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  • Martedì 13 ottobre 2015

La nuova inchiesta sul calcio e i diritti tv

La procura di Milano indaga sulla controversa asta tra Sky e Mediaset del giugno 2014, e sospetta che sia servita anche a prestare "soccorso finanziario" alle squadre in difficoltà

(LaPresse - Valerio Andreani)
(LaPresse - Valerio Andreani)

Venerdì 9 ottobre la Guardia di Finanza ha perquisito le sedi della Lega calcio di Serie A e di Serie B e quelle di alcune società di calcio, tra cui Genoa e Bari. La notizia delle perquisizioni è arrivata sui giornali soltanto lunedì sera; le perquisizioni sono state decise dalla procura di Milano, che sta lavorando a un’inchiesta sulla compravendita dei diritti televisivi indagando sui presunti reati di turbativa d’asta, turbata libertà degli incanti e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. Sempre venerdì è stato arrestato in Svizzera un fiscalista italiano, Andrea Baroni, accusato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro frutto di evasione fiscale di clienti italiani: secondo i pm è socio di una società di consulenza fiscale – Tax and Finance (T&F) – che ha tra i suoi clienti anche la società Infront, i cui manager sono indagati.

Infront è la società che gestisce la compravendita dei diritti televisivi in Italia e sulla cui influenza e potere negli ultimi anni si è molto scritto e discusso. Il presidente di Infront Italia è Marco Bogarelli, già consigliere di Milan Channel. Infront gestisce i proventi dei diritti tv – la principale e insostituibile fonte di introiti per le squadre italiane – e per dieci squadre di Serie A gestisce anche quelli derivanti da accordi commerciali di altra natura. Infront tra le altre cose organizza l’asta per i diritti tv e ne suddivide l’intera mole in “pacchetti” – differenti per piattaforma (satellitare e digitale) e per importanza delle squadre – per venderli separatamente e guadagnare più soldi. Lo scorso maggio l’Autorità Antitrust aveva aperto un’istruttoria su come nel 2014 si è svolta l’asta per assegnare i diritti tv delle partite di Serie A dal 2015 al 2018, e già allora la Guardia di Finanza aveva fatto delle ispezioni nelle sedi di Mediaset, Sky e della Lega calcio. L’Antitrust sospettava che le società coinvolte in quell’asta avessero fatto “un’intesa restrittiva della concorrenza” attraverso degli “accordi spartitori”. Che vuol dire, in altre parole, che Sky e Mediaset si sarebbero illegalmente accordate per spartirsi i diritti per le partite di Serie A e che l’avrebbero fatto per escludere dall’asta altri “concorrenti” (per esempio Eurosport) e ridurre i costi per l’acquisto dei diritti.

L’accordo per trasmettere le partite delle squadre di Serie A dal 2015 al 2018 era stato trovato il 26 giugno 2014, giorno in cui Sky aveva ottenuto il diritto di trasmettere tutti gli incontri via satellite pagando complessivamente 572 milioni di euro, mentre Mediaset aveva ottenuto i diritti relativi alle partite delle otto migliori squadre sulla sua piattaforma del digitale terrestre, pagando in tutto 373 milioni di euro. Quell’accordo era stato trovato dopo lunghe polemiche e complicate trattative, dovute al fatto che Sky (che aveva da poco perso l’asta per i diritti per la Champions League) aveva voluto “far saltare il banco”, partecipando – per vincerla – all’asta per il digitale terrestre, i cui diritti sono da sempre assegnati a Mediaset. Il tentativo di “far saltare il banco” fu visto da alcuni come un abuso di posizione dominante, che viene definita dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato come quella situazione in cui “l’impresa sfrutta il proprio potere a danno dei consumatori ovvero impedisce ai concorrenti di operare sul mercato, causando, conseguentemente, un danno ai consumatori”. Nonostante Sky avesse vinto quindi i diritti per trasmettere la Serie A sia via satellite che sul digitale terrestre, secondo le regole stabilite dall’asta, l’accordo successivo portò a una spartizione secondo quanto era sempre accaduto, con qualche limite: le partite via satellite a Sky, quelle via digitale terrestre a Mediaset.

Secondo l’inchiesta che ha portato alle perquisizioni di venerdì, Infront avrebbe manipolato il bando e l’asta per favorire Mediaset. E avrebbe prestato soccorso finanziario alle squadre di calcio in difficoltà economica, permettendo loro di superare il vaglio contabile della Covisoc, la Commissione di vigilanza sui conti delle società professionistiche: questi aggiustamenti e soccorsi sarebbero avvenuti, scrive il Corriere della Sera, “lungo strutture operative elvetiche riconducibili a Infront o a Tax and Finance (il cui dirigente Andrea Baroni è stato per altre vicende arrestato venerdì con l’accusa di riciclaggio) o al gruppo del pure indagato Riccardo Silva, già tra i fondatori di Milan Channel con Bogarelli e assegnatario da parte di Lega Calcio della commercializzazione all’estero dei diritti tv”.

