli in tutto il mondo. La maggior parte dei venditori però ha passato la sessantina e fa fatica a destreggiarsi con le vendite su internet: al momento sul sito si trovano 300 libri e, ha detto Nosek, ne sono stati venduti solo cinque.

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Tra i bouquinistes non ci sono solo pensionati appassionati di libri antichi o eccentrici, ma anche trentenni che vogliono fare la professione del libraio in modo indipendente, all’aria aperta e a contatto con un pubblico variegato; molti stanno cercando di cambiare l’approccio tradizionale e affiancare le vendite online e la pubblicità sui social network e di inserire nel catalogo fumetti e riviste per attirare anche i più giovani. Il primo ostacolo che dovranno superare, al momento, resta l’epidemia, che terrà lontano dai loro stand, ancora a lungo, curiosi perditempo e clienti in vacanza. Per aiutarli, lo stato ha inserito anche i bouquinistes nell’elenco delle aziende che potranno usufruire di un fondo di solidarietà, che prevede aiuti fino a 1.500 euro al mese.

Molti si augurano che i bouquinistes riescano a superare anche questa difficoltà, come hanno già fatto più volte nella loro storia secolare, iniziata a fine Cinquecento. Allora venditori ambulanti vendevano i cosiddetti bouquin, libretti di seconda mano, in carretti di legno, nelle grandi tasche cucite nei cappotti e in scatole di legno che portavano al collo o a braccio. La parola bouquin derivava dal termine  fiammingo boeckin, che significa libro di scarso valore, e venne stampata per la prima volta nel 1459 nella forma boucquain, diventata bouquin alla fine del XVI scolo. La prima definizione di bouquiniste si trova invece nel Dictionnaire de Trévoux nel 1752, indicava «colui che vende vecchi libri, bouquins» e prevedeva solo il genere maschile perché era un mestiere di soli uomini. Nel 1789 venne inserito anche nel dizionario della Académie Française, che riportò entrambi i generi per la prima volta nella sua ottava edizione, uscita nel 1932.

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Forse la tradizione dei bouquinistes nasceva da quella dei librai del Duecento che vendevano manoscritti originali sotto la sorveglianza dell’Università di Parigi e che una volta all’anno potevano venderli nelle edicole ambulanti. Sia come sia, dopo l’invenzione della stampa molti venditori di libri di scarto, con le orecchie alle pagine e le copertine strappate, presero a riunirsi sul Pont Neuf, che era stato costruito nel 1607 ed era il primo ponte largo abbastanza da favorire la presenza degli ambulanti.

Un’ordinanza cittadina del 1619 concedeva la possibilità di allestire bancarelle all’aperto su alcune banchine ma nel 1649 un’altra le proibì e allontanò una cinquantina di venditori, stabilendo che la polizia poteva confiscare i loro libri perché era «necessario restaurare l’onore della stampa e delle librerie ed eliminare quello che lo fa degradare». Piano piano però le bancarelle ritornavano, sovraccariche di porcellane, cristalli, mobiletti cinesi, conchiglie, gioiellini, chincaglierie e soprattutto libri. I più costosi e preziosi, scrive Le Figaro, si trovavano da Jaubert, al quai des Augustins, sotto l’insegna della “Bibbia d’oro”; Rafflé, in rue du Petit-Pont, offriva almanacchi, i manoscritti si vendevano in rue de la Vieille-Boucherie, nel quai des Augustins o nel quai du Mal-à-Quay.

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Nel 1721 un nuovo ordine vietò, pena la confisca e la prigione, le bancarelle all’aperto sempre a causa dell’oltraggio alla morale e degli «scritti stampati contrari alla religione, all’interesse dello stato e alla morale». Era soprattutto una scusa per controllare il contenuto dei libri e vietare la vendita di pamphlet rivoluzionari, satirici e testi radicali e proibiti. L’ordine fu ripetuto a metà del secolo ma, in entrambi i casi, invano: i bouquinistes scomparivano per qualche giorno poi lentamente rispuntavano, con il sostegno degli abitanti. Una delle petizioni in loro favore sosteneva, per esempio, che «rendevano il passaggio più bello: probabilmente già allora valeva il detto che «un vero parigino poteva amare le banchine senza l’ombra di un albero, ma non senza i bouquinistes».

Per tutto il Settecento e durante l’impero di Napoleone i bouquinistes divennero un punto di riferimento per scrittori, bibliofili, eruditi e studenti, e nel corso dell’Ottocento la loro presenza si rafforzò fino a imporsi definitivamente nel panorama cittadino e letterario. A metà del secolo c’erano circa 68 proprietari di 1.020 stand appoggiati su oltre un chilometro di parapetti, che offrivano un totale di 70.000 libri: se ne vendevano anche fino a 1.500 al giorno.

L’ultima minaccia arrivò nel 1866, quando il Barone Haussmann, a capo di un ampio piano di ristrutturazione di Parigi, decise di spazzarli via per ripristinare le linee pure del lungosenna. I bouquinistes chiesero la mediazione di un noto giurista che si rivolse all’imperatore Napoleone III e lo convinse a concedere ai venditori il permesso di restare. Per finire, nel 1891, i librai poterono lasciare le loro edicole sul parapetto anche di notte, anziché trasportarle mattina e sera come stabilito fino a quel momento: furono allora munite di sbarre di ferro e le loro dimensioni aumentarono. Successivamente, negli anni, Trenta, vennero fissate per legge; ora le edicole devono essere lunghe 2 metri, larghe 0,75, non più alte di 2,1 metri da terra e dipinte dello stesso verde delle insegne della metropolitana di Parigi.

I bouquinistes non pagano tasse e affitto ma devono rispettare un rigido regolamento cittadino sulle vendite. I posti vacanti sono attribuiti dal municipio e la licenza dura 1 anno, ma si può rinnovare. I librai devono aprire almeno 3 giorni a settimana, salvo maltempo, e possono vendere solo libri antichi, usati, vecchie carte, incisioni, monete, medaglie, timbri, cartoline e piccoli souvenir di Parigi. Il numero dei bouquinistes è cresciuto nel tempo: nel 1892 ce n’erano 156, prima della Seconda guerra mondiale erano diventati 275, nel 1957 erano 238, di cui 109 donne e 129 uomini, nel 2013 erano 217.

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