MTV Unplugged (inciso nel 1994, pubblicato nel 1995).
(Il disco precedente: World Gone Wrong.
Il disco successivo: Time Out of Mind).
“Non ero molto sicuro sul materiale che avrei dovuto usare. Mi sarebbe piaciuto fare vecchie canzoni folk con strumenti acustici, ma avevo un sacco di pressioni da altre fonti che pensavano a cosa sarebbe andato bene per il pubblico di MTV. La compagnia discografica mi diceva: “Questo non puoi farlo, è troppo oscuro”. Una volta mi sarei messo a litigare, ma non c’è più motivo. OK, e allora cosa c’è di non troppo oscuro? Mi hanno detto: Knockin’ on Heaven’s Door“ (Bob Dylan in un’intervista nel 1995, mentre spiega perché MTV Unplugged è il suo ennesimo live e non il capolavoro che avrebbe potuto essere).
Magari negli anni Novanta non c’eravate. Troppo piccoli. Ci spero (qui se non comincio a farmi leggere dai millenials tra un po’ è finita). Nel vostro caso, immagino che sia facile affrontare MTV Unplugged con un forte pregiudizio negativo – l’ennesimo tentativo del Dylansauro di adattarsi ai tempi che cambiano, ai nuovi mercati, a un pubblico giovane che pretendeva di ascoltare la musica in televisione, epperò alla resa dei conti pretendeva anche le solite lagne che lo stesso BD si era stancato di suonare 20 anni prima: sul serio, chi aveva davvero bisogno di una nuova versione di All Along the Watchtower? C’era in Before the Flood, c’era in Budokan, nel disco coi Dead, ed eccola anche qui. Già. Unplugged è uno dei dischi che soffre di più del metodo che abbiamo deciso di adottare: non è un cattivo live, ma se lo ascolti durante una full immersion cronologica, ti può ispirare una certa nausea – ancora Like a Rolling Stone, sul serio? E poi che copertina brutta, che camicia assurda, che titolo poco invitante – se negli anni Novanta eravate troppo piccoli, è probabile che la sigla “MTV” vi faccia pensare, più che alla musica, ai manga e a telefilm per bimbominchia. In effetti. Ma non è stato sempre così, lo sapete? Che all’inizio la “M” di MTV stava per “musica”? E che dopo aver conquistato il cuore e l’immaginazione dei ragazzini degli anni Ottanta, nel decennio successivo MTV aveva trasceso le generazioni e i target, diventando semplicemente il luogo dove tutta la musica succedeva? Che senza MTV Britney Spears magari avrebbe avuto una dignitosa carriera post-Disney, ma i Nirvana difficilmente sarebbero usciti da Seattle? E che uno degli strumenti con cui MTV aveva costruito la sua egemonia era proprio una trasmissione in cui i divi di due generazioni si alternavano a suonare i loro successi davanti a un pubblico ristretto, con una strumentazione ridotta? Una situazione ideale per la seconda serata televisiva, un modo per trasformare anche il rock più chiassoso in qualcosa di più intimo, rassicurante. Si chiamava “Unplugged”, in italiano si potrebbe tradurre “A spina staccata”, e Dylan non avrebbe potuto non inciderne uno. Sarebbe stato impossibile.
“Tutti mi parlavano di come Eric Clapton aveva rifatto Layla in stile acustico per Unplugged. Questo mi ha influenzato a fare la stessa cosa con Like a Rolling Stone, ma non sarebbe mai stata suonata così normalmente”.
Due anni prima, Clapton aveva partecipato a MTV Unplugged con un set di un’ora – tra i pezzi suonati, l’ancora inedita Tears in Heaven e una Layla addomesticata: l’urlo d’amore primordiale trasformato in uno swing elegante per ascoltatori di mezza età. Una volta messo su CD, il concerto aveva ottenuto qualche tiepida recensione e venduto VENTISEI MILIONI DI COPIE. È tuttora il live più venduto di tutti i tempi – a questo punto possiamo tranquillamente concludere che sarà il disco live più venduto della storia dell’uomo. Questo credo che sia sufficiente a spiegare perché quelle due sere di novembre, a New York, la Columbia non permise a Dylan di suonare quel che voleva, un set magari davvero acustico di cover di vecchi brani folk: il risultato sarebbe stato il terzo volume di una trilogia inaugurata con Good As I Been to You e proseguita con World Gone Wrong, con ogni probabilità un disco più interessante, ma nel ’95 sarebbe stato un errore quasi criminale.
