La trappola in cui si è ficcato Obama

I toni apocalittici che accompagnano l’avvicinamento al voto di metà mandato in America, definiscono una volta per tutte la trappola nella quale si è ficcato il presidente Obama e dalla quale sarà difficile uscire – e, se uno avesse un cattivo carattere, dalla quale neppure si avrebbe troppa voglia d’uscire.

In una situazione che definire complessa è poco, con gli effetti collaterali di un ventennio di gestione finanziaria delirante, con alti indici d’ingiustizia economica e palesi fonti di sfruttamento del cittadino, con tempi lentissimi di dubitabile ripresa, che comunque avverrà a ondate progressive e non nel giro di una stagione (basta consultare le oscillazioni dei dati di disoccupazione), Obama ha scelto una strategia e l’ha perseguita. Criticabile, ma chiara e attuata con energia. Peraltro non passibile di credibili alternative. Miracoli, però, non se ne sono visti. Le difficoltà, le sofferenze, le incertezze, le delusioni sono rimaste al loro posto o nei paraggi. Gli avversari di Obama, sconfitti al limite della brutalità un paio d’anni fa, e tuttora sprovvisti di argomenti credibili, allora hanno preso coraggio e hanno cominciare a denunciare l’amministrazione per lo stagnamento della negatività. Gli hanno addossato responsabilità d’ogni genere, gli hanno dato del socialista, dell’inetto, dello spendaccione, del traditore del pubblico mandato.

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