Ugo Tognazzi accanto a un quadro a lui ispirato, 1967 (©lapresse/archivio storico)

Le cose che faceva Ugo Tognazzi

Storia, film, sketch e storie su uno dei più grandi attori della commedia all'italiana, morto trent'anni fa

Trent’anni fa, il 27 ottobre 1990, morì a Roma Ugo Tognazzi. Fu il primo a morire tra gli attori che negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta erano diventati noti e apprezzatissimi per i loro ruoli nella commedia all’italiana, mostrandosi come eccellenti maschere comiche e, spesso, anche come ottimi interpreti drammatici. Un gruppo di attori tutti nati negli anni Venti del Novecento e di cui di volta in volta, e con composizione variabile, si parla come dei “mattatori”, dei “moschettieri” o dei “colonnelli” del cinema italiano. Un gruppo di cui, oltre a Tognazzi, fanno parte Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Ma la storia di Tognazzi non sta solo nel cinema: iniziò nel teatro, incrociò la televisione nell’anno in cui debuttò in Italia e toccò anche altre questioni, come quella volta in cui Il Male fece credere a qualcuno che lui fosse il capo delle Brigate Rosse.

Tognazzi era nato a Cremona il 23 marzo 1922 e, da figlio di un ispettore assicurativo, i primi anni della sua vita furono piuttosto itineranti. Già a 14 anni iniziò a lavorare in un salumificio della Negroni e trovò anche un po’ di tempo per fare le prime esperienze teatrali, che continuò a fare – quando possibile – anche negli anni della Seconda guerra mondiale.

Nel 1945 lavorò per qualche tempo come archivista ma poi si trasferì a Milano, per cercare di fare della recitazione il suo lavoro: per un po’ di tempo fece parte della compagnia teatrale di Wanda Osiris, dedicandosi soprattutto al teatro di varietà e nel 1950 recitò nel suo primo film: I cadetti di Guascogna, ispirato a una popolare canzone.

Il debutto televisivo fu nel 1954, l’anno in cui iniziarono le trasmissioni del Programma nazionale, l’unico canale di allora. Insieme con Raimondo Vianello, Tognazzi fu protagonista di “Un due tre”, un varietà comico fatto di sketch e parodie. Allora andava molto di moda il fatto che, in un duo comico, uno fosse il comico protagonista e l’altro la spalla. In “Un due tre” i due comici potevano invece essere considerati alla pari, seppur con due comicità diverse: quella di Vianello, spesso definita “all’inglese”, e quella di Tognazzi, molto meno sobria e molto più caricaturale. Intervistato dal Corriere della Sera negli anni Novanta, Vianello raccontò:

Venivamo dalla radio, ci portavamo dietro una certa goliardia. Io mi sentii “obbligato” a comprare la tv perché c’erano i mondiali di calcio. Ma Tognazzi non la comprò . E siccome facevamo la parodia dei programmi tv, si fidava dei miei racconti. Ugo faceva il verso a personaggi che non aveva mai visto.

Nel 1959 “Un due tre” fu chiuso dopo uno sketch nel quale Tognazzi e Vianello fecero una semplice parodia di un piccolo incidente avvenuto al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, il quale – a un evento dove era ospite Charles De Gaulle – cadde per terra, a quanto pare perché si aspettava di trovare dietro di lui una sedia che invece non c’era. In tv, Tognazzi simulò a sua volta una caduta, con Vianello che gli disse “ma chi ti credi di essere?”. In quell’intervista al Corriere, Vianello disse: «Nello studio tv ci furono tre minuti di applausi: dal trionfo capimmo che eravamo rovinati».

Negli anni Cinquanta, intanto, Tognazzi aveva continuato a recitare a teatro e fatto strada anche nel cinema. Ma in genere, nelle sue biografie, il primo ruolo che si mette davvero in evidenza è quello del 1961 nel Federale di Luciano Salce, film in cui interpretò il fascista Primo Arcovazzi intento a scortare a Roma un filosofo antifascista: alla guida di un sidecar e su una strada alquanto accidentata.

Negli anni e nei decenni successivi, Tognazzi tornò più di una volta a lavorare con Salce – in ruoli che, come ha spiegato Francesco Bolzoni per l’Enciclopedia del Cinema, erano sempre di «borghesi tentati da imprese più grandi di loro» – e, tra gli altri, collaborò tanto e bene con Dino Risi (tra gli altri per La marcia su RomaI mostri e In nome del popolo italiano) e poi anche con Mario Monicelli (Vogliamo i colonnelli, Romanzo popolare, Amici miei), Marco Ferreri (La donna scimmia, La grande abbuffata, Non toccate la donna bianca), Ettore Scola e anche Pier Paolo Pasolini. A questo proposito, Ricky Tognazzi – uno dei suoi figli – ha raccontato che il padre «portava come un fiore all’occhiello» il fatto che Pasolini avesse detto che era «la persona più sensibile e intelligente mai conosciuta». Il figlio ha anche aggiunto che il padre, «che veniva dall’avanspettacolo e aveva il diploma da ragioniere, a Parigi recitava Pirandello in francese».

Il più noto, tra i tanti personaggi di Tognazzi, è probabilmente quello del conte Mascetti di Amici miei.

Il migliore, tra quelli totalmente drammatici, è secondo molti quello del protagonista di Tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci, per il quale Tognazzi vinse il premio come miglior attore al festival di Cannes del 1981.

Ma Tognazzi fece davvero tanto, di tutto. Come ha scritto Cristina Battocletti sul Sole 24 Ore, «i registi sfruttarono la sua china provocatoria, affidandogli anche parti imbarazzanti – come quella del protagonista ne Il petomane (1983) di Pasquale Festa Campanile –, quando non sporcaccione, o macchiettistiche spinte. È il caso della trilogia de Il vizietto, parodia del mondo omosessuale, che oggi sarebbe giustamente osteggiata e marchiata come intollerabile».

Nel tentativo di racchiudere in poche parole molti dei suoi ruoli, Bolzoni ha parlato di una «folta schiera di personaggi (prelati e bottegai, nobili e operai) che nascondono sotto un’apparente simpatia cumuli di ipocrisia» e di «personaggio sostanzialmente antipatico di borghese, di solito un professionista che improvvisamente si accorge di non poter primeggiare in un mondo che pensava costruito a sua immagine e somiglianza e che invece lo lascia indietro».

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Nella sua carriera cinematografica, Tognazzi recitò in circa 150 film e ne diresse cinque: tra questi ultimi nessuno fu particolarmente esaltato dalla critica o apprezzato dal pubblico, e quello meglio riuscito è considerato Il fischio al naso, tratto dal racconto “Sette piani” di Dino Buzzati.

Fuori dal cinema, Tognazzi si fece notare per certe sue provocazioni. La più famosa è quella del 1979 in cui, nel bel mezzo degli anni di piombo, accettò di collaborare con la rivista satirica Il Male che mandò alle edicole una serie di finte prime pagine di veri giornali in cui si sosteneva che lui fosse, forse in combutta con Vianello, il “grande vecchio” a capo delle Brigate Rosse. La sua collaborazione consistette nell’essersi fatto fotografare ammanettato accanto a dei finti carabinieri e nel rivendicare in seguito, a scherzo rivelato, il “diritto alla cazzata”. Alcuni anni più tardi, intervistato da Pippo Baudo a Domenica In, Tognazzi si fece di nuovo notare per una serie di risposte particolarmente provocatorie, non propriamente adatte alla televisione, specie di quegli anni.

Per il resto, di Tognazzi – morto a 68 anni in seguito a un’emorragia cerebrale – si raccontano le tante relazioni («caotico gestore di una vita costellata di amori, avventure e figli», lo ha definito il Corriere) la grande passione per la cucina e una sorta di torneo di tennis che per anni organizzò in una sua casa, invitando attori e amici vari e alternando le partite a grandi mangiate. Il premio del torneo era uno scolapasta dorato.

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