Il Corriere della Sera di oggi propone un reportage di Lorenzo Cremonesi su Falluja, la città irachena occupata dagli Stati Uniti a un mese dall’inizio delle ostilità nel paese nel 2003. L’esercito statunitense se ne sta andando e potrebbero nascere nuovi problemi di sicurezza.
La città, Falluja, in Iraq, che fu il simbolo degli errori americani e delle sofferenze della popolazione irachena dopo l’invasione del 2003 chiede ai «nemici di ieri» di restare. È un messaggio per molti versi imbarazzato, impaurito, eppure netto e minaccioso per gli aspetti politici e militari.
«Sono stati gli americani a distruggere il regime di Saddam Hussein, annientare il vecchio esercito baathista e la capacità di difesa del nostro Paese. Per forza di cose devono essere loro adesso a garantire i nostri confini contro le mire iraniane e il terrorismo di Al Qaeda», dicono i suoi abitanti. Curioso, coloro che si percepiscono come le vittime chiedono aiuto ai loro persecutori. È l’ennesimo segnale di questo Iraq diviso, contraddittorio, sospeso a metà strada tra il vecchio e il nuovo. Da poco uscito dallo spettro della guerra civile, ma ancora spaventato, per nulla sicuro di farcela da solo e intimamente ferito da tanti massacri.
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