Per due di queste operazioni di doping finanziario sono indagati per l’ipotesi di «ostacolo all’attività di vigilanza», insieme a Bogarelli, i presidenti del Bari in serie B, Gianluca Paparesta, e del Genova in serie A, Enrico Preziosi, la cui squadra si sarebbe giovata di una balsamica trasfusione finanziaria da 15 milioni in tre rate. «Il Genoa è una delle squadre perquisite ma siamo tranquillissimi – commenta Preziosi -: i soldi che servivano al nostro bilancio li ha messi l’azionista di riferimento, cioè io».

Più contenuta la stampella finanziaria per il Bari: quasi 500.000 euro arrivati da Infront come sponsorizzazione della seconda maglia del Bari con modalità di cui Paparesta rivendica la linearità, ma nelle quali per i pm un ruolo deve avere avuto anche Claudio Lotito, il presidente della Lazio e componente del Consiglio federale della Figc, visto che per questa vicenda anch’egli è indagato per «ostacolo all’attività di vigilanza» di Covisoc.

Come spiega Marco Iaria sulla Gazzetta dello Sport, al di là dei presunti reati che dovesse dimostrare, l’inchiesta coinvolge quello che da molti anni è indicato come il gruppo di più consolidato potere e influenza del calcio italiano: i dirigenti di Milan, Lazio e Genoa (Adriano Galliani, Claudio Lotito ed Enrico Preziosi), a loro volta grandi sponsor dell’elezione di Carlo Tavecchio a presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio e di Maurizio Beretta a presidente della Lega Serie A con la sola opposizione di Roma e Juventus, e i manager di Infront Italia e delle squadre a cui garantiscono gli introiti del marketing e dei diritti tv.

È ancora presto per sapere se produrrà un terremoto oppure no, di certo l’inchiesta milanese penetra nel cuore del sistema di interessi e di potere del calcio italiano. Perché Infront, la società di sport marketing presieduta in Italia da Marco Bogarelli, ha un ruolo-chiave in questo mondo, in un intreccio inestricabile tra affari e politica sportiva. Ed è l’interfaccia commerciale del governo del pallone che si è andato delineando negli ultimi anni, da quando cioè la Lega Serie A è finita in mano all’asse Galliani-Lotito.

Rotta la storica dicotomia grandi-piccole, dopo i furiosi litigi per spartirsi i soldi delle tv gestiti collettivamente dal 2010, in via Rosellini si è assistito alla rivincita dei lillipuziani: l’a.d. del Milan ha fiutato lo spirito del tempo ed è sceso a patti col patron della Lazio, alfiere della cordata delle medio-piccole, e da quel momento gli equilibri sono mutati per sempre. Ne è stata una prova plastica la riconferma del presidente Beretta nel gennaio 2013, con Roma e Juventus sconfitte e all’opposizione. Nel frattempo la maggioranza si è arricchita della presenza di un’altra big come l’Inter e nell’estate 2014 la Serie A ha potuto cavalcare l’elezione in Figc di Tavecchio, che già di suo contava sul bacino dei Dilettanti.

Quel patto di sangue stretto tra le leghe (pure B e Lega Pro, salvo alcune defezioni, votarono per l’attuale numero uno federale) si è retto su logiche eminentemente economiche. Proprio come in Serie A. Perché qui una cosa dev’essere chiara: se Infront ha assunto così tanto potere in Italia è perché ha colmato un vuoto che le società hanno lasciato libero. Negli anni della bolla dei diritti televisivi, il cui valore per la Serie A è schizzato dai 725 milioni del 2009-10 (ultima stagione di vendita individuale) agli 1,2 miliardi dell’attuale triennio, Infront ha ottenuto, da advisor della Lega, il consenso della maggioranza a suon di minimi garantiti, allungando i tentacoli anche ad altri business.

Sì perché nel frattempo Bogarelli si è allargato e ha finito per gestire il marketing di una decina di club di A (e del Bari) e i diritti d’archivio di 15 società su 20 del massimo campionato. Parliamo di 100-150 milioni di impegno finanziario annuo a favore delle squadre, che si somma al minimo garantito da 980 milioni a stagione per i diritti tv collettivi. Inciso: Infront non fa beneficenza, visto che ogni anno produce profitti (3,5 milioni nel 2014). Insomma, il meccanismo regge.