Piccoli equivoci di trascurabile felicità

Il libro di Francesco Piccolo, come hanno scritto in molti, è bello: è un libro paraculo nel senso apprezzabile del termine. Nel senso in cui sono genialmente paracule certe canzoni, o certe campagne elettorali: riuscire ad agitare le tue emozioni e a coinvolgerti, facendoti apprezzare una cosa approfittando della tua vanità di ritrovarti, è una [...]

Il libro di Francesco Piccolo, come hanno scritto in molti, è bello: è un libro paraculo nel senso apprezzabile del termine. Nel senso in cui sono genialmente paracule certe canzoni, o certe campagne elettorali: riuscire ad agitare le tue emozioni e a coinvolgerti, facendoti apprezzare una cosa approfittando della tua vanità di ritrovarti, è una cosa buona e proficua quando sono emozioni commoventi o affettuose. Piccolo racconta molte cose di sé fingendo di raccontarle per me, e al tempo stesso racconta molte cose di me fingendo di raccontarle per sé. Finisce che salti sulla sedia riconoscendo degli atteggiamenti o delle osservazioni “uguali precise identiche” alle tue, e ti rallegri anche di quelle che invece trovi lontane e persino disdicevoli, confortato dal barlume di tua identità.

C’è solo una cosa in cui ho sentito Piccolo indietro rispetto a una scelta che io invece ritenevo consolidata, tanto lo abbiamo detto negli anni fino a diventare noiosi: quando al telefono cade la linea, a dover richiamare è quello che aveva chiamato la prima volta. Regola. Definitiva.

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