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  • Mercoledì 20 maggio 2015

Perché Ramadi è importante

La città dell'Iraq conquistata tre giorni fa dall'ISIS è diventata un simbolo delle incapacità del governo iracheno e dei grossi limiti del piano di Obama

Un uomo iracheno di fianco a una moschea di Ramadi, danneggiata a causa di un attacco suicida, nel gennaio del 2011. (AZHAR SHALLAL/AFP/Getty Images)
Un uomo iracheno di fianco a una moschea di Ramadi, danneggiata a causa di un attacco suicida, nel gennaio del 2011. (AZHAR SHALLAL/AFP/Getty Images)

Domenica 17 maggio lo Stato Islamico (o ISIS) ha conquistato Ramadi, capoluogo della provincia occidentale irachena di Anbar e città di oltre 480mila abitanti, per la stragrande maggioranza sunniti (come i miliziani dell’ISIS). La conquista di Ramadi è secondo molti la più importante vittoria militare dell’ISIS nell’ultimo anno. A Ramadi c’erano in ballo diverse cose: il controllo dell’estesa e complicata provincia di Anbar, la reputazione del governo iracheno e un possibile riscatto per la finora incerta strategia statunitense contro l’ISIS in Iraq. L’ISIS ha vinto su tutti i fronti, ma non solo: l’esercito iracheno ha perso male, nettamente, e le soluzioni pensate finora per rimediare alla perdita di Ramadi sembrano poter solo aggravare ulteriormente una situazione già complicatissima.

Ramadi si trova sulle sponde dell’Eufrate, circa 110 chilometri a ovest di Baghdad. L’ISIS aveva preso il controllo di una parte della città già nel dicembre del 2013, in diversi attacchi che avevano portato anche alla conquista di Falluja, altra importante città irachena della provincia di Anbar. Erano le settimane in cui la stampa internazionale cominciava a occuparsi dell’ISIS – allora il gruppo era ancora alleato ad al Qaida – e a dare molte responsabilità di quello che era successo al governo iracheno, che per decisione del primo ministro sciita Nuri al Maliki aveva avviato delle politiche molto discriminatorie nei confronti dei sunniti. Diversi analisti sostennero che la popolazione sunnita di Anbar, dovendo decidere il “male minore” tra ISIS e governo iracheno, aveva scelto di schierarsi almeno temporaneamente con l’ISIS. Si trattava di una novità perché diversi anni prima, nel biennio 2006-2007, i clan sunniti di Anbar avevano accettato l’alleanza con i soldati statunitensi che avevano occupato l’Iraq, e lo avevano fatto proprio in chiave anti-ISIS.

Tutti gli analisti più importanti che si occupano di ISIS e Iraq sostengono da mesi che perdere a Ramadi potrebbe significare perdere la provincia di Anbar, cioè poco meno di un terzo di tutto l’Iraq. Stando a diverse ricostruzioni e testimonianze raccolte da alcuni giornalisti, il governo iracheno – guidato oggi dal primo ministro sciita Haydar al Abadi – non è sembrato dello stesso avviso. Hugh Naylor ha scritto sul Washington Post che da mesi il governo iracheno non pagava gli stipendi dei poliziotti di Ramadi, costringendo il dipartimento locale a chiedere finanziamenti a famiglie del posto e a ricchi uomini d’affari. Allora stesso tempo il primo ministro Abadi aveva promesso di addestrare e armare diversi combattenti sunniti che avrebbero dovuto difendere la città. Finora il piano è stato un fallimento: l’addestramento è andato molto a rilento per le preoccupazioni che i combattenti potessero avvicinarsi all’ISIS. Il piano prevedeva anche la collaborazione con i capi tribali locali, proprio come era successo nel 2006-2007: negli ultimi mesi molti di loro sono però stati uccisi o hanno lasciato Anbar per andare in altre zone del paese.

Secondo l’analista politico iracheno Ahmed al Sharifi, citato dal Washington Post, un altro elemento che spiega la sconfitta dell’esercito iracheno è la corruzione. Sharifi ha detto che circa 23mila uomini pagati dal governo per svolgere servizio militare nella provincia di Anbar sono in realtà “soldati fantasma”, cioè ricevono lo stipendio senza fare il loro lavoro. Il numero effettivo di soldati iracheni che ha combattuto l’ISIS a Ramadi è di duemila unità. In pratica, nonostante la sua importanza strategica e simbolica, Ramadi ha dovuto fare da sé e ha perso. La sconfitta a Ramadi ha fatto emergere anche le debolezze della strategia statunitense contro l’ISIS in Iraq, già ampiamente criticata in passato: ha mostrato i limiti del piano di addestramento militare dei soldati iracheni, poco efficace anche per la presenza di alti livelli di corruzione e di incapacità da parte del governo di Baghdad, e ha mostrato che gli attacchi aerei contro l’ISIS accompagnati da incursioni di terra mirate per colpire alcuni leader del gruppo non sono sufficienti per sconfiggerlo.

Domenica il primo ministro iracheno Abadi ha deciso di impiegare diverse milizie sciite per riconquistare la provincia di Anbar: si tratta delle stesse milizie che hanno contribuito alla peggior sconfitta militare in Iraq dell’ISIS finora, nella città irachena di Tikrit. Il piano di Abadi ha però diversi problemi: le milizie sciite che il governo intende impiegare sono molto poco controllabili e subiscono la forte influenza dell’Iran, paese anch’esso a maggioranza sciita. Già in passato queste milizie si sono rese responsabili di attacchi molto violenti contro la popolazione sunnita irachena e sono state accusate da diversi gruppi per la difesa dei diritti umani di avere intensificato le tensioni settarie tra sunniti e sciiti (le stesse che hanno contribuito a spingere la popolazione di Anbar ad allearsi almeno in un primo momento con l’ISIS, invece che con il governo). Dopo la vittoria di Tikrit, il governo iracheno aveva annunciato che si sarebbe ripreso Anbar, e poi Mosul: ad oggi sembra molto improbabile che questo accada in tempi brevi.