Nei pochi giorni che mancano alle elezioni non sentiremo più parlare di “voci dal conclave”, di “corse di cavalli clandestine”, dello stallone “Fan Idole” o del “Cardinale fiorentino”: in altre parole non ci saranno più i sondaggi clandestini, quelli che negli ultimi anni hanno aggirato il divieto di pubblicazione dei sondaggi nel periodo elettorale fingendo di parlare di corse di cavalli o di elezioni papali. Con più dieci anni di ritardo su quando hanno cominciato a circolare online, cioè dal 2006, giovedì l’Agcom – l’autorità delle telecomunicazioni – ha diffuso un comunicato in cui annuncia che saranno punite anche le “simulazioni” che hanno lo scopo di aggirare la legge sulla par condicio. YouTrend, uno dei principali siti a diffondere “sondaggi clandestini” ha commentato così la notizia.
https://twitter.com/you_trend/status/966737416206934016
L’Agcom ha il potere di controllare e sanzionare le diffusione irregolare di sondaggi, comminando multe dai 25 ai 250 mila euro. Insieme a YouTrend anche siti come Right Nation in passato hanno diffuso surrettiziamente i risultati dei sondaggi nel periodo di divieto. La legge che in Italia vieta la pubblicazione dei sondaggi nei 15 giorni prima delle elezioni – la legge 28 del 2000, cioè la più importante di quelle sulla par condicio – non ha praticamente eguali in Europa e nel resto del mondo occidentale. Qualcosa di simile esiste in Francia, ma vale soltanto per le 24 ore precedenti al voto e per la pubblicazione degli exit poll nel giorno del voto. La legge italiana è più simile a quella del Mozambico, una democrazia fragile e giovanissima, dove i sondaggi sono vietati per tutto il periodo della campagna elettorale.
La motivazione che sta dietro a questo divieto è il timore che la diffusione dei sondaggi possa in qualche modo manipolare l’opinione pubblica e alterare i risultati del voto. Esperti e scienziati politici sono concordi nel dire che i sondaggi hanno la capacità di influenzare le scelte degli elettori, ma non è chiaro se vietare la diffusione dei sondaggi sia il modo migliore per limitarla. Durante il divieto di circolazione i sondaggi continuano a essere realizzati e a circolare tra le persone che si occupano di politica. Gli stessi istituti di sondaggio continuano a farli, non solo perché ricevono le commissioni da partiti e singoli politici, ma anche perché la precisione dei loro modelli statistici deriva anche dal raffronto di dati raccolti con continuità con i risultati reali che usciranno dal voto. In altre parole, i risultati dei sondaggi in questo periodo “girano” comunque tra gli addetti ai lavori, anche se non compaiono direttamente nei telegiornali e sui quotidiani.
E proprio per questo il loro effetto continua a manifestarsi nel modo in cui i media raccontano la campagna elettorale. Un partito in crescita continuerà a essere raccontato come in crescita anche nei quindici giorni precedenti il giorno delle elezioni, perché i giornalisti di solito sono tra coloro che hanno accesso ai sondaggi anche nel periodo di divieto. La differenza principale è che se un giornale o un politico racconta la “rimonta” di un partito in questo periodo, non ci saranno più dati per confermare o smentire questo racconto. Per questa ragione la legge è stata spesso criticata: il suo principale risultato è che le rilevazioni statistiche continuano a circolare ma in forme impossibili da verificare: se non sono veri sondaggi nessuno è tenuto a dire come sono stati fatti (anzi, non può proprio farlo). Non si può quindi sapere qual è il campione statistico, il margine di errore e così via. Per esempio, nessuno impedisce di dire a un leader il cui partito era dato in difficoltà: «Abbiamo recuperato la distanza con i nostri avversari», anche se i sondaggi che non si possono pubblicare dicono l’esatto contrario.
Per anni, da prima delle ultime elezioni politiche nel 2013, una serie di siti internet hanno sfidato apertamente questo divieto pubblicando i sondaggi elettorali sotto forma di scherzosi racconti di gare di cavalli o di conclavi religiosi. Per quanto le informazioni pubblicate non fossero verificabili dagli utenti comuni, non erano numeri a caso. L’autore del sondaggio mascherato, cioè la società che lo aveva realizzato, era quasi sempre piuttosto facile da indovinare e questo permetteva, a chi aveva accesso a queste informazioni, di risalire alla correttezza del loro contenuto.
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