L’area del mondo finanziariamente meglio integrata si lacererebbe tra default, fallimenti delle banche, nazionalizzazioni. L’eurozona si ritroverebbe spezzettata o tuttalpiù divisa in due, un blocco settentrionale più o meno compatto e uno meridionale frammentato. Molti trattati verrebbero infranti. Le differenze di valore e prestazioni tra le monete delle aree più solide e quelle delle aree periferiche porterebbero con ogni probabilità allo svuotamento del mercato unico. La stessa sopravvivenza dell’Unione Europea sarebbe messa in discussione.
Sono questo genere di paure, sostiene l’Economist, che impediscono alle nazioni in difficoltà di trovare conforto dai loro cambiamenti. La Spagna ha ribaltato il suo governo e continua a pagare interessi altissimi. La stessa cosa accade all’Italia. I tassi di Belgio e Francia sono in crescita. Persino le aste dei Bund tedeschi accusano qualche fatica. Le banche sono nel panico: hanno sempre meno risorse, e non se le prestano a vicenda. Le misure di austerità, la crisi dei consumi. Mettete tutto insieme, dice l’Economist, e avrete la spiegazione della profonda recessione in cui l’eurozona entrerà nel 2012. Un circolo vizioso che porterà con sé deficit ancora più alti, debiti più alti, frustrazione degli elettorati a sobbarcarsi altri sacrifici.
Non si può andare avanti così a lungo. Senza drastici cambiamenti, da parte della BCE e dei leader europei, la moneta unica potrebbe distruggersi nel giro di poche settimane. L’evento scatenante può essere il fallimento di una grande banca, la caduta di un governo, un altro flop in un’asta di titoli. L’ultima settimana di gennaio l’Italia dovrà rifinanziarsi piazzando titoli per 30 miliardi di euro. Se i mercati non risponderanno bene, e la BCE nemmeno, l’Italia si ritroverebbe a un passo dal default.
La scala delle riforme necessarie a evitare questo scenario diventa ogni giorno più grande, mentre il tempo diventa ogni giorno di meno. L’unica istituzione che può fare qualcosa subito è la Banca Centrale Europea: trasformarsi in prestatore di ultima istanza, stampare moneta. Se non vorrà farlo, dice l’Economist, tagli almeno i tassi di interesse a breve termine e vada avanti con l’acquisto di titoli di Stato, ma su scala più grande. Poi ci sono il debito greco da ristrutturare, Italia e Spagna da riformare, certo. Ma tutto va comunque a finire nelle mani di due soggetti, alla fine della fiera: la BCE e la Germania. Angela Merkel, scrive l’Economist, non può continuare a minacciare le economie deboli con l’uscita dall’euro con una mano, e rassicurare i mercati sulla sopravvivenza dell’euro con l’altra mano. Scelga lei, o sceglierà qualcuno per lei.
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