Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont (a sinistra), e il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy alla Sagrada Familia, Barcellona, il 20 agosto 2017 (SERGIO BARRENECHEA/AFP/Getty Images)

In Spagna un attentato non sempre unisce

Storia breve e istruttiva delle tensioni tra autorità spagnole e catalane nei giorni successivi agli attacchi terroristici a Barcellona e Cambrils

Due giorni fa a Barcellona c’è stata una manifestazione contro il terrorismo jihadista indetta dopo gli attentati terroristici del 17 e 18 agosto in Catalogna, Spagna, nei quali sono state uccise 16 persone. C’erano il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, il presidente catalano Carles Puigdemont, la sindaca di Barcellona Ada Colau e re Felipe VI, in quella che è stata la prima partecipazione di un monarca spagnolo a una manifestazione pubblica dall’instaurazione della democrazia. Le cose non sono andate benissimo: c’era gente ma non moltissima, anche perché alla stessa ora giocava il Barcellona di calcio. «Molti erano andati li a protestare contro il jihadismo, altri però avevano obiettivi diversi», ha scritto domenica il Confidencial. Ci sono state frasi urlate contro il re e molte bandiere della Catalogna, diventate il simbolo dell’indipendentismo catalano, nonostante la sindaca Colau avesse chiesto di lasciarle a casa. C’era cioè la stessa tensione di sempre tra governo spagnolo e autorità catalane – anzi, forse c’era più tensione del solito – nonostante i continui appelli pubblici all’unità arrivati da diverse parti durante la settimana precedente.

Da sinistra a destra: il re spagnolo Felipe VI, il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, il presidente catalano Carles Puigdemont, la vice-presidente del governo spagnolo Soraya Saenz de Santamaria, la presidente del Congresso Ana Pastor e la regina Letizia, di fronte alla Sagrada Familia, a Barcelona, il 20 agosto 2017 (PASCAL GUYOT/AFP/Getty Images)

La manifestazione di sabato è stato solo l’ultimo di una serie di episodi di tensione e nervosismo avvenuti dopo gli attentati in Catalogna. Ci sono state le criticate conferenze stampa delle autorità locali tenute in catalano; i tweet della polizia catalana pubblicati prima in catalano, poi in spagnolo e poi in inglese; i disaccordi pubblici tra i due ministri dell’Interno, quello della Spagna e quello della Catalogna; e le accuse reciproche di non avere fatto bene il proprio lavoro per prevenire gli attentati. Il problema è sempre lo stesso: il presidente catalano Puigdemont ha convocato un referendum sull’indipendenza della Catalogna per l’1 ottobre; il primo ministro spagnolo Rajoy si è opposto, dicendo che è illegale; il parlamento catalano ha deciso di andare avanti per la sua strada.

I Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, confermano su Twitter di avere colpito Younes Abouyaaqoub, l’autore dell’attentato terroristico a Barcellona. Il primo tweet è in catalano (quello più in basso), un minuto dopo c’è quello in castigliano e tre minuti dopo quello in inglese

Durante una conferenza stampa tenuta il 21 agosto dal capo della polizia catalana, Josep Trapero, almeno un giornalista si alza e se ne va dopo avere polemizzato con Trapero che stava parlando in catalano invece che in castigliano. Trapero, rispondendo alla critica, dice che se la domanda gli viene fatta in catalano risponde in catalano, se gli viene fatta in castigliano risponde in castigliano.

Quindi, cosa è successo nell’ultima settimana? Partiamo dall’inizio.

Il quotidiano francese Libération ha scritto che dopo l’attentato di Barcellona, compiuto da un uomo che ha investito la folla sulla Rambla, il primo ministro spagnolo Rajoy (del Partito Popolare) e il presidente catalano Puigdemont (del Partito democratico europeo catalano) hanno aspettato 20 ore prima di parlarsi direttamente. Nei discorsi pubblici fatti da entrambi il giorno dell’attentato si percepiva chiaramente della tensione. Rajoy ha parlato del “dolore della nazione spagnola” e non ha citato nemmeno una volta la Catalogna.

Puigdemont si è riferito alla Catalogna come a uno stato e non ha citato nemmeno una volta la Spagna (Puigdemont ha tenuto la conferenza stampa in catalano, non in castigliano, come è consuetudine delle autorità catalane).