Tre anni dopo, nel salottino buono di MTV, tanta foga autoiconoclasta ormai è solo un ricordo. Però forse senza la guerra nel Golfo John Brown sarebbe rimasta nel dimenticatoio, e la stessa With God on Our Side non avrebbe fornito una chiusura fin troppo solenne al disco e allo show. L’altro inedito notevole è Dignity, esclusa da Oh Mercy perché Lanois e Dylan non erano riusciti a trovare un compromesso tra il cajun del primo e il folk biblico del secondo. In seguito usciranno altre versioni, ma è quella dal vivo che ci fa capire quanto Dylan creda negli apparenti giochi di parole di questa canzone, il manifesto della sua terza o quarta maturità. Ora che non insegue più l’uguaglianza, né l’amore, né Gesù, cos’è questa Dignità che va cercando e che è sì rara?
Blind man breakin’ out of a trance
Puts both his hands in the pockets of chance
Hopin’ to find one circumstance of dignity.
I went to the wedding of Mary Lou
She said, “I don’t want nobody see me talkin’ to you”
Said she could get killed if she told me what she knew about dignity…
Rispetto a questi due brani, il resto del repertorio sembra incolore, ma ripeto: forse è solo un problema mio se non riesco più ad ascoltare The Times They Are A-Changin’ – in una versione molto meno unplugged dell’originale, tra l’altro. Sono cavalli di battaglia cavalcati in modo molto più disinvolto del solito, come se finalmente Dylan fosse riuscito a domarli, a convincerli a trottare invece che a gettarsi in quelle galoppate suicide di Before the Flood o Hard Rain. È un Dylan da camera, e non è poi così sbagliato che la foto di copertina lo ritragga sorridente: così come non è sbagliato che in scaletta ci sia Rainy Day Women, un brano divertente e molto più appropriato all’occasione di Desolation Row – che comunque scivola bene: ma appunto, fin troppo bene. Ok, forse sono incontentabile. Quando Dylan affrontava i live come dei duelli contro gli spettatori e le sue stesse canzoni, quando prendeva a ceffoni sia i primi che le seconde, rimanevo perplesso: ora che ha capito come andar d’accordo con tutti e con tutto… un po’ mi annoio. Sono contento che sia riuscito a trovare la pace e la dignità, ma nel frattempo sbadiglio.
Nel 1995, senza dirlo a nessuno, Dylan si era persino rimesso a scrivere canzoni. Continuava a vedere gente più giovane di lui ai concerti, e sospettava che alla lunga non si sarebbero più contentati delle solite lagne, di Rolling Stone e Knockin‘ e All Along. Aveva probabilmente torto, ma meglio così.
(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 1962, 1963: The Freewheelin’ Bob Dylan, Brandeis University 1963, Live at Carnegie Hall 1963, 1964: The Times They Are A-Changin’, The Witmark Demos, Another Side of Bob Dylan, Concert at Philharmonic Hall, 1965: Bringing It All Back Home, No Direction Home, Highway 61 Revisited, 1966: The Cutting Edge 1965-1966, Blonde On Blonde, Live 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert, 1967: The Basement Tapes, John Wesley Harding, 1969: Nashville Skyline, 1970: Self Portrait, Dylan, New Morning, Another Self Portrait, 1971: Greatest Hits II, 1973: Pat Garrett and Billy the Kid, 1974: Planet Waves, Before the Flood, 1975: Blood on the Tracks, Desire, The Rolling Thunder Revue, 1976: Hard Rain, 1978: Street-Legal, At Budokan, 1979: Slow Train Coming, 1980: Saved, 1981: Shot of Love, 1983: Infidels, 1984: Real Live, 1985: Empire Burlesque, Biograph, 1986: Knocked Out Loaded, 1987: Down in the Groove, Dylan and the Dead, 1988: The Traveling Wilburys Vol. 1, 1989: Oh Mercy, 1990: Under the Red Sky, Traveling Wilburys Vol. 3, 1991: The Bootleg Series Vol 1-3 (Rare and Unreleased), 1992: Good As I Been to You, 1993: World Gone Wrong, 1994: MTV Unplugged, 1997: Time Out of Mind…)
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