Zingaretti, Renzi, che volete?

È la cosa migliore che ci si potesse aspettare dal Pd, comunque era inevitabile che accadesse. Se qualcuno sperava che nelle austere conferenze di programma potesse esaurirsi l’elaborazione dei democratici, ecco che suona la sveglia della politica contemporanea. Che è fatta di personalità forti, di iniziative di movimento, di comunicazione diretta, di mobilitazioni orizzontali. Ieri il referendum, oggi una raffica di autoconvocazioni e sortite che mirano a smuovere le acque.

Non per rendere più difficile la strada a Bersani, ma per aprirne altre di strade, in direzioni diverse, con destinazioni più promettenti di quanto non sia una risicata vittoria elettorale nel 2012 a rischio di trasformarsi presto in sconfitta politica.

È chiaro però che non si possa essere con Matteo Renzi, Nicola Zingaretti o la coppia Serracchiani-Civati meno esigenti che con il segretario del partito. E se a Bersani viene rimproverata la staticità di linea, chi alza la testa per dire la sua ha un diritto (il diritto di non vedersela tagliare subito nel nome di chissà quale improbabile ortodossia democratica), ma anche il dovere di giocare allo scoperto su contenuti e obiettivi.

Nicola Zingaretti, per esempio. Il principale motivo per cui tutti gli pronosticano una luminosa carriera è la sua indubbia capacità di piazzarsi al centro del campo di forze. I berlingueriani hanno governato il Pci e il Pds-Ds per anni, in questo modo. Ma può funzionare ancora così?

Il suo testo sul Foglio brilla per equilibrio, anche se i veltroniani notano punti in comune col Lingotto. Diciamo che Zingaretti scrive meglio di altri quella che dovrebbe essere la linea di Bersani, liberalizzatore anche lui nonostante le sbandate anti-europeiste e neostataliste della sua segreteria. Su questa strada però l’approdo logico sarebbe la segreteria del Pd, dopo una vittoria (o sconfitta) elettorale: a questo punta Zingaretti? E Roma, di cui nel “manifesto” non parla?

La missione naturale non era restituire il Campidoglio al centrosinistra, che poi considerato lo stato della città pare un dovere civile più che di parte? Domande obbligate, però è anche vero che legare le personalità alle loro collocazioni è un modo per limitarle, come si fa sempre con Renzi.

Già, il sindaco di Firenze. Qui ambizioni e candidature sono dichiarate, non vanno svelate. Per la Leopolda c’è enorme attesa. Effetti speciali garantiti. Sperando che alcune domande non rimangano inevase: il giamburrasca è cresciuto al punto di “fare sistema” intorno a sé? È diventato alla fine un peso massimo, visto che prendersi sulle spalle l’Italia adesso non è un lavoro da agili e sguscianti pesi piuma? E, soprattutto: quale è effettivamente la sua costituency?

È notevole ma non sorprendente leggere (Paolo Natale oggi su Europa) come Renzi vada forte fra dipietristi, leghisti e grillini: la visita ad Arcore è perdonata, funziona la figura dell’outsider che sfida establishment e casta.

Sono questi gli umori che Renzi vuole interpretare? Ora di sicuro farebbero da trampolino vincente per un’avventura personale, ma danno fondamento a una ambizione di governo?

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