Un membro del governo Rajoy ha detto a Politico che nelle ore successive al primo attentato la cooperazione tra le due parti è stata “buona”, ma un consigliere del vice-presidente catalano Oriol Junqueras l’ha descritta “fredda” e “basica”, sottolineando che Rajoy è arrivato a Barcellona solo la tarda sera del 17 agosto. Il momento più chiaro della tensione tra governo spagnolo e catalano è stato sabato 19, due giorni dopo l’attentato, quando in una conferenza stampa il ministro degli Interni spagnolo, Juan Ignacio Zoido, ha detto che la cellula terroristica era stata «completamente smantellata».

Poco dopo Zoido è stato contraddetto dal ministro degli Interni catalano, Joaquim Forn, secondo cui i Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, non avrebbero confermato lo smantellamento della cellula finché non avessero arrestato tutti i suoi membri. Lo stesso portavoce dei Mossos, Albert Oliva, ha insistito nel dire che erano i Mossos a guidare le indagini e ha ricordato che «saremo noi a dire il risultato finale dell’operazione, quando valuteremo che la cellula sia stata completamente smantellata». Come hanno notato diversi giornali stranieri, in conferenza stampa Joaquim Forn ha parlato diverse volte di “vittime spagnole” e “vittime catalane”, distinguendole come se appartenessero a due nazionalità diverse.

Il giorno dopo c’è stato un altro momento molto evidente di tensione. Secondo diverse fonti riprese dai giornali spagnoli, alcuni mesi prima dell’attentato la CIA aveva avvertito il Centro nazionale di intelligence (CNI), i servizi segreti spagnoli, che Barcellona era da considerarsi uno degli obiettivi più probabili del terrorismo jihadista. Il presidente catalano Puigdemont ha negato però che i Mossos fossero stati informati dell’avvertimento. Lo stesso giorno, durante un’intervista in televisione, Puigdemont ha sostenuto che la Catalogna dovrebbe avere legami diretti con la CIA e altri servizi di intelligence, senza dover passare ogni volta per Madrid; e in un’intervista data al Financial Times venerdì scorso Puigdemont ha accusato il governo di Madrid di avere limitato il flusso di informazioni verso la Catalogna a causa della sua opposizione al referendum per l’indipendenza fissato per l’1 ottobre. In generale diversi politici e giornali catalani pensano che il governo spagnolo abbia tentato di strumentalizzare gli attentati terroristici, proprio come era successo dopo gli attacchi di al Qaida a Madrid dell’11 marzo 2004, quando l’allora governo conservatore di José María Aznar aveva accusato il movimento indipendentista basco ETA di esserne responsabile.

Da parte loro, le autorità spagnole hanno accusato i Mossos catalani di non avere preso le necessarie misure per prevenire l’attentato. Diversi giornali spagnoli hanno scritto che da tempo il ministro degli Interni spagnolo, Juan Ignacio Zoido, diceva alla polizia catalana di mettere dei blocchi di cemento o altre strutture simili per proteggere da eventuali attacchi terroristici posti di Barcellona particolarmente frequentati, come la Rambla e la Sagrada Familia. Inoltre, mesi prima dell’attentato le autorità del Belgio si erano messe in contatto con quelle catalane per avere informazioni sull’imam Abdelbaki Es Satty, che le indagini hanno poi individuato come probabile leader della cellula terroristica: il ministro degli Interni catalano, Joaquim Forn, ha detto che la richiesta fu fatta in maniera «completamente informale» e che non c’erano quindi ragioni per allarmarsi più di tanto.

In tutti i giorni successivi all’attentato, ha scritto Diego Torres su Politico, sono emerse chiaramente le differenze e le divisioni tra le autorità spagnole e quelle catalane. Secondo Rajoy, dopo l’attentato il governo catalano avrebbe dovuto cambiare priorità: lasciare perdere le rivendicazioni indipendentiste e concentrarsi sulla collaborazione con Madrid per frenare il terrorismo jihadista. Questa linea è stata sostenuta anche negli editoriali pubblicati il giorno dopo l’attentato dai due principali giornali spagnoli, il Pais e il Mundo, e criticata da alcuni giornali catalani. Le indagini e gli arresti compiuti nel giro di pochi giorni dai Mossos sono stati al contrario usati dal governo catalano per dimostrare di poter gestire una minaccia così grave in autonomia, senza l’aiuto del governo di Madrid.

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