(ZINYANGE AUNTONY/AFP/Getty Images)

Cos’è successo in Zimbabwe

Per tre giorni ci sono state violente proteste per un grosso rincaro del carburante: la polizia ha arrestato centinaia di persone e ci sono morti e feriti

Negli scorsi tre giorni in Zimbabwe ci sono state violente proteste contro il rincaro del carburante deciso dal presidente Emmerson Mnangagwa, che hanno provocato morti e feriti. Le proteste sono iniziate lunedì 14 gennaio, quando il principale sindacato del paese ha indetto uno sciopero di tre giorni, che è stato accompagnato da manifestazioni e proteste, in particolare nella capitale Harare e a Bulawayo. Secondo Amnesty International nei tre giorni di scontri i morti sarebbero stati otto, mentre per il governo sarebbero solo tre, di cui un poliziotto. Un’associazione di medici ha detto di aver curato 68 persone con ferite da arma da fuoco, e altre 172 persone ferite in vario modo durante le proteste. Giovedì 17 gennaio lo sciopero è terminato, ma la situazione rimane ancora incerta.

La polizia ha arrestato circa 600 persone coinvolte nelle manifestazioni, e tra queste ci sono alcuni esponenti del principale partito dell’opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (MDC) e il pastore e attivista Evan Mawarire, conosciuto per il suo impegno per il rispetto dei diritti civili nel paese e per aver organizzato manifestazioni contro l’ex dittatore Robert Mugabe. Mawarire è stato arrestato ad Harare, la capitale del paese, e secondo il suo avvocato sarebbe accusato di aver «incitato alla violenza attraverso Twitter e altre forme di social media». Doug Coltart, un avvocato che rappresenta circa 30 persone arrestate ad Harare, sostiene che tra questi ci siano anche dei bambini: «La maggior parte delle persone è stata presa da uomini con il volto coperto e armati di fucili AK47, che le hanno trascinate fuori e picchiate. Sono detenuti senza accuse né possibilità di difesa legale, senza cibo né acqua. La brutalità di ciò che sta accadendo è scioccante».

L’arresto di Evan Mawarire (AP Photo/Tsvangirayi Mukwazhi)

Persone arrestate in attesa dell’udienza in tribunale, Harare, 16 gennaio (JEKESAI NJIKIZANA/AFP/Getty Images)

Tutto era cominciato sabato 12 gennaio, quando il presidente aveva annunciato che a partire dalla mezzanotte del giorno stesso il prezzo della benzina sarebbe passato da 1,24 a 3,31 dollari al litro, mentre il gasolio da 1,36 a 3,11 dollari al litro. La decisione di Mnangagwa era dovuta alla grave crisi economica che il paese sta vivendo negli ultimi mesi: a novembre l’inflazione aveva raggiunto un tasso del 31 per cento su base annua, il più alto degli ultimi dieci anni, facendo tornare alla mente i tanti anni di super-inflazione che avevano costretto il paese nel 2015 ad abbandonare la sua moneta.

Negli ultimi mesi gli investimenti stranieri nel paese sono diminuiti, causando una carenza di banconote in circolazione e meno importazioni di beni dall’estero, in particolare medicinali, cibo e carburante. Come racconta Reuters la carenza di carburante ha fatto sì che nelle stazioni di rifornimento si formassero spesso lunghe file, in cui si poteva aspettare anche per ore prima di fare benzina, e che dovevano essere presidiate da soldati pronti a intervenire in caso di liti tra le persone in coda. La decisione di aumentare i prezzi di benzina e gasolio è stata una diretta conseguenza di questa situazione, ma per molti sarebbe stata un tradimento delle promesse fatte da Mnangagwa prima delle elezioni del 2017 di risanare l’economia del paese e di distanziarsi dai metodi di governo dittatoriali del suo predecessore Robert Mugabe.

Una stazione di servizio danneggiata e saccheggiata, Bulawayo, 15 gennaio (ZINYANGE AUNTONY/AFP/Getty Images)

Dopo l’inizio delle proteste il governo ha accusato gli organizzatori dello sciopero di “attività politiche sovversive”, mentre il principale partito di opposizione ha lanciato un appello ai manifestanti di mantenere la calma, dicendo di appoggiare solo le manifestazioni pacifiche. In risposta alle proteste il governo ha limitato l’accesso ai social network e ad applicazioni di messaggistica come WhatsApp, e la più grande compagnia telefonica del paese, Econet, ha detto di essere stata costretta a bloccare i collegamenti ad Internet.

In tutto questo Mnangagwa si trovava in viaggio all’estero, con tappe che hanno incluso la Russia e il World Economic Forum di Davos, in Svizzera, per cercare di trovare nuovi paesi disposti a investire in Zimbabwe. Dopo un incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca, ha scritto su Facebook che «tutti in Zimbabwe hanno il diritto di esprimersi liberamente, di parlare, criticare e protestare. Sfortunatamente, ciò a cui abbiamo assistito sono la violenza e il vandalismo invece di proteste pacifiche e legali. Non può esserci giustificazione per la violenza, contro persone e proprietà. La violenza non riformerà la nostra economia. La violenza non ricostruirà la nostra nazione».